MONROE AL CONTRARIO

La “dottrina Monroe”, per riassumerla in poche parole, corrispondeva alla volontà degli Stati Uniti di vietare che l’Europa interferisse negli affari americani, dal Canada all’Argentina. In cambio l’America si sarebbe disinteressata degli affari europei. Sul momento – siamo negli Anni Trenta dell’Ottocento – quella teoria poteva far sorridere, talmente gli Stati Uniti erano una potenza secondaria. Ma nel tempo la dottrina non è mai stata dimenticata, ed è stata sentita come viva e vegeta. Se ne è vista un’energica applicazione quando il Presidente J.F.Kennedy ha vietato l’installazione di missili “europei” a Cuba, con le conseguenze che sappiamo.
Col tempo, la dottrina Monroe, malgrado i conflitti d’interesse, le gelosie, le rivalità fra i vari stati delle due Americhe, è divenuta una sorta di articolo di fede, ma dai tempi di Monroe il mondo è cambiato. Allora il pericolo era che un’Europa forte interferisse negli affari interni di un continente americano debole, oggi l’Europa è troppo debole perfino per far paura al generale Haftar, in Libia.
Altro ribaltamento della situazione: mentre allora l’America temeva che l’Europa cercasse di dominarla, oggi l’Europa teme che l’America cessi di dominarla e corrispondentemente di difenderla. E teme anche che essa si ritiri dal Vicino Oriente, come si è recentemente visto al confine siro-turco. Fino a lasciare un vuoto di potere che qualcuno dovrà pure occupare. E non è detto che lo faccia nell’interesse dell’Europa.
Il Presidente americano Donald Trump, per farsi eleggere – e probabilmente, presto, per farsi rieleggere – ha sventolato una bandiera con su scritto: “America first”, l’America prima di tutto. Ma forse sostanzialmente è andato oltre: non “prima degli altri”, ma “senza tenere nessun conto degli altri”. Trump si prenderà cura degli Stati Uniti e che il mondo si prenda cura di sé.
Questa nuova situazione mondiale corrisponde probabilmente ad un’inversione della marea. Chi conosce le infinite spiagge dell’Atlantico, ha visto la marea che si allontana dalla costa come se il mare dovesse totalmente sparire, e poi l’ha vista tornare, piano piano ma irresistibilmente, come se al contrario il mare avesse l’intenzione di riprendere il dominio di tutte le terre emerse. Il fenomeno è imponente in ambedue le direzioni, e insegna che anche le grandi tendenze possono invertire il senso di marcia. È quello che è avvenuto nella storia.
Per millenni la potenza si è misurata con l’estensione dei territori conquistati. Se l’Impero Romano è rimasto indimenticabile, non è soltanto per il suo lascito culturale – imponente ma non superiore a quello che abbiamo ereditato dalla minuscola Grecia – ma per avere conquistato tutto il mondo occidentale del tempo. Roma si è fermata soltanto quando è cessato il suo interesse, come nel caso della Scozia. Questa idea della potenza collegata all’estensione del territorio si è poi vista fra gli Stati europei, negli scontri per spartirsi le Americhe, per non parlare del fenomeno per cui, dalla protezione delle rotte commerciali, la Gran Bretagna è passata da isola non più grande dell’Italia a centro di un impero che colorava di rosa tutti gli atlanti geografici.
Ancora nell’Ottocento l’idea che la quantità di territori dominati corrispondesse a potenza era così diffusa, da aver agito come irresistibile molla per il colonialismo. Fino ad esiti, negli Anni Trenta del Novecento, che rasentavano il ridicolo, come il tentativo mussoliniano di dare un impero anche all’Italia. Poi anche il colonialismo è passato di moda, soprattutto perché lo si è caricato di tante calunnie da renderlo impresentabile. È divenuto un luogo comune della sinistra – e in generale dei sentimentali – credere che il colonialismo avesse come programma quello di depredare le colonie ed arricchire i Paesi dominanti. Anche se poi si è visto che, morto il colonialismo, ed anche l’Impero inglese, le ex madrepatrie non divennero per niente più povere, e nemmeno le ex colonie divennero più ricche. Per non parlare di Paesi come la Rhodesia inglese, denominata per la sua prosperità e il suo ordine la “Svizzera dell’Africa”, che poi, divenuta Zimbabwe, e guidata dal padre della patria Mugabe, ha conosciuto soltanto la dittatura, la fame e i massacri.
Ciò malgrado, le leggende continuavano a prevalere. Il colonialismo rimaneva impresentabile e milioni di persone continuavano a credere che l’estensione dell’impero fosse in relazione con la sua potenza. Non gli bastava la lezione della Russia che, pur dominando il territorio più vasto del mondo, è una potenza economica secondaria, al punto che, quando ha voluto essere una superpotenza militare, è implosa sotto il carico finanziario.
Ma il tempo passa e finalmente la marea, ritirandosi, mostra la spiaggia nuda. Così apprendiamo che, dominare vasti territori corrisponde soprattutto ad assumersi responsabilità, affrontare spese e sopportare la morte di giovani in divisa. Oggi Trump, col suo piatto buonsenso da businessman, si chiede: “Che me ne viene di chi comanda in Turchia o Siria? E della sorte dei curdi? Dei sauditi e di tutti gli altri? Se la Russia vuole occuparsene, si accomodi. Alla Fortress America tutto ciò importa ben poco”.
Messaggio molto scomodo, per l’Europa. Per settant’anni le anime belle dell’Europa hanno avuto il doppio vantaggio dell’ombrello americano e di dirne sempre male. Ora quell’ombrello a poco a poco si chiude, e ci chiediamo come faremo. Senza capire che questa preoccupazione, da sola, non ci risparmierà neanche una goccia di pioggia.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
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MONROE AL CONTRARIOultima modifica: 2019-10-20T12:01:43+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “MONROE AL CONTRARIO

