QUELLA MORTE SI POTEVA EVITARE

La persona che mi è più cara ha mille qualità ma è una perfezionista. E questo è un difetto anche se, come avviene per certe ostriche, la malattia può trasformarsi in perla. Il perfezionista infatti può dare fastidio, ma in compenso è efficiente, accurato, affidabile. E gliene viene parecchio lavoro. Insomma, è la principale vittima della sua tendenza e gli altri ne beneficiano più che non ne soffrano.
Se gli italiani fossero in maggioranza perfezionisti, le cose andrebbero meglio. Purtroppo da noi c’è soltanto una maggioranza di persone che la perfezione la esigono dagli altri. E non si sa con che nome chiamarli: esattori, creditori, cocchieri con la frusta, aguzzini? Per il momento usiamo il termine “perfettini”.
Ammettiamo che un tizio abbia un incidente e venga trasportato d’urgenza in un Pronto Soccorso affollato, caotico, affannato e in buon misura inefficiente. I dottori si occupano del malcapitato, ma questi muore. Che cosa penserebbe, la persona di buon senso? Che, chissà, in un Pronto Soccorso meglio organizzato, o con un dottore geniale come il dr.House della serie televisiva, forse si sarebbe salvato. Purtroppo è stato sfortunato. Nelle condizioni date, il personale del Pronto Soccorso ha fatto il possibile, ma non ha potuto o saputo fare di più e di meglio.
Che cosa pensa invece il perfettino? Esattamente quello che il giorno dopo diranno in televisione e scriveranno i giornali. Ecco il coro: “Con un intervento più adeguato quella morte si sarebbe potuta evitare”. E nessuno si fermerà a questa constatazione tra l’ovvio e il malevolo. Lo stadio seguente è automatico. Se non si è salvato, e si poteva salvare, chi non lo ha salvato? Chi avrebbe potuto salvarlo? Con quale rimedio, con quale tecnica, con quali strumenti? E dopo che tutti si sono messi alla ricerca del pelo nell’uovo, se lo trovano, rimproverano a chi ha concretamente agito di non essere stato perfetto. Di non avere curato il malcapitato come avrebbe fatto a pagina 813 l’autore del famoso testo di traumatologia che un esperto ha citato.
E non finisce qui. Che cosa dice il codice? Che se un evento si verifica per “imperizia”, si è penalmente responsabili. In questo caso responsabili di omicidio colposo. E i medici potranno essere condannati per questo reato. Tanto che oggi le loro assicurazioni per la responsabilità civile hanno cifre da capogiro.
E tuttavia chiediamoci che cosa sia l’imperizia. Io guido passabilmente bene l’automobile da oltre sessant’anni. Sono “perito”, in questo campo? Direi di sì. Ma non credo che saprei cavarmela con un’auto di Formula 1. E allora, sono perito o imperito? In realtà perizia non significa perfezione, significa saper fare qualcosa normalmente bene. Insomma “a regola d’arte”, non a “capolavoro di quell’arte”. A tutti si può richiedere di camminare, ma non ci si può aspettare da tutti che sappiano camminare sulla corda.
I perfettini – e i magistrati a rimorchio dei loro pregiudizi – si chiedono con la massima calma, e col soccorso di tutti i possibili sussidi tecnici della professione in questione, se si poteva fare qualcosa di più, di diverso, di meglio. Se il migliore dei competenti in quel campo avrebbe fatto la cosa giusta. Non importa in che condizioni abbia agito l’’interessato, in concreto. Non importa quanto tempo abbia avuto per decidere. Non importa neppure se è stato pagato malissimo, per quel lavoro gravoso e stressante: se quella morte “si poteva evitare”, quell’uomo è colpevole di non essere stato perfetto. Perfetto come l’ideale platonico del supercompetente che si fosse trovato al suo posto. Lo dice anche pagina 943 di quel Trattato.
La pericolosa tendenza attuale è quella di non considerare l’umanità di nessuno, salvo la propria. Atteggiamento preoccupante, crudele, e soprattutto stolto. Perché conduce ad una severità spropositata nei confronti degli altri e ad una capacità di perdono altrettanto spropositata nei propri confronti. Col risultato finale che, per quanto li riguarda, tutti si sentano maltrattati e condannati ingiustamente, mentre poi si sentono vittime di grandi ingiustizie e grandi prevaricazioni da parte degli altri, che non hanno fatto il loro dovere.
Viviamo immersi fino al collo in un oceano di accuse di tutti nei confronti di tutti, tanto che, se avessimo più buon senso, ciascuno di noi dovrebbe vigorosamente rifiutare la possibilità di essere indicato come “colui che ha agito”. Perché contro colui che ha agito opera in permanenza un Comitato di Salute Pubblica che ne chiede la testa. E non raramente la ottiene. Infatti, prevedendo l’imprevedibile, pensando l’impensabile e facendo l’impossibile, “quella morte si poteva evitare”. Se una moglie chiede al marito di comprarle le sigarette e quell’uomo, uscito in automobile, muore in un incidente stradale, dal momento che fumare fa male ed è quasi immorale; dal momento che chiedere agli altri di fare ciò che si può fare da sé è sfruttamento; dal momento che per un capriccio un uomo è morto e quella morte si poteva evitare, un giorno o l’altro vedremo quella signora accusata di omicidio colposo. Anzi, siamo più precisi: del gravissimo e nuovo omicidio stradale.
Non se ne può più. Siamo immersi nella mentalità degli anni intorno al 1792. Molte cose non vanno bene, siamo in pericolo, bisogna trovare e punire i colpevoli. Chi ghigliottiniamo, oggi?
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
5 ottobre 2018

