GianniP

NON HA PERSO HILLARY, HA PERSO BARACK

 

di Bill McGurn, Wall Street Journal, 10/11/2016

La vittoria di Trump sta già ispirando riflessioni riguardo al futuro del Partito Repubblicano, ed è giusto così. I democratici invece hanno l’aria di non intraprendere nessuna introspezione di questo genere e questo è un errore, perché non sarebbero stati sbattuti interamente fuori dal potere dalle elezioni, se il pubblico americano non avesse rigettato i risultati e i metodi degli ultimi otto anni.
I “liberal” attribuiscono al direttore dell’FBI Jim Comey la colpa della sconfitta di Hillary Clinton, mentre i più onesti ammettono che i problemi sono stati lo scandalo delle sue email e il livello etico della Fondazione Clinton. Altri notano che quella donna era una candidata peggio che antipatica. La risposta che la sinistra dà in tutti i casi sembra essere che lo stesso popolo americano che elesse il Presidente Obama due volte ha mancato al suo tradizionale dovere di opporsi al sessismo, al razzismo e alla xenofobia.
Prendersela con la “reazione negativa dei bianchi” è stupido. Delle circa 700 contee statunitensi in cui Obama ha vinto due volte, circa un terzo questa volta ha votato per Trump. Ma queste razionalizzazioni culturali sono patetiche e istruttive. Troppi liberal, e alcuni conservatori, semplicemente non