SALVINI, ANDREOTTI E L’EROINA DEL POTERE

Il potere ha qualcosa di magico. O forse, più semplicemente, è collegato ad un istinto molto forte. Lo si vede nel modo come i maschi di tante specie combattono per essere l’animale alfa e per il diritto ad accoppiarsi con le femmine. Fino a divenire imprudenti.
Il potere è una passione che dà alla testa. È simile all’eroina, la droga che fa credere di essere degli “eroi” capaci di qualunque impresa, fino a perdere la percezione del pericolo. Gli ambiziosi smarriscono il senso del limite morale. Macbeth e sua moglie commettono una serie di crimini tali che prima lei impazzisce, poi ambedue perdono la vita. A questa sorta di follia i greci hanno dato un nome, hybris, l’eccesso, l’unico peccato che gli dei, benché tutt’altro che modelli di virtù, non perdonavano. Né di diverso parere sono stati i cristiani. Dovendo ipotizzare il motivo per il quale Lucifero fu dannato, pensarono ad un peccato di eccesso: il più bello degli angeli si era creduto superiore a Dio. E infatti ancora oggi, nelle nostre chiese, sullo scudo dell’arcangelo che lo scaccia dal paradiso, c’è scritto: “Quis ut Deus?”, “Chi come Dio”?
L’uomo normale ha difficoltà a capire la passione per il potere. E tuttavia essa è tanto forte da turbare l’equilibrio mentale delle sue vittime. Gianfranco Fini, pressoché un enfant prodige della politica, si comporta da ingrato, insidia il potere di Berlusconi e attua una ribellione assolutamente priva di sbocco. E tutto ciò perché stanco di aspettare una normale successione per via dinastica. Il risultato è stato la sua morte politica.
Un secondo caso è quello di Matteo Renzi. Anch’egli è stato protagonista di una prodigiosa carriera politica ma la passione del potere in lui è presto divenuta sfrontatezza, arroganza, mitomania. Soprattutto capacità di procurarsi il massimo numero di nemici. Atteggiamenti che non potevano non portarlo alla rovina. E così, velocemente come era andato in testa alla corsa, si è trovato nella pattuglia di coda.
Il difficile, riguardo alla passione per il potere, è dominarla senza farsene dominare. In questo campo il modello insuperato è Andreotti: una persona mite, ironica, sorniona. Non soltanto incapace di atteggiamenti gladiatori o provocatori, ma rispettoso con tutti. E tuttavia quest’uomo in tono minore è stato sempre ai vertici dello Stato. Renzi ha avuto all’incirca tre anni di successo, Andreotti quanti anni, trenta? Quaranta?
E oggi si profila il caso di Matteo Salvini. Anche lui ha avuto un inizio folgorante. Il suo primo mese come ministro è stato un successo senza precedenti. Ma il suo sentimento di onnipotenza rischia di trascinarlo nell’abisso. Dimentica che il suo exploit non è costato un euro e, se riuscirà a bloccare l’immigrazione, presto tutti considereranno la cosa acquisita e si dovrà passare ad altro. Già dal mese prossimo si profilano scadenze che non si sa come affrontare. Inoltre non si vede con quali fondi mantenere le infinite promesse fatte. Infine la Lega si trova a governare con un partito da cui ci si possono aspettare follie. Non soltanto esso ha promesso l’impossibile, ma basti vedere come sta affrontando i nodi dell’Ilva, della TAV, dell’Alitalia, dei vaccini, del lavoro. Se ci saranno le conseguenze negative previste, si può star certi che l’intero governo sarà ritenuto corresponsabile.
Non solo Salvini si è messo con un alleato che non sa nuotare e rischia di trascinarlo al fondo, ma per giunta si aliena sempre più l’alleato col quale governa la metà più ricca della nazione. Ha cominciato col proporre, per la Presidenza del Senato, un nome diverso dal candidato ufficiale della coalizione di centrodestra ed ora ha continuato designando Marcello Foa come presidente della Rai. Ancora una volta senza nemmeno avvertire il Cavaliere. Ma se questi, stringendo i denti, per il Senato gliel’aveva fatta passare, stavolta ha detto no. Enoug is enough.
E qui si arriva al capolavoro. Quello che fa pensare ad un destino modello Fini. Prima l’irruente ministro designa Foa senza dire niente a Berlusconi, poi viene a sapere che questi è irritato, ma non se ne dà per inteso. Non gli telefona nemmeno. La mattina stessa del voto in Commissione, quando finalmente si è reso conto che l’alleato veramente gli avrebbe fatto mancare la maggioranza, si è precipitato da lui di persona, andando a trovarlo in ospedale, per chiedergli di tornare sui suoi passi. E ovviamente ha ottenuto un rotondo “no”. Se l’anziano Cavaliere, all’ultimo momento, avesse fatto marcia indietro, avrebbe fatto ridere l’Italia.
L’episodio dimostra che Salvini non domina la sua passione per il potere, ma ne è dominato. Se fosse stato un uomo equilibrato avrebbe cominciato con l’essere collaborativo e conciliante. Non sarebbe stato difficile mettersi d’accordo con Berlusconi. Soprattutto a proposito di un uomo che non gli è nemmeno sgradito. Se invece, con un comportamento degno di Renzi, era risoluto a trattar male l’alleato per fargli pesare la sua subalternità, una volta scoperto l’errore avrebbe lo stesso dovuto mantenere l’atteggiamento assunto. Un uomo serio, quando ha fatto una frittata, se ne assume la responsabilità. Invece Salvini ha tentato di metterci rimedio quando ormai era troppo tardi ed è riuscito a farsi umiliare senza neppure salvare l’unità del centrodestra.
Il suo barometro non volge al bello.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

