LA FESTA DELLA LIBERAZIONE

È normale che proviamo a non farci imbrogliare dal prossimo. Ma questo sforzo deve essere esteso anche ad un aggressore imprevedibile: noi stessi. Sia perché potremmo essere tentati di abbellire la realtà in nostro favore, sia perché potremmo alla fine credere una menzogna soltanto perché (alla Lenin) ci sarà stata ripetuta tante volte, da aver fatto rovinare le nostre difese mentali.
Sono stato bambino in un mondo in cui non si poteva essere che fascisti. Poi ho passato una vita assistendo all’eterna guerra mai vinta e archiviata contro il fascismo, tentando sempre di tenere la testa fuori dall’acqua dei possibili condizionamenti. E una domanda che mi sono posto più volte è stata: ma se avessi avuto vent’anni nel 1930, sarei stato fascista anch’io?
È giusto avere il dubbio, dal momento che moltissimi galantuomini, inclusa la folla di coloro che poi divennero comunisti, e che allora avevano quell’età, sono stati fascisti: da Montanelli a Scalfari, da Fanfani a Giorgio Bocca, da Giorgio Albertazzi a Dario Fo. Non quattro sprovveduti, come si vede. Ovviamente, se fossi stato fascista, mi sarei ampiamente perdonato. È difficile che un giovane abbia i dati e il coraggio per andare controcorrente nel fiume del presente.
E tuttavia penso che non sarei stato fascista. Credo che il mio temperamento mi avrebbe precluso ogni forma di unanimismo, di retorica, di illusione, di menzogna. Se da sempre non vedo il nostro Risorgimento come un’epopea (stante la lunga serie di sconfitte accumulate) come avrei potuto chiamare Rivoluzione la Marcia su Roma, quando si trattò di una gita in treno, conclusa con l’approvazione del Re? Come avrei potuto realmente compiacermi dell’Impero, quando avevamo gli scarti delle colonie, conquistati non sempre facendo bella figura sul campo di battaglia? Come dimenticare Adua? L’Italia guerriera non era più guerriera delle comparse dell’Aida. I gerarchi con la pancetta che fingevano di essere degli atleti mi avrebbero fatto ridere, ed avrei trovato patetico il Duce sul cavallo bianco. Molti sventolavano bandiere sul carro vincente del regime, ed io non sono mai stato bravo a sventolare bandiere. E questo quando il fascismo trionfava. Poi è cominciata la serie inenarrabile delle nostre tragedie, dalle leggi razziali allo scontro con i francesi, sul Moncenisio (a Francia già vinta), dalla sconfitta contro la Grecia, che avevamo aggredito noi, alla Libia, alla Russia, fino al marasma del 1943 e al disonore nazionale coniugato sull’intero setticlavio,
Se in qualcosa tutto ciò poté influire, sulla mia formazione, fu nella direzione di non credere mai alla retorica nazionale. Principio che mi è stato anche più utile del previsto, in quanto, dal 1943 in poi, la retorica nazionale ha soltanto cambiato di segno. Sono passato da Roma che ritrovava il suo spirito guerriero per riappropriarsi il suo eterno destino imperiale, a un Paese che non è mai stato fascista, non è mai stato alleato dei nazisti, non ha mai partecipato ai loro crimini. Il nuovo catechismo insegna che il fascismo è il male assoluto, non ha mai fatto né mai avrebbe potuto fare una singola cosa buona, e per giunta è un male che non è mai morto, nel senso che ancora oggi siamo tutti in trincea per lottare contro di esso. Baggianate monumentali. Ed io, per più di settant’anni, ogni volta che la radio, la televisione, i giornali, l’ufficialità, mi versavano nella mente una bugia, mi sono costretto a ripetere mentalmente: “Non è vero”. “Non è andata così”. “Questa propaganda è degna del fascismo”.
La semplice verità è che abbiamo perso ignominiosamente una guerra cui non avremmo dovuto partecipare, per giunta schierandoci dalla parte sbagliata, e alla fine della quale abbiamo assistito alla liquefazione dell’esercito italiano, alla fuga del Re da Roma, al marasma nazionale.
E da quel momento, invece di batterci il petto, invece di cercare di migliorare seriamente il nostro livello morale e civile, ci siamo ubriacati di bugie. L’Italia non è mai stata fascista. L’Italia ha vinto la guerra insieme con gli Americani (gli inglesi, chissà perché, erano spariti dalla storia, mentre sono stati i veri vincitori della Seconda Guerra Mondiale). l’Italia ha vinto la guerra contro il Nazismo, i partigiani hanno liberato l’Italia Settentrionale, ed erano i paladini della libertà, quando in realtà, per la maggior parte, erano comunisti, e auspicavano che in Italia comandasse Stalin. Ma già, i partigiani erano buoni e i repubblichini cattivi, mentre in realtà erano cattivi tutti, come avviene nelle guerre civili.
Infine, cosa che nessuno dice mai, secondo le Convenzioni di Ginevra i partigiani meritavano la morte senza processo, mentre tedeschi e repubblichini agivano in conformità a quelle norme. In guerra è permesso combattere ed anche uccidere, ma soltanto in divisa e con le armi ben in vista.
Per me il 25 aprile, se celebra il ricordo della guerra, è la ricorrenza di una tremenda, devastante, tragica sconfitta della mia Patria. Per fortuna siamo stati invasi da due popoli civili che ci hanno incoraggiati a scegliere il regime democratico. E ciò mentre metà dell’Europa era ridotta in schiavitù da quello Stalin invocato da tanti dei nostri partigiani. Più comunisti di Togliatti.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
25 aprile 2019

LA FESTA DELLA LIBERAZIONEultima modifica: 2019-04-24T19:59:06+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “LA FESTA DELLA LIBERAZIONE

  1. Prof. come Montanelli diceva: ci siamo coricati con la camicia nera e alzati la mattina dopo che era rossa,”e nuje int’ a sti cose simme maestri”. SAluti Prof.

