NON VORREMMO ESSERE NEI NOSTRI PANNI

Il nostro governo ha ricevuto la risposta al documento richiesto qualche giorno fa, e questa risposta è la peggiore che potevano darci: la Commissione Europea ritiene la procedura per debito eccessivo a carico dell’Italia “giustificata”. È la prima volta che l’Europa si appresta ad applicare questa procedura.
Nell’autunno dello scorso anno ci è stata minacciata la procedura “per infrazione” delle regole comunitarie – non per debito eccessivo – e il nostro governo, dopo decine di proclami aggressivi e gladiatori, mandò Tria a negoziare la resa. Il deficit previsto fu ridotto dal 2,4% al 2% (col gioco delle tre carte scrissero 2,04%, per conservare il “4”, quattro decimillesimi in più). Purtroppo l’andamento dell’economia è stato peggiore del previsto, e non siamo stati in grado di mantenere nemmeno quel 2%. E questo contribuisce a rendere giustificata la procedura d’infrazione.
Ma c’è di peggio. Come si diceva, stavolta la Commissione ci preannuncia una procedura “per debito eccessivo”. E qui, a naso, le cose divengono anche più difficili. Chi infrange le regole può promettere di comportarsi bene e non infrangerle più. Chi ha un debito eccessivo, invece, ha soltanto la possibilità di ridurlo (usando miliardi sonanti a questo scopo) o, malissimo che vada, a non aumentarlo. Ma già questo significa scordarsi tutti i provvedimenti di cui sogna l’attuale governo. Non basta: tutto questo entro il nove luglio. Noi che non siamo capaci di raddrizzare la rotta in un anno, stavolta dovremmo riuscirci in un mese. Chi ci crede alzi la mano. E tuttavia, o l’Italia obbedisce all’Europa o sono guai. O forse sono comunque guai. Probabilmente è per questo che sia Salvini sia Di Maio riconfermano i loro impegni: perché sono già nella melassa fino al collo, e possono anche affondare cantando l’inno nazionale.
Ma cerchiamo di essere analitici. Se l’Italia obbedisce, può scordarsi a tempo indeterminato la parola “deficit”. Non ci sarà un euro per tutti i progetti faraonici di cui si è parlato, e bisognerà rimangiarsi i provvedimenti stupidi e dannosi varati fino ad ora, ma di cui gli scervellati menano vanto. Né ci sarà un euro per finanziare la tassa piatta. Se denaro non ne abbiamo e l’Unione ci vieta di chiederlo in prestito, come potremmo – anche volendo – aumentare il debito pubblico? Con quale denaro si potrebbe fare il minimo sforamento, intendendo con questo la minima spesa in deficit? Non è nemmeno necessario che Bruxelles ci imponga in concreto qualcosa, basta che dichiari che il nostro debito non è affidabile, che essa in ogni caso non ci sosterrà, e i mercati non avranno più fiducia in noi.
E non basta. A fine anno, se soltanto vogliamo disinnescare la clausola di salvaguardia che ci impone di aumentare l’Iva (presto al 25%), abbiamo bisogno di una trentina di miliardi. E se non possiamo spenderli in deficit, se cioè non possiamo ottenerli in prestito, e dobbiamo tirarli fuori dalle nostre tasche, con prelievi forzosi da parte dello Stato, come sopporteremo questo sforzo? Soltanto per l’Iva si tratta di cinquecento euro a testa, dunque di duemila euro per una famiglia monoreddito di quattro persone. Ma, come si dice nel Sud, non si può cavare sugo da una pietra.
E allora facciamo che lasciamo aumentare l’Iva. Ma questo aumento corrisponde ad un aumento di prezzo del 3 o 4% di tutto ciò che è gravato di Iva. E si sa che l’Iva si paga anche sui servizi funebri. Insomma non ne scampiamo neanche morendo. Allegria.
Attualmente siamo alle raccomandazioni, efficacemente riassunte da Corinna de Cesare sul Corriere(1), e basta leggerle per rendersi conto che se, per alcune di esse, l’Italia non è disposta a seguirle, per la maggior parte si tratta di autentiche impossibilità pratiche. Insomma, se l’Europa parla seriamente, in luglio si avrà sicuramente la procedura d’infrazione per debito eccessivo. E bisogna dunque chiedersi quali saranno le ulteriori conseguenze. Purtroppo, pur cercando notizie sui giornali, regna la nebbia. Qualcuno – che spero ne capisca più di me – ipotizzava le seguenti soluzioni: o una maxi multa di tre miliardi e mezzo di euro, o l’arrivo della Troika (commissariamento economico dell’Italia da parte della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale) o l’espulsione dall’area euro. Ammettiamo che abbia ragione. La multa mi sembra inverosimile. Sarebbe come obbligare chi è in crisi iperglicemica a mangiare mezzo chilo di cassata siciliana. L’espulsione dall’euro non mi pare sia prevista nei testi da me intravisti, ma potrebbe verificarsi per ragioni obiettive. Se i mercati attaccano l’Italia, e questo attacco coinvolgesse l’Europa, questa per salvarsi potrebbe mollarci. Rimane la Troika, per cinque anni o più. E in quel caso ci potremmo porre un problema che probabilmente si pongono molti cinesi: è meglio avere un governo dittatoriale che non provoca disastri economici o un governo che ci assicura sia politicamente che economicamente la libertà di avviarci al default?
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

