L’ITALIA È INNOCENTE

Ripensando alla vicenda dell’ex Ilva
In questi giorni i giornali sono stati pieni della vicenda dell’ex Ilva. Ora un po’ meno. Ma rimane un retrogusto di assurdità. Questi giorni sono serviti a dimostrare quanto la gente sia capace di credere che le parole abbiano il potere magico di cambiare la realtà.
Jindal – la società che era arrivata seconda nella gara per subentrare nella gestione dell’ex Ilva – non è disposta a farsene carico.
Innanzi tutto la faccenda è stata discussa in chiave morale. È vero, è in ballo il reddito di migliaia e migliaia di famiglie ma non serve a niente tutta una serie di giaculatorie. “La fabbrica non può chiudere”. Si sono sprecate parole come “inammissibile”, “inaccettabile”, (come se potessimo accettare o rifiutare) e si è parlato di regole che soltanto l’ArcelorMittal (e non l’Italia) avrebbe violato. Si è anche detto che è una questione di sovranità nazionale. Immagino il diritto sovrano di cambiare le carte in tavola. Insomma una corale disinformatia.
È del tutto inutile stracciarsi le vesti e far continuamente ricorso alla morale. Il problema è concreto e può essere risolto soltanto economicamente. Non basta dire che “una soluzione deve essere trovata”, bisogna dire qual è questa soluzione. Se siamo al quarantesimo piano di un grattacielo ed è scoppiato un incendio al ventesimo, è ovvio che abbiamo l’assoluta necessità di scendere a terra, per non morire bruciati. Ma da ciò deriva forse che saremo sicuramente salvati? Non basta indicare la necessità, bisogna indicare la soluzione per rispondere a questa necessità.
L’ArcelorMittal, come tutte le imprese, opera per il profitto. Se lo ottiene, fa di tutto per continuare ad ottenerlo; se non lo ottiene, fa di tutto per chiudere, prima di fallire. Non è né un ente di beneficenza né l’orco cattivo. Nel nostro caso aveva fatto inserire nel contratto la clausola essenziale dello scudo penale ed ha molte volte ripetuto che, senza, il contratto non sarebbe più stato valido. Lo Stato italiano, abolendo quella clausola esattamente in un momento in cui l’impresa perdeva due milioni al giorno, le ha offerto su un piatto d’argento l’occasione di andarsene. Per giunta accusando l’Italia di aver violato i patti e magari chiedendoci un risarcimento. Ora Conte le offre di inserire di nuovo (per la terza volta!) lo scudo penale (quello che lui giudica incostituzionale) e l’impresa dice no grazie. È credibile, è serio uno Stato del genere? Chi potrebbe fidarsene?
Ma, dicono i critici, l’impresa franco-indiana sta approfittando dell’occasione per ottenere ulteriori vantaggi. Qualcuno parla addirittura di “ricatto”. E infatti è vero che l’ArcelorMittal si è dichiarata disposta a riprendere la gestione dell’impresa se si tagliano cinquemila posti di lavoro, se ci si impegna soltanto per la produzione di quattro milioni di tonnellate di acciaio (se ho capito bene) e se, ovviamente, si introduce un serio scudo penale. Ciò dimostra – secondo i critici – che la revoca di quest’ultimo, operata su pressione (e azione del M5s) è stata un alibi. La risposta più semplice è: se è un ricatto, basta non accettarlo. Inoltre l’impresa ha già portato i libri in Tribunale; dunque è l’Italia che la rincorre, non essa che rincorre l’Italia. Proprio uno strano ricatto. Ma è interessante il fatto che si sia usata la parola “alibi”.
I giornali, e tutti quelli che hanno aperto bocca, avrebbero dovuto al massimo parlare di “scusa”. E sarebbe già stato un errore. Un argomento giuridicamente valido, non è una scusa, è un’arma pressoché imparabile. E qui si è addirittura usata la parola, “alibi”, adatta a un caso di omicidio. “La vittima è stata uccisa a Milano ed io posso dimostrare che quel giorno ero a Parma”. Dunque chi usa quella parola sostanzialmente accusa l’impresa di un crimine. Anche se giuridicamente risulta che non l’ha commesso. Andiamo bene. La realtà è che l’impresa si era immersa nella melassa (anche a causa delle mutate condizioni di mercato) e lo Stato italiano, gentilmente, l’ha tirata fuori. Ora che cosa va cercando?
Già questi pretesi “negoziati” sembrano assurdi. Com’è che la gente (Giuseppe Conte incluso) non si rende conto che per l’ArcelorMittal il vecchio contratto è morto e sepolto? Se richiede nuove condizioni, è perché alle precedenti perdeva due milioni al giorno. In tanto sarebbe disposta a rientrare nell’ex Ilva in quanto, stavolta, faccia profitti. Non si tratta di resuscitare un contratto morto ma di firmarne un altro. E si può sorridere di Conte che ha concesso all’ArcelorMittal 48 ore di tempo per ripensarci. Un ultimatum. Dimenticando che, alla scadenza, tutto quello che poteva fare era augurare buon viaggio al sig.Mittal.
Ma già, Conte è quello che ha detto che “Chi viene in Italia deve rispettare le regole italiane”. Dimenticando che, nel caso specifico, è l’Italia che non ha rispettato le proprie regole. È l’Italia che si è messa irrimediabilmente dalla parte del torto. Col corollario che le imprese multinazionali – che già si fidavano ben poco di noi – se ne fideranno ancora meno. E si terranno alla larga da questa penisola.
Raccogliamo i cocci del disastro da noi stessi provocato. Cerchiamo dei sostituti dell’ArcelorMittal, dimenticando che se, alle condizioni date, essa non faceva profitti, non li faranno nemmeno i possibili sostituti. E infatti la Jindal ha già dichiarato la propria indispobilità. Lo Stato italiano è un pessimo imprenditore, non ha i miliardi necessari per sostituire l’impresa franco-indiana e per giunta si vedrà vietare “l’aiuto di Stato” a favore di Taranto dalle autorità europee. E nel frattempo, che fanno i sindacati? Proclamano uno sciopero. Chissà chi dovrebbe intimidire.
Stupefacenti poi le tesi giuridiche confliggenti e ambedue risibilii. Giuseppe Conte, ritenendo che nel contratto ci sia l’immunità per l’ArcelorMittal, ha sostenuto che quello scudo penale è incostituzionale, perché costituisce un privilegio concesso al singolo. Mentre le leggi devono essere generali e astratte. Antonio Patuelli, ministro del Mise e successore di Di Maio nella carica, ha sostenuto che lo scudo penale che l’ArcelorMittal pretendeva di avere non è nel contratto, perché in esso non si parla di quell’impresa ma (immagino) di tutto un genere di imprese. Io non ho letto il contratto e non so quale sia la formulazione esatta, ma a Conte chiederei: se quella clausola è incostituzionale, come mai l’avete concessa due volte e siete disposti oggi a reintrodurla, per la terza volta, pur di indurre ArcelorMittal a rimanere? Quanto vale il vostro rispetto della Costituzione? E a Patuelli chiederei: “Non metto in dubbio la Sua sapienza giuridica. Ma come spiega che il resto del mondo parla di quella clausola e che sulla sua base l’ArcelorMittal se ne stia andando dall’Italia, senza che nessuno possa trattenerla? E poi: “Se la legge punisce chiunque uccide, posso sottrarmi alla norma sostenendo che essa parla di chiunque e non di Gianni Pardo?” Ma che Paese dei Balocchi è questo?
Ulteriore notizia orecchiata soltanto. I lavoratori o i sindacati “potrebbero costituirsi parte civile”. Ma in quale processo? E chi ha commesso un reato? Un diluvio di parole in libertà. Come quelle (credo di un esponente del M5s!): “Ci batteremo perché non si perda neanche uno solo dei quindicimila posti di lavoro dell’ex Ilva”. Battersi contro chi? I mulini a vento?
Così mi torna in mente che tanti anni fa dicevo ad un mio amico: “Io osservo le leggi, non dimentico le scadenze, leggo le istruzioni per l’uso, ho sempre messo la cintura di sicurezza ed ho avuto l’auto assicurata per la rca quando ancora nessuna di queste due cose era obbligatoria, e tuttavia qualche guaio non sono riuscito ad evitarlo. E me lo sono rimproverato. Come fanno coloro che vivono a caso, che non badano a niente, e sembrano non avere rimorsi? Non si mettono nei guai?” La risposta fu indimenticabile: “Hanno un sacco di guai, ma ne danno la colpa agli altri”.
Ecco perché l’Italia è innocente.

Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

L’ITALIA È INNOCENTEultima modifica: 2019-11-09T09:29:33+01:00da gianni.pardo
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