LA BOSCHI, DE BORTOLI E I MEDIA

Mesi fa Ferruccio De Bortoli “rivelò” non so che contatti della signora Maria Elena Boschi con non so chi, per cercare di mettere rimedio al pasticcio della Banca Etruria. La Boschi minacciò immediatamente querela e De Bortoli le rispose tranquillo che lo querelasse pure. Ma lei non lo fece, e sono passati sette mesi, ben più dei tre mesi che costituiscono il tempo massimo entro il quale si può sporgere querela.
Ora la diatriba si è ravvivata per la deposizione del procuratore della Repubblica di Arezzo e finalmente la cannonata è partita. I media scrivono e dicono che la Boschi ha dato mandato di querelare De Bortoli, anche se poi, nel corso dei “servizi”, si parla di azione civile.
Innanzi tutto, mesi fa, la Boschi avrebbe dovuto o querelare De Bortoli o non minacciare la querela. Certe azioni sono troppo serie per minacciarle: o si intraprendono o non se ne parla. In secondo luogo, non si dà mandato ai legali perché presentino la querela. È un atto che va firmato personalmente dinanzi al funzionario autorizzato a riceverlo. I famosi legali al massimo redigono la querela, se non si è in grado di scriversela da sé. Del resto, la legge prevede la forma “orale”, nel senso che l’analfabeta o comunque l’incompetente si presenta dai carabinieri e la querela gliela scrivono loro. La formula pomposa, “ho dato mandato”, parlando di “legali” al plurale, è una delle tante sciocche esagerazioni dello stupidario nazionale.
Poi i giornalisti avrebbero dovuto sapere che quella querela è impossibile, dato il tempo trascorso. Non è necessario essere dei penalisti, per possedere questa elementare nozione di diritto. Oggi si può parlare soltanto di azione civile, perché questa non si prescrive nei tre mesi.
La superficialità di chi scrive i titoli è del tutto inammissibile. Non si può annunciare con le trombe una querela e poi, nel testo, parlare di azione risarcitoria in sede civile. Sarebbe come confondere la richiesta di vedersi pagare il vestito da chi ce l’ha inavvertitamente macchiato al ristorante con la denuncia all’autorità giudiziaria di una violenza carnale. Parlare indifferentemente dell’una o dell’altra azione giudiziaria è imperdonabile.
Infine – ma qui si entra nell’opinabile, e chiedo scusa in anticipo se sembrerò maligno – la distinzione fra diritto civile e diritto penale ha un risvolto che potrebbe non andare a favore della signora Boschi.
Se qualcuno accusa falsamente De Bortoli di avergli rovinato l’automobile che gli aveva prestato, e chiede che il giornalista gliene rifonda il valore, il magistrato che accerterà il fatto potrà condannarlo a quel risarcimento. Se viceversa accertasse che il fatto non si è verificato, o non è dipeso da De Bortoli, potrebbe non condannarlo a quell’esborso. Al limite, convincendosi che quel signore l’ha citato senza ragione, potrebbe non soltanto condannarlo alle spese (anche quelle sostenute da De Bortoli) ma perfino ad una “multa” in quanto litigante temerario. Nient’altro.
Se viceversa una donna accusa De Bortoli di violenza carnale (anch’essa reato a querela) e il magistrato riconosce che non soltanto De Bortoli è innocente, ma la donna lo sapeva e lo ha accusato falsamente, stabilirà non soltanto che De Bortoli non ha commesso nessun reato, ma un reato ha commesso la querelante, e precisamente il reato di calunnia.
Ecco il primo comma dell’art.368: “Chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni”.
Da notare che il reato non è a querela. Ciò dimostra che lo Stato lo considera talmente grave, da esercitare l’azione penale a prescindere dall’interesse del danneggiato alla punizione del colpevole. La quale punizione è molto severa, come si vede. Nel caso più lieve la pena è di due anni, nel caso più grave (quando c’era la pena di morte) si arrivava all’ergastolo.
Ora è lecito pensare che la signora Boschi non abbia querelato De Bortoli per non rischiare un processo per calunnia e che oggi proponga un’azione civile per fare baccano e non rischiare nel contempo di andare in carcere pur di ottenere qualche titolo di giornale. Ma tutto ciò è possibile solo in un mondo in cui i giornalisti sono superficiali e pronti a trasformarsi in megafono delle peggiori stupidaggini. I giornalisti giudiziari queste cose dovrebbero saperle dal primo giorno in cui esercitano quella professione, e i giornalisti politici potrebbero quanto meno informarsi con i colleghi più competenti. Ma no, importa soltanto il titolo, per dare a credere che non soltanto la Boschi – e per contagio suo padre – sono innocenti, ma ora faranno punire chi ha osato attaccarli.
Patetico.
Gianni Pardo
, giannipardo@libero.it
5 dicembre 2017