6 giugno 2019

(1)Corinna de Cesare
Le raccomandazioni
I nodi sono arrivati al pettine. E leggendo le raccomandazioni di Bruxelles all’Italia, i nodi sono sempre gli stessi. «Il debito italiano resta una grande fonte di vulnerabilità per l’economia» ha sottolineato l’Ue e le recenti «misure, con il trend demografico avverso, capovolgono in parte gli effetti positivi delle riforme pensionistiche del passato e indeboliscono la sostenibilità a lungo termine» delle finanze. Finanze danneggiate, com’è noto, anche dall’ «aumento dei tassi d’interesse dei titoli di Stato osservato nel 2018 e 2019». Ossia lo spread, tornato oggi ad aumentare.
Abbassare il debito
La regola del debito insomma «non è stata rispettata» nel 2018, nel 2019 e non lo sarà nel 2020, e quindi «è giustificata», secondo l’Ue, l’avvio di una procedura per debito eccessivo. L’Italia deve avviare necessariamente un cambio di rotta su questo ed altri punti, secondo la Commissione europea. «Le recenti politiche dell’Italia hanno inflitto danni — ha spiegato il vicepresidente per gli Affari finanziari Valdis Dombrovskis —. L’Italia paga per interessi sul debito tanto quanto spende per tutta l’istruzione, pari a 38.400 euro per abitante e la crescita si è quasi interrotta».
Bruxelles si aspetta che il debito italiano salga sia nel 2019 sia nel 2020 oltre il 135%, anche a causa di «un avanzo primario in discesa, e privatizzazioni non raggiunte». E dunque, «sebbene restino limitati i rischi di rifinanziamento nel breve termine, il debito pubblico resta una fonte di vulnerabilità».
Combattere l’evasione
Come abbattere il debito secondo Bruxelles? Usando le entrate inattese, spostando la tassazione dal lavoro ma soprattutto combattendo l’evasione. È questo un punto su cui l’Ue insiste in particolar modo sottolineando l’importanza di rafforzare l’uso di pagamenti elettronici e abbassare la soglia per i pagamenti in cash. Solo così, secondo la Commissione, si va nella direzione della lotta all’evasione, purtroppo ancora molto diffusa in Italia.
Secondo le statistiche del ministero dell’Economia, solo 38.291 persone dichiarano redditi superiori a 300.000 euro. A fronte di un total tax rate, l’insieme di tasse e contributi pagato da un’azienda in Italia superiore al 60%. E la pressione fiscale con l’ultima legge di bilancio è cresciuta dal 41,9 al 42,3%.
Ridurre la tassazione sul lavoro
Una delle raccomandazioni dell’Ue è quella di abbassare la tassazione sul lavoro. L’Ocse ha di recente diffuso il rapporto Taxing wages 2019 dedicato al cuneo fiscale, da cui emergono i differenziali esistenti tra i 36 Paesi che fanno parte dell’Organizzazione. Il cuneo fiscale misura di fatto la differenza tra il costo del lavoro per il datore di lavoro e la corrispondente retribuzione netta del lavoratore. Ebbene, l’Italia si colloca nelle prime posizioni: nel nostro Paese un lavoratore standard single e senza figli a carico è sottoposto a un cuneo fiscale del 47,9%. La percentuale è composta per il 16,7% di imposte personali sul reddito e per 31,2% di contributi previdenziali che ricadono in parte sul lavoratore (7,2%) e in parte sul datore di lavoro (24,0%). Il terzo posto dell’Italia è un gradino sotto il secondo posto della Germania (49,5%) e uno sopra il quarto della Francia (47,6%).
Attuare le riforme pensionistiche
Per Bruxelles il rallentamento economico «spiega solo in parte l’ampio gap» nel rispetto della regola del debito invece la «retromarcia» su alcune riforme pro-crescita del passato, come quella delle pensioni, ha avuto un ruolo importante. Il riferimento è a «Quota 100», l’operazione fortemente voluta dal governo 5 stelle-Lega e su cui Luigi Di Maio ci ha tenuto subito a sottolineare su Facebook: «Quota 100 non si tocca e, sia chiaro, le pensioni degli italiani non si toccano!».