SALVINI, ANDREOTTI E L’EROINA DEL POTEREultima modifica: 2018-08-02T08:48:53+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “SALVINI, ANDREOTTI E L’EROINA DEL POTERE

  1. Io spero che il suo barometro sia rotto perchè non sono d’accordo con quello che ha scritto. Ma la sua opinione (come anche la mia) sono ininfluenti.
    A me sembra che Berlusconi abbia sbagliato e che persone come Tajani non faranno tornare F.I alle percentuali del passato. Tajani … oh my God …
    Negli U.S.A. il partito di Berlusconi sarebbe parte del deep state e dell’élite.
    A me non dispiace uno che ripete fino alla noia: “prima gli italiani”. MIGA 🙂
    Chi vivrà vedrà

  2. Il figlio di Marcello Foa nello staff di Matteo Salvini. La compaesana di Di Maio assunta al ministero. Questo è il governo del “Prima gli italiani amici miei” .

  3. Davvero non lo comprendete il gioco che Berlusconi e Salvini stanno facendo sotto banco, vero? 🙂
    Se non ci arriva nemmeno una mente acutissima come quella del prof. Pardo, è il chiaro segnale che il piano sta riuscendo.

  4. Il voto alla ruspa e al vaffa spiegato dal carattere degli italiani
    di Giuliano Ferrara
    Perché è capitato proprio a noi e non a francesi, tedeschi e inglesi? La risposta l’ha data Montaigne 500 anni fa

    Perché è capitato proprio a noi? I francesi hanno la nazione nel cuore, fatto in sé pericoloso, tutti ce l’hanno, destra e sinistra e centro liberale, ma all’atto pratico, dovendo scegliere poco più di un anno fa, hanno dato la vittoria, sul Salvini in gonnella che era la Le Pen, a una versione aperta, europeista e perfino liberale della République, loro che il liberalismo lo considerano un basso strumento dell’argent roi, e hanno consegnato la presidenza a un banchiere Rothschild che è una spremuta delle élite e del cosmopolitismo modernizzante, sia pure con la riserva di uno stato efficiente e che protegge. I tedeschi hanno dato 100 deputati al Bundestag alla AfD, altro tipo ideale delle organizzazioni della destra nazionalista e populista di Coblenza, ma lì si sono fermati, per nostra fortuna. I britannici, nella loro bizzarria tradizionalista e isolana, hanno preso due direzioni protestatarie in apparenza contrarie, la Brexit e la grande avanzata del laburista vecchissimo stile Corbyn, hanno subito eliminato dal campo Farage e altri estremismi, il che appare stravagante ma non lo è, e ora vedremo. Gli spagnoli si comportano benone in economia, benino in politica, e fronteggiano come possono i pericoli dell’unità castigliana della penisola iberica. Gli olandesi hanno accarezzato il loro Matteo van Salvini, Wilders, ma al momento opportuno lo hanno consegnato a posizione di forte minoranza, niente di più.

    Potrei dunque dire che da noi hanno vinto, in una strana e fragile coalizione, i lepenisti e putiniani di secondo rango perché siamo un popolo di cretini politici. Oddio, la vicenda storica del fascismo dice che da un lato abbiamo grandeggiato in invenzione paratotalitaria, dall’altro dice che per vent’anni siamo stati piccoli piccoli, molto propensi al grottesco e al violento, e alla fine tutti a casa nella vergogna appena riscattata da minoranze combattenti per la Liberazione e da idealisti eroici e nichilisti dell’altra parte. Eppure non voglio cedere allo sconforto antinazionale, un sentimento che ha fatto danni seri negli anni Venti e Trenta. E leggendo un bel libro di Luca Romano, “Il segretario di Montaigne” (Neri Pozza editore), ho forse trovato una chiave. Romano ricostruisce, con l’aiuto dei dialoghi e dei monologhi del grande moralista scettico del Cinquecento, una bella storia, quella del suo famiglio che dopo tre anni di collaborazione lo convince a intraprendere un viaggio in Italia e lo segue nel suo lungo soggiorno romano.

    A pagina 183 si legge una dichiarazione di Montaigne, messa in bocca a un suo interlocutore, sul carattere degli italiani. Dice il seigneur de Montaigne: “Giorni fa un signore italiano teneva in mia presenza questo ragionamento, a svantaggio del suo popolo. Diceva che la sottigliezza e la vivacità della loro immaginazione è talmente grande che gli italiani prevedono i pericoli e gli accidenti che possono accadere loro così per tempo, che non bisogna trovar strano di vederli provvedere alla propria sicurezza prima ancora di avere individuato il rischio”. Ecco, mi sono detto. Il voto alla ruspa e al vaffanculo ha una spiegazione, anche troppo coltivata ma non banale. Tra sottigliezza e grande vivacità della nostra immaginazione, prima ancora di aver individuato il rischio in modo ragionevole e politicamente realista, ci siamo disordinatamente mossi per metterci in sicurezza davanti a “pericoli e accidenti” come l’immigrazione incontrollata o rimpiazzo etnico, una cosa che costituisce problema ma non come pensano quelli che chiudono i porti, guardano a Mosca e vaneggiano di pacchia e nazione, “prima gli italiani”, oppure come le conseguenze dell’apertura mondiale dei mercati, “padroni a casa nostra”, la cui chiusura autarchica dà un senso di protezione ma comporterebbe conseguenze bestiali, altro che i porti, che già è molto grave e anche osceno.

    Osservo che il geniale e ironico Montaigne riferisce il giudizio del suo interlocutore italiano precisando che parlava “a svantaggio” del carattere del suo popolo, sebbene Montaigne sia convinto che gli italiani fanno l’amore molto meglio dei francesi (si troverà un editore francese per l’opera?).

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