CONSIDERAZIONI DI UN DINOSAURO

Ernesto Galli Della Loggia consiglia al nuovo ministro della Pubblica Istruzione di reintrodurre in classe la predella che pone la cattedra venti o trenta centimetri al di sopra del livello del pavimento. E ciò anche per far sentire ai ragazzi che il docente è, e deve rimanere, ad un livello superiore al loro. “La sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche”. Per lo stesso motivo dovrebbe essere fatto obbligo a tutti i discenti di ogni ordine e grado di alzarsi in piedi, quando il professore entra in classe. Più altri otto consigli, fra cui il divieto, per le famiglie, di interferire nell’attività scolastica. Ma io già trasecolo per i primi due.
Non è che li disapprovi: è che mi stupisce che sia il caso di parlarne. Infatti ciò significa che non ci sono più le predelle, che i ragazzi non si alzano quando il professore entra in classe e il resto. Il mio scandalo è profondo perché tutto ciò significa che non si rispettano né la cultura né la buona educazione. Oggi il professore è un cittadino fra i cittadini e la sua voce non conta più di quella dei suoi alunni. Somiglia quasi a un imbonitore di piazza la cui unica funzione è quella di essere divertente per i passanti, in modo che comprino la sua merce. E forse anche peggio. Perché se i ragazzi non studiano è come se la sua merce non la comprassero neppure, e tuttavia sono promossi.
Intendiamoci, molti professori valgono pochissimo. Ma sono nella stessa posizione dei sacerdoti. Personalmente sono soltanto degli individui più o meno stimabili ma, in quanto rappresentanti di un valore superiore, vanno rispettati proprio in nome di quel valore, se non di loro stessi.
La scuola attuale, per come la intuisco attraverso ciò che scrive l’editorialista, ha perduto questo rispetto. Quando io entravo in classe, non soltanto gli alunni si alzavano in piedi ma, se qualcuno ritardava, mi bloccavo e lo guardavo con risoluta aggressività. All’occasione spiegavo che mi dovevano dire grazie, per quell’intransigenza. Infatti insegnavo anche ai bifolchi un riflesso da gentiluomo, quello di scattare in piedi quando entra un ospite. E per educarli a questo genere di rapporti davo loro del lei. “Voglio rendervi chiaro che, mentre io non mi permetterei mai di trattarvi rudemente, a voi, per quanto riguarda me, non deve venire in mente nemmeno come ipotesi. Io non sono vostro padre e non sono nemmeno un vostro amico. Sono il vostro professore”. Poi magari concludevo le mie lezioni con una barzelletta (ma in lingua straniera, faceva parte dell’insegnamento) ed ero tutt’altro che serioso.
Umanamente ero amichevole, ma per quanto riguardava la cultura non ero né democratico né accomodante. Una volta che un ragazzo accennò con disprezzo ad un minore della letteratura, lo ammonii a muso duro: “È un minore, hai ragione. Ma ne parla il libro di letteratura. Di te e di me nessun libro parlerà mai”.
Il peggio fu quando un ragazzo mi confidò privatamente, e quasi con stupore, che una poesia (credo di Lamartine) gli era veramente piaciuta. Gli risposi ironicamente: “Sapessi come ne sarebbe felice, lui, se fosse ancora vivo”. Fui duro e quasi me ne dispiacque. Ma la condiscendenza di uno sbarbatello nei confronti di un grande poeta mi era sembrata imperdonabile.
Quando ne avevo l’occasione, facevo notare ai ragazzi che avevano un concetto sbagliato della cultura. “Nelle classi, la cultura vi viene offerta come una fetta di torta o un gelato, invitandovi ad avere la compiacenza di assaggiarli. O come un elefante su cui andare a fare un giro, e che si inginocchia dinanzi a voi perché gli montiate in groppa. Nella realtà la cultura è sì, un elefante, ma un elefante che nemmeno vi vede, e potrebbe calpestarvi con la massima indifferenza. Apparite degli ignoranti, nella vita, e sarete irrisi”.
Ma ero un dinosauro. L’adoratore di un valore fuori corso. Un uomo rispettato personalmente più di quanto i ragazzi non rispettassero ciò che insegnavo. I più bravi apprendevano l’oggetto dello studio ma, salvo eccezioni, non imparavano ad amarlo. E questo era il mio fallimento.
Non è strano che mi sia allontanato dalla scuola appena possibile. Cercavo d’insegnare una lingua e una letteratura e i ragazzi a stento imparavano ad alzarsi in piedi quando entravo.
Oggi neppure quello.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

5 giugno 2018

CONSIDERAZIONI DI UN DINOSAUROultima modifica: 2018-06-05T15:02:58+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “CONSIDERAZIONI DI UN DINOSAURO

  1. Per errore, nel testo, do del tu al ragazzo che trattava con sufficienza un minore della letteratura. Nella realtà gli avrò dato del lei, o ancor meglio del “vous”.
    Sono in pensione dal molto tempo.

  2. Sullo stesso argomento, un articolo interessante:
    https://www.ilfoglio.it/societa/2018/06/03/news/un-tempo-logorava-ora-il-potere-chiude-il-cervello-nella-prigione-dellio-198195/
    A suo tempo lei scrisse almeno un ottimo, profetico e indimenticabile articolo, di ben altro livello di questo qui da me citato sopra, sul pericolo di squilibrio mentale che corre anche il semplice professore di scuola media che si trova a disporre di potere verso i suoi studenti – l’argomento quindi e’ lungi dall’essere esaurito con queste semplici considerazioni.
    Forse il problema e’ semplicemente la “scuola dell’obbligo”.
    O il valore legale del titolo di studio, che come diceva il compianto fisico Tullio Regge, rende inarginabile la torma di ragazzi alla rincorsa della promozione sociale, altrimenti detta aumento del proprio valore di mercato, che questo dovrebbe assicurare.
    In fin dei conti cio’ che basterebbe ai piu’ e’ saper leggere e far di conto, il resto e’ inutile o a bassissimo “valore marginale” rispetto all’energia impiegata, se non a dare un posto di lavoro e una pensione a chi dovrebbe cercar di insegnare loro qualcosa fra frizzi e lazzi.

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