NON VORREMMO ESSERE NEI NOSTRI PANNIultima modifica: 2019-06-06T08:40:42+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “NON VORREMMO ESSERE NEI NOSTRI PANNI

  1. “O l’Italia obbedisce all’Europa o saranno guai”

    (Purtroppo) saranno guai e anche seri, quasi certamente in salsa latinoamericana (leggasi: argentino-peronista, venezuelano-chavista o similari) sebbene abbondantemente in fascia tricolore… Saluti

  2. Di economia non me ne intendo per nulla, ma la soluzione potrebbe essere di sbloccare tutte le opere e cantieri fermi iniziare subito a lavorare e a far lavorare migliaia di persone dato che in molti casi i soldi ci sono già senza guardare tanto per il sottile, e se qualcuno si mette in tasca qualche bustarella pazienza, le ruote vanno unte dicono dalle mie parti.
    Ma tutto questo è impossibile vero?

  3. L’INFLAZIONE E LA DEFLAZIONE

    La moneta-merce è quel bene che, per la sua (più o meno grande) standardizzazione e (quando possibile) per la sua divisibilità, si presta a favorire gli scambi. In questo senso sono stati usati come monete le pecore (purtroppo indivisibili, da “pecora” derivano pecunia e peculio), il sale, l’argento, e soprattutto l’oro (incorruttibile e divisibile). La circolazione aurea non permette l’inflazione, se non in misura molto limitata. Infatti, per aversi inflazione, dovrebbe aumentare di parecchio la quantità d’oro circolante: evento improbabile, anche se in qualche misura si è verificato con la scoperta dell’America.
    Chi paga in oro, dà un bene in cambio di un bene, chi paga con cartamoneta paga con una “promessa” di prestazione, in beni o servizi. Il dottore paga con cartamoneta (una promessa) la carne del macellaio e il macellaio, quando avrà bisogno di essere curato, rimunererà il dottore presentando all’incasso quella promessa. Naturalmente, nella realtà, la cartamoneta-promessa può essere “spesa” nei confronti di chiunque, perché lo Stato ne rende il corso forzoso, cioè impone a tutti di accettarla.
    Il fatto che lo Stato possa stampare cartamoneta a volontà, fa sorgere il problema di quanta debba stamparne. Immaginiamo, semplificando molto, una società in cui cento soggetti producono cento beni che scambiano al prezzo di uno scudo (cartaceo) l’uno (100/100/100). Se, ad un certo momento, i beni prodotti divengono novanta, dal momento che le unità di moneta rimangono cento, si avrà una svalutazione della moneta. Infatti per acquistare un bene occorrerà uno scudo e dieci centesimi (100 scudi per 90 beni). Si chiama svalutazione. Se viceversa si producono centodieci beni a fronte di cento unità di moneta, dal momento che la moneta sarà divenuta più rara rispetto ai beni, ciò ne farà aumentare la domanda, e dunque il valore: per acquistare un bene, basteranno novanta centesimi. Si chiama deflazione.