QUELLA MORTE SI POTEVA EVITAREultima modifica: 2018-10-05T08:03:47+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “QUELLA MORTE SI POTEVA EVITARE

  1. Gent.mo Sig. Pardo,
    concordo totalmente con quanto ha scritto nel suo articolo “Quella morte si poteva evitare”.
    Al riguardo le suggerirei di guardare, se già non lo ha fatto, il film “Sully” di Clint Eastwood.

    Cordialmente

    (Siccome non vedo un’indicazione di “inviato”, ho provato diverse volte a spedire il commento. Spero non gliene siano arrivati una decina)

  2. Non solo: questa mentalità implica da un lato l’iper-responsabilizzazione di alcuni, dall’altro la totale deresponsabilizzazione della moltitudine.
    Un recentissimo caso da manuale, in questo senso, il padre del quindicenne morto cadendo dal tetto di un centro commerciale dove era salito di notte per farsi un selfie, il quale ha invocato “la verità” per la morte dello sventurato figlio, subito accontentato dai magistrati che hanno aperto un’inchiesta per valutare eventuali responsabilità da parte dei responsabili della struttura.
    Qualcuno deve pur prevedere che ad un ragazzino venga in mente di fare una bravata del genere e di conseguenza porre in essere tutti gli accorgimenti volti a prevenire spiacevoli incidenti, tutelando l’imprudente di turno nel suo sacrosanto diritto di togliersi tutti gli sfizi che sente di doversi togliere.

  3. Ringrazio per i gentili commenti. Vedo che siamo d’accordo.
    Ricordo quando imparai l’espressione inglese “foolproof”, detto di un oggetto capace di non provocare guai anche se uno sciocco vuole provocarli.
    La realtà non è foolproof, è questo che bisognerebbe insegnare. Insomma dire al giovane automobilista: “Guarda che se sbagli la curva e ti spiaccichi contro una roccia o un albero, la colpa non è della curva: è tua”.
    (L’unica condizione, lo scrivo per gli eventuali ingegneri del ramo, è che il raggio della curva non si accorci durante il percorso. Ma a questo pensano tutti gli ingegneri che fabbricano strade),

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