  2. Tutto vero. Ciò nonostante mi chiedo : quali erano le alternative all’armistizio ? Continuare la guerra a costo di vedere l’intera penisola rasa al suolo come volle Hitler per la Germania ? Nemmeno i giapponesi arrivarono a tanto. Certo, finita la guerra era difficile trovare qualcuno che si dichiarasse ancora fascista. Innanzitutto perché era estremamente pericoloso ( ricordo che mio padre ospitò per una notte un fascista che dopo essere stato catturato dai partigiani era riuscito a scappare al quale avevano accecato un occhio ). Ma poi in mezzo a quel disastro chi volete che avesse ancora voglia di dichiararsi fascista ?

  3. Resta il fatto che le decisioni cruciali furono prese da un autocrate che dal ’38 in poi non esito’ ad andare contro la maggioranza persino dei suoi gerarchi, e chi ha tutto il potere porta anche tutta la responsabilita’ delle sue decisioni eventualmente sbagliate, non serve a nulla dire che il popolo era d’accordo, anche se non lo fosse stato non sarebbe cambiato nulla, e che fosse d’accordo e’ peraltro faccenda assai dubbia, dato il ventennio precedente di feroce propaganda anti-germanica, l’odiato nemico della prima guerra mondiale sulla cui celebrazione il fascismo nacque e prospero’. Il popolo che mi risulti inoltre non era per niente entusiasta di entrare in guerra, e i rapporti di polizia al duce se non ricordo male glielo ricordavano quotidianamente. Ad un certo punto, in tutto il paese si sperava che finalmente venisse bombardata anche Roma, cosi’ che gli alti papaveri assaggiassero anche loro le “bellezze” della guerra (en passant la riunione di cessata attivita’ del regime del 25 luglio 43 segue di 6 giorni il primissimo bombardamento su Roma, mentre le citta’ del nord assaggiarono le prime bombe gia’ il giorno successivo la nostra entrata in guerra: quale prontezza di riflessi quando la ghirba in gioco e’ la propria!)

    Sarebbe da non dimenticare anche un altro fatto, che con il senno del poi lascia pochi dubbi: lo stesso autocrate fece quanto in suo potere, con la sua indubbia energia ed abilita’ retorica, per trascinare il suo paese recalcitrante in un’altra guerra distruttiva per l’intero continente, la prima guerra mondiale, che lascio’ il paese in condizioni anche peggiori della seconda che abbiamo perso.

    Sarebbe opportuno rimarcare inoltre un fatto ben noto ma di solito mai ricordato, che la cosiddetta resistenza comincio’ SOLO DOPO la dimissione del fascismo il 25 luglio del ’43 e, come osserva Carlo sopra, l’armistizio deciso l’8 settembre dalla nostra autorita’ suprema e legittima il Re, quando anche tutte le altre autorita’ dotate di un briciolo di consapevolezza tranne il duce si resero conto che continuare la guerra non avrebbe avuto altro senso che quello di trascinare a fondo tutto e tutti assieme alla propria sconfitta, in un delirio nichilista. Come invece decise Hitler, peraltro non accettando nemmeno il nostro ritrarsi di fronte all’evidenza e trasformandoci in un protettorato ai suoi ordini diretti in cui l’unica alternativa al collaborazionismo era la resistenza, e ancor peggio i giapponesi, che arrivarono al punto di trasformare gli ultimi pochi aerei che gli erano rimasti in kamikaze, nel tentativo di provocare il maggior danno possibile a se’ e agli altri fino all’ultimo uomo piuttosto che arrendersi onorevolmente all’evidenza del proprio errore e della propria sconfitta. L’imperatore del giappone si arrese, peraltro contro il parere dei suoi fanatici alti comandi, prigionieri della loro follia nichilistica (al contrario che quelli nostri e della germania che un minimo di senso di realta’ l’avevano mantenuto), solo dopo le due atomiche, che se quanto detto sopra e’ vero non furono usate per niente, ma davvero accelerarono la fine della guerra diminuendo il danno e le perdite umane complessive, motivo che peraltro all’epoca fece decidere per il loro uso.

  4. Condivido in pieno il profondo commento critico di Gianni Pardo sul 25 aprile. A cio’ aggiungo quanto segue.
    Il dannoso spirito antinazionale così diffuso in Italia trova alimento nelle ricorrenti celebrazioni di quel periodo buio della Storia che si concluse con la sconfitta
    della patria nella seconda guerra mondiale.
    L’8 settembre, il 25 aprile e le altre date ben note identificano giorni che non significano assolutamente la stessa cosa per la maggioranza degli italiani con Mattarella in testa, e per gli esuli istriani, fiumani, dalmati, figli di quelle terre, la
    cui identità storica italiana di cultura, di passione, di destino fu spazzata via per sempre da quelle tremende vicende storiche in merito alle quali c’è veramente poco da celebrare.
    Date quindi non degne di proclamazioni trionfalistiche, proprio perché evocano la bandiera listata a lutto della sconfitta al termine di una feroce guerra civile europea, un bagno di sangue, e la perdita del bene più prezioso per i tanti italianissimi abitanti di quelle terre, privati per sempre della loro piccola patria e andati esuli per il mondo.

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