    Negli esempi fatti, inflazione e deflazione dipendono dall’andamento dell’economia. Ma esse possono anche dipendere dall’azione dello Stato che, detenendo il potere di stampare denaro, teoricamente può provocare la deflazione o l’inflazione, secondo la quantità di moneta che mette in circolazione. E a questo punto il problema diviene di politica economica. Dal momento che si ha la possibilità di fare tanto l’una quanto l’altra cosa, lo Stato deve scegliere: se mantiene la circolazione della moneta al livello della produzione di ricchezza, anche se questa aumenta o diminuisce, i detentori di denaro o i percettori di reddito fisso mantengono inalterato il loro potere d’acquisto. Sarebbe l’ideale. Invece con la deflazione i cittadini potranno comprare più beni con lo stesso denaro di prima, con l’inflazione dovranno sborsare di più per avere gli stessi beni di prima. La scelta è dello Stato, ma le conseguenze ricadono sui cittadini. In particolare saranno beneficiati o defraudati i risparmiatori oppure i debitori, senza loro merito o demerito, esclusivamente per volontà dello Stato.
    Se si è attenti alle cronache economiche, si sarà notato che in questo periodo di bassissima inflazione, si sente dire da ogni parte che “bisogna far ripartire l’inflazione”, “bisogna evitare ad ogni costo la deflazione”, “bisogna che l’inflazione risalga almeno al 2% annuo”. Come spesso avviene, quando di un imperativo non si dà la spiegazione, si lascia intendere che la cosa è ovvia. In questo caso, in particolare, non è così.
    L’idea corrente è che lo Stato dovrebbe immettere denaro in circolo – anche provocando inflazione – per rilanciare l’economia. Ma questo rimedio è discutibile. Per anni lo Stato italiano ha immesso denaro nell’economia, e il risultato non è stato la prosperità: è stato l’enorme debito pubblico. Siamo lontani dall’ovvio. Meglio limitarsi alle conseguenze sicure.
    La deflazione beneficia il creditore (il risparmiatore, il percettore di reddito fisso), l’inflazione beneficia il debitore (chiunque abbia un debito, perché restituirà meno di quanto ha ricevuto). Ed è ammissibile che lo Stato voglia beneficiare o l’uno o l’altro, ma non può pretendere di farlo in obbedienza ad una legge economica per la quale la deflazione sarebbe un male e l’inflazione un bene. Né può appellarsi ad una legge morale, per la quale il debitore sarebbe moralmente migliore del creditore. La decisione è semplicemente politica. In particolare, se lo Stato favorisce più spesso i debitori, è perché in democrazia comandano i più e ci sono più debitori che creditori. Dunque che lo Stato faccia ciò che crede opportuno, magari arrivando a creare un debito pubblico di 2.130 miliardi di euro, ma non dica di farlo in obbedienza ad una legge economica o morale. Che almeno questa beffa ci sia risparmiata.
    Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
    2 gennaio 2015
    Aggiungo per Luca: il negoziante si accorgerà di dover alzare i prezzi perché si sono alzati prezzi anche per lui, nel momento in cui il suo fornitore gli vende la merce ad un prezzo superiore al precedente. Insomma l’inflazione, prima o poi (non contemporaneamente) colpisce tutti.

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