LA BOSCHI, DE BORTOLI E I MEDIAultima modifica: 2017-12-05T09:37:01+01:00da gianni.pardo
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6 pensieri su “LA BOSCHI, DE BORTOLI E I MEDIA

  1. Chi sa fa !…. Chi non sa… informa !
    E’ proverbiale l’ignoranza dei giornalisti (…esclusi i “presenti”… s’intende…)
    Saluto Aggiornato

  2. Purtroppo, caro Memmo, il problema non sono i giornalisti, o, più esattamente, non sono soltanto i giornalisti. A partire dal (tanto celebrato) ’68 si è creduto che studiare seriamente fosse un optional. Una crudeltà che doveva essere risparmiata alle nuove generazioni. Così si è arrivati alle promozioni in massa (basta vedere le percentuali degli esami di Stato, a conclusione della scuola secondaria) e, col passare del tempo, gli asini che si erano diplomati si sono anche laureati, e infine sono saliti in cattedra, e da lì avrebbero come avrebbero potuto insegnare ad altri ciò che essi stessi non avevano imparato? E così abbiamo un Dio Maio (giovanotto non peggiore di altri) che sbaglia i congiuntivi. Ai miei tempi chi fosse stato al suo livello non avrebbe mai pensato a divenire Primo Ministro, perché si sarebbe piuttosto chiesto se mai gli sarebbe stata concessa la maturità liceale. Non comunque al liceo classico.
    In questo campo io ho una sola, amara consolazione: ho previsto questo sfacelo già quando cominciò, quando si scatenò la guerra contro il nozionismo, cioè le nozioni, e nozione viene da noscere, conoscere, sapere. Se si lotta contro il sapere, si arriva all’ignoranza. E ormai ci siamo.

  3. Aggiungo un titolo dell’Ansa, di oggi pomeriggio. Faccio copia incolla:
    Telefonata tra il presidente Usa e il presidente palestinese. La Casa Bianca: ‘Non è questione di se, ma di quando’. Israele si prepara alla rivolta. Palestinesi paventano una nuova Intifada.
    All’Ansa non sanno più che significa il verbo paventare, e scrivono un titolo che dice esattamente il contrario di ciò che intendeva l’analfabeta, pardon, il titolista.

  4. Non disperiamo !
    Ciò che conta è la (buona) volontà e l’impegno…al limite… al limite… il “metodo” !
    Sono questi i parametri che, oggi, definiscono l’azione “conoscenza”.
    Non il risultato.
    Anche perchè nessuno sa più quale debba essere il risultato; o quale sarebbe un esito serio ed accettabile. Ad un decadimento profondo ed innegabile di scuola e studio fa da contraltare un aumento “stellare” e certificato, si direbbe , della possibilità umane di realizzare gli scopi più disparati.
    Un vero aumento esponenziale di “potenza”, di capacità reali.
    Da ciò, purtroppo o per fortuna, molti deducono, sic et simpliciter, che studiare seriamente non sia indispensabile.
    La questione, comunque , è lunga e sembra che anche Gramsci (…dal carcere…) se ne sia occupato; con argomenti leggeri e scarsamente convincenti, in vero.
    Poi, ricordo bene, qualche decennio addietro ci fu anche una atteggiamento volto a sdrammatizzate la “congiuntivite”.
    Ecco… forse il termine giusto fu “sdrammatizzare”.
    Si affondò la scuola per sdrammatizzarla.
    Ma un po’ di dramma nell’apprendimento c’è stato..obiettivamente . Le generazioni passate furono agitate in sogno dall’esame di maturità diversi anni dopo l’evento. Oggi non succede più .
    L’aspetto “politico”, innegabile, è parte del problema : la “nozione” o la notizia, per sua indole padronale e classista, portava inevitabilmente il marchio della borghesia pedante e bizantina. Spesso, poi, passibile di inesattezza o falsità.
    Roba dell’altro secolo ! Oggi fortunatamente essendo scomparsa la “borghesia” insieme ad i suoi “antagonisti” si riapre un bel campo a nuove definizioni, nuovi approcci che portano, in bella vista, il timbro della scienza.
    E la scienza è specializzazione; ovvero distinzione e divisione per cui chi voglia interessarsi, fino al punto di discettarne, di un’argomento deve necessariamente farsi delle basi solide; ottenibili sono con lungo studio specialistico che ammetterebbe, solo in estrema vecchiezza, una qualche autorità.
    Ma il tempo umano è poco e nol consente.
    Comunque l’idea che solo i letterati possono scrivere di letteratura, solo gli scienziati posso parlare di scienza e così via per tutti gli altri rami, postula una bella serie di mondi paralleli.
    Incomunicanti… è vero ! Ma più semplici da affrontare.
    Saluto Approssimato