  1. “America first”, l’America prima di tutto. Ma forse sostanzialmente è andato oltre: non “prima degli altri”, ma “senza tenere nessun conto degli altri”. Trump si prenderà cura degli Stati Uniti e che il mondo si prenda cura di sé.

    Ai tempi della seconda guerra mondiale, quando Hitler invase la Polonia (1/9/39), poi la Danimarca e la Norvegia, la Grecia e la Iugoslavia e infine la Francia, occupandola nel giugno del 1940 e imponendo il governo collaborazionista di Vichy, restava solo la Gran Bretagna a resistere e a contrastare la Germania nazista in Africa, sui mari e nei cieli (la battaglia d’Inghilterra).
    Churchill invocava l’aiuto americano ma, anche se FDR era molto vicino “intellettualmente” all’UK, l’opinione prevalente degli americani era di restare fuori dal conflitto.
    AMERICA FIRST era il motto del famoso trasvolatore Charles Lindbergh (repubblicano in politica) che esortava, appoggiato dai Media, di rimanere fuori dal conflitto.
    Hitler ruppe il patto di non aggressione e lanciò l’operazione Barbarossa il 22 giugno 1941, penetrando per quattro mesi con facilità dentro i territori dell’URSS e arrivando fino a pochi km da Mosca.
    Fortunatamente, Churchill e FDR riuscirono a trovare il compromesso che poteva aiutare gli alleati contro la potenza irresistibile di Hitler: la legge Lend-Lease (affitti e prestiti) con la quale riuscirono a “convincere” il congresso in nome della convenienza economica. Trump non era ancora nato!
    E fu una gran bella idea perchè dal marzo 1941 milioni di tonnellate di materiali incominciarono a rifornire britannici (subito) e sovietici (dopo) di tutto, dai vestiti ai cannoni, per un totale di 50 miliardi di USD. Fu in questo modo che Hitler fu rallentato, non vinto.
    Solo dopo Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, l’America entrò in guerra: i bravi cittadini americani si convinsero del pericolo ed accettarono di veder tornare i loro ragazzi nei sacchi neri.
    Alla fine Hitler mise la glassa sulla torta e dichiarò guerra all’America aprendo le porte alla sua disfatta.
    Da allora tutto cambiò ed il contributo degli USA fu quello di lanciare tutta la potenza economica, in patria facendo convertire le fabbriche e in guerra sacrificando quattrocentomila soldati (pochi in confronto ai 10 milioni di soldati sovietici) e milioni di tonnellate di materiali. Milioni furono i morti civili sotto ai bombardamenti (che risparmiavano i soldati).

    Questo lungo discorso per dire che concordo con il concetto che l’America oggi si muove solo nel proprio interesse ma, nel caso della seconda guerra mondiale, fortunatamente il loro interesse coincideva con il nostro e ci ha salvato le chiappe, contribuendo alla sconfitta del nazismo (in realtà sconfitto dai britannici e dai sovietici).

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