LA MENTE CRIMINALE – 1

Non mi occupo mai di cronaca nera, perché è giornalismo minore. Vicino – non fosse per la drammaticità degli argomenti – al pettegolezzo. Poi ho schifo della violenza e il semplice racconto della crudeltà mi fa star male. Infine è un argomento monotono: l’uomo uccide il suo simile da sempre. Secondo la Bibbia, il primo uomo dopo Adamo ha ucciso suo fratello e, nella mitologia greca, fra Urano, Saturno e compagni, è tutto uno sbranarsi a vicenda.
E tuttavia, come tutti, rimango a chiedermi come si possa arrivare all’omicidio. In guerra, se non sembrasse grottesco metterla così, “non c’è niente di personale”, e durante uno scontro o una rissa si può uccidere qualcuno senza averne avuto la minima intenzione. Ma è difficile capire l’omicidio premeditato, e attuato con modalità orrende. E tuttavia non basta cavarsela con una condanna. Bisogna seguire il consiglio di Terenzio, quando ha scritto: “Nihil humanum a me alienum puto”, non mi è estraneo nulla di ciò che è umano. È inutile chiamare “mostro” il criminale: che ci piaccia o no, è un essere umano. Capirlo – non giustificarlo – non può che arricchire le nostre conoscenze.
Chissà quanti libri di criminologia sono pieni di parole d’oro, su questo argomento. Ma è difficile avere grande fiducia negli psichiatri, quando decidono che l’imputato di un grave delitto è sano, seminfermo o totalmente infermo di mente(1). La loro scienza è troppo giovane ed incerta. A vederli lì, gli imputati, mentre rispondono al giudice o parlano col loro avvocato, sembrano normali. Ignoranti, magari. Palesemente bugiardi, magari, ma normali. Salvo si tratti di criminali professionisti, coloro che fino al giorno prima hanno frequentato gli assassini dicono sempre la stessa cosa: “Pareva una brava persona”, “Non ce lo saremmo mai aspettato”. “Sì, a volte esagerava, ma non aveva mai fatto niente di simile”.Com’è che lo stesso uomo risulta poi totalmente infermo di mente?
L’Amministrazione della Giustizia si basa sulla responsabilità, e questa a sua volta sulla libertà: “L’hai fatto, potevi non farlo, sei responsabile d’averlo fatto”. L’infermità mentale toglierebbe la libertà e dunque la responsabilità. Ma lo schema zoppica. Da un lato, nemmeno Immanuel Kant è riuscito a dimostrare la libertà, il libero arbitrio o comunque si voglia chiamarlo. Dall’altro, se il cervello di un criminale è una macchina, e può essere guasto come può essere guasto un televisore, anche il cervello sano ha un funzionamento sottoposto al determinismo. Ché anzi, scientificamente, questa è l’unica conclusione possibile. Per conseguenza bisognerebbe assolvere tutti dai delitti di sangue, in quanto non responsabili, e poi rinchiuderli per sempre in galera, perché la società non vuole simili “irresponsabili” in giro.
Non sono paradossi. Il diritto penale è fondato su un’ambiguità. Reputa gli uomini responsabili per il male fatto, ma la libertà non è dimostrata. Poi però di alcuni dice che non sono responsabili, perché non erano liberi. In realtà, la libertà è un dato metafisico indimostrato. Teoricamente, o siamo liberi tutti, anche i pazzi, o non è libero nessuno. La distinzione è peggio che discutibile.
Anche ragionando terra terra, è evidente che l’idiota (in senso tecnico) non è responsabile delle sue azioni, ma quando si arriva allo schizofrenico è veramente un altro paio di maniche. Se tutti fossimo sottoposti ad un serio esame psichiatrico, saremmo stupiti di scoprire quanti schizofrenici abbiamo intorno, e dunque quanti “totalmente incapaci di intendere e di volere”, dal punto di vista del diritto penale, ci sono in giro. Chi non ci crede chieda lumi ad uno psichiatra. Per giunta, diagnosticare la schizofrenia non è sempre facile.
Una persona di buon senso si rassegna tuttavia a questo fascio di contraddizioni perché bisogna pur vivere. Se non ammettessimo la libertà, non ci sarebbero regole, morale, legge. E crollerebbe la società civile. Ammettiamola, dunque, la libertà, ma non dimentichiamo che lo facciamo perché ci conviene, non perché sia dimostrata o logicamente plausibile.
Sia detto di passaggio (per quelli che non si sono mai posto questo genere di problema) la sensazione che ognuno ha di essere libero non prova nulla. Ed anche la convinzione comune non prova nulla. La credenza di essere Napoleone non fa sì che un pazzo sia Napoleone.
Ognuno di noi crede di percepire la realtà com’è, ma ognuno di noi la filtra attraverso il suo essere. Si pensi ad una partita di calcio: l’azione è unica, ma i trentamila spettatori la vedono, fisicamente, da trentamila punti di vista diversi. E questo è niente rispetto alle mille facce dell’esistenza. Come si può ritenere che abbiano la stessa nozione del denaro il bambino nato ricco e quello nato povero? La donna intelligente e la donna stupida vivono forse le stesse esperienze, hanno forse la stessa idea degli uomini? I figli di genitori ammirevoli e i figli di ubriaconi violenti non possono avere la stessa concezione della famiglia. L’uomo bello e brillante come potrebbe avere le stesse esperienze, e dunque lo stesso giudizio della realtà, rispetto ad un uomo brutto e insignificante?
Tutto ciò corrisponde ad una parola ormai entrata nell’uso comune: “condizionamento”. Ma il fatto di averla sentita tante volte induce all’errore di prenderla sottogamba. Considerando che il determinismo psichico è l’unica ipotesi valida dal punto di vista scientifico, collegando condizionamento e determinismo si ha, per così dire, il destino di una persona. In via puramente teorica, data la base fisiologica, e data l’esperienza, si dovrebbe sapere tutto, di un essere umano.
Per tutte queste ragioni, bisogna tornare a Terenzio e chiedersi come funzioni, visto dall’interno, il cervello del criminale.
Continua, 1.
Gianni Pardo, giannip.myblog.it
15 gennaio 2017
(1)Esemplare, in questo senso, il caso di Roberto Succo, sintetizzato dal Corriere della Sera: “Una storia che invece sembrava non voler finire mai è quella di Roberto Succo: non solo nel 1981, allora diciannovenne Succo uccise entrambi i genitori a Mestre , il padre a colpi d’ascia, la madre annegandola nella vasca da bagno. Una perizia psichiatrica lo giudica schizofrenico e finisce al manicomio criminale di Reggio Emilia. Qui sembra placarsi: studia, mantiene un comportamento impeccabile tanto che nel 1985 – appena quattro anni dopo il delitto, G.P. – gli viene concesso un permesso per uscire. Non farà più ritorno: passa il confine con la Francia, rapina una villa dove violenta una ragazza di 23 anni, uccide un poliziotto transalpino, un medico e altre due ragazze”. Non sembra una grande conferma dell’affidabilità delle diagnosi, in particolare di quella riguardante la pericolosità.
http://www.corriere.it/cronache/cards/quando-figli-uccidono-genitori-delitti-piu-famosi-cronaca-nera-italiana/erika-omar-bugie-l-intercettazione-finale-2001_principale.shtml

LA MENTE CRIMINALE – 1ultima modifica: 2017-01-16T10:02:24+01:00da gianni.pardo
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