  5. Pardo, non faccia finta di non sapere come funzionano i giornali oggi, specie nelle edizioni digitali online!
    Gli articoli non sono fatti da giornalisti “veri”, ma da ragazzotti che al più hanno seguito una “scuola di giornalismo” da qualche parte, dove si insegnano non i “vecchi canoni” ma che:
    a) la gente vuole notizie “rapide”, succinte, semplificate, da cui si capisca subito “da che parte stare”, perché “in mezzo a tutto ‘sto casino sennò ci si perde”;
    b) i dettagli, la spiegazione del come e perché, non servono: se il lettore si fida, si fida; e poi, non capirebbe neanche e si stuferebbe (vedi in a));
    c) se sullo stesso fatto ci sono più “posizioni”, va prima quella più incisiva, più diretta, più riassuntiva e completa e che più cattura l’attenzione, poi via via le altre, senza esagerare: non servono;
    d) e soprattutto, ragazzi, muovetevi: il vostro compito è produrre “pagine”, e nelle varie rubriche: politica, cronaca, economia, viaggi, cucina, senza fossilizzarvi; se avremo bisogno di uno “specialista” lo prenderemo da fuori: c’è la fila di “specialisti” che per avere un’intervista venderebbero la madre. Se fate una ventina di “pagine” al giorno un tozzo di pane a casa lo portate; quindi, non state tanto a badare alla lingua, alla “precisione”: una botta e via.
    Ecco, questo è il giornalismo oggi. Online e anche per immagini: della stessa specie sono i ragazzotti/ragazzotte che si affollano attorno ai “vip” per quei 10 secondi di “video”. Un mondo miserrimo, certo non per colpa loro. E Lei si scandalizza? Ma figuriamoci!
    Sullo specifico: è chiaro che la Boschi preferisce il “civile”: niente “indagine penale”, niente testimoni e “torchiature” degli stessi, niente pubblico giornalisti compresi, niente controquerela per calunnia. Si va sul liscio; ed infatti questa è la via più seguita quando si intende “incastrare uno che parla troppo”. La “prigione” del diffamatore non interessa; quello che conta è la “condanna”, tanto il pubblico non distingue. Anche il risarcimento è del tutto marginale: “lo darò in beneficienza”, si dice il più delle volte.
    La ragazza, con questa mossa, si è confermata “furba”. Furbizia che alla “ggente”, nel caso della Boschi, non piace per niente per i motivi che Lei sa (è sodale di Renzi, quindi…). Pertanto, l’applicazione delle “nuove regole” di cui sopra è calzata a pennello.
    Certo, nella sciatta stesura degli articoli c’entrano anche le carenze della Scuola, ma le assicuro che anche il miglior diplomato/laureato in Lettere e Filosofia alla fine a quelle regole deve adeguarsi, e per adeguarsi deve congruamente “abbassarsi”.

  6. Adde: “Titolista”? E che roba è? Ah, si mi pare di averne visto uno a Porta Portese, tutto impolverato. Ma non si usa più! Ma le pare che con tutta la “robba” che oggi si pubblica sui giornali, ci possa ancora essere uno che si passi l’articolo nella sua interezza per giudicare sulla appropriatezza del titolo dato dall’autore o addirittura lo faccia lui? Ma no, lo faccia l’autore! E qui entra in gioco lo stile editoriale e la “linea” del giornale: adeguarvisi nel “titolare” è il primo requisito, essendo il primo “invito ad entrare” che coglie il lettore.

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