GianniP

IN ITALIA RAGIONARE È UN OPTIONAL

Scrive Dario Di Vico, sul Corriere(1) : “Le cronache di questi giorni ci segnalano il governatore Michele Emiliano che chiede il sequestro degli impianti dell’Ilva”, “mentre l’impresa “aspetta di essere venduta e sostenere oggi lo stop alla produzione – come ha fatto Emiliano – serve solo a sabotare l’unica exit strategy possibile”; “il sindaco di Bologna Virginio Merola che invece ripubblicizza il sistema fieristico”, soltanto “per evitare di razionalizzare gli organici” e, “dulcis in fundo, i piloti dell’Anpac che tentano ancora una volta di sabotare il risanamento dell’Alitalia. Tre robusti indizi fanno ancora una prova: manca quel senso di responsabilità che pure le avverse condizioni del ciclo economico renderebbero necessario”.
Le parole di Di Vico sembrano inoppugnabili, come sembra inoppugnabile che le rette parallele non debbano incontrarsi mai. Ma se si segue la geometria di Lobacewskij? Ecco, in Italia è come se non seguissimo Euclide. Per molti decenni da noi non si è guardato alle conseguenze economiche dei propri atti sulla collettività ma soltanto alle proprie finalità politiche, quando non – più semplicemente – ai propri interessi. E chi è stato allevato in quel mondo si disinteressa delle regole di buon senso.
Il fatto è che per troppi anni si è potuto prescinderne. Anche sapendo che si richiedeva qualcosa di assurdo, la gente non si fermava, perché pensava che “qualcuno avrebbe trovato la soluzione”. Ed effettivamente andava così. Lo Stato ha ripianato qualunque follia prima col denaro dei contribuenti e poi col denaro preso a prestito, fino all’attuale debito pubblico.
Se il leader della Cgil Luciano Lama poté affermare che “il salario era una variabile indipendente” dai costi dell’impresa, non fu perché era pazzo. Intendeva semplicemente che se le rivendicazioni dei salariati erano giuste, il fatto che l’impresa non fosse in grado di farvi fronte non importava: la differenza ce l’avrebbe messa lo Stato. E finiva che aveva ragione lui. Al limite “si nazionalizzava”, per istituzionalizzare la gestione in perdita.
Una simile mentalità è demenziale, naturalmente. Perché alla lunga lo Stato fallisce. Ma in Italia perfino questa semplice osservazione è stata ritenuta infondata. Da un lato i comunisti di allora (forse gli unici coerenti) volevano far saltare lo Stato borghese, per renderlo sovietico, e dunque non si curavano certo della sua salute economica. Dall’altro socialisti e democristiani, sulla base di una lettura tanto frettolosa quanto universalmente accettata delle teorie di John Maynard Keynes, erano convinti che più lo Stato spendeva, anche contraendo debiti, più prospera sarebbe stata l’economia del Paese. Fino ad accumulare un debito pubblico stratosferico.
Ma tutto ciò non ha insegnato nulla. Neppure attualmente si è cambiata idea. Di fronte ad una stagnazione spaventosa, che cosa invocano tutti i politici? Investimenti statali. Fatti naturalmente coi soldi che lo Stato non ha. Può sempre indebitarsi, no? Per il bene del Paese. Fra l’altro questo brutto verbo si evita parlando di “flessibilità”.
Di Vico non dovrebbe stupirsi. Emiliano, Merola, i dipendenti dell’Alitalia non sono dementi. La loro mentalità ha radici lontane. È vero, oggi vediamo le conseguenze delle passate follie, ma non raramente i rimedi invocati sono un aggravamento degli antichi errori. Il far di conto, l’attenzione al dare e all’avere, la semplice idea che non si può vivere soltanto facendo debiti, sono tutte cose fuori moda. E infatti in questi giorni piovono critiche sulla sindaca di Roma, che ha detto no ad ulteriori, enormi debiti, per i Giochi Olimpici a Roma nel 2024. Dice qualcosa il fatto che in Italia si parli da decenni di risparmi sulla spesa dello Stato e non si riesca mai attuarla? Matteo Renzi si vanta di economie per venticinque miliardi, e il suo stesso ex incaricato della spending review, Roberto Perotti, fa notare che venticinque sono stati risparmiati da un lato e altri venticinque sono stati spesi in più dall’altro. Nulla di fatto.
Qui non si tratta di difendere i dipendenti Alitalia, che sono in contrasto persino con i loro sindacati: si tratta di comprenderli. Basta far caso a questo particolare: per indurli a più miti consigli uno dei massimi dirigenti ha ricordato che notoriamente “la Compagnia perde cinquecentomila euro al giorno”. Quel signore non si è accorto che con quell’affermazione si è dato la zappa sui piedi. Se una Compagnia perde 500.000€ al giorno e non chiude, è segno che non tiene conto di entrate e uscite, dispone di introiti nascosti, o comunque riesce a vivere a spese di qualcun altro. E allora perché non scioperare? Come l’Alitalia non ha chiuso prima, non chiuderà nemmeno questa volta.
Gli ingegneri studiano scienza delle costruzioni. Per il pubblico invece solo il crollo di un palazzo insegna che ci sono delle regole, per edificarlo. Ora basta pensare che l’Italia è un edificio.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
21 settembre 2016
(1)http://www.corriere.it/opinioni/16_settembre_21/fai-da-te-fa-male-all-economia-non-meno-populismo-220fc6ac-7f53-11e6-882b-8c36c80b948f.shtml

IN ITALIA RAGIONARE È UN OPTIONALultima modifica: 2016-09-22T07:41:53+02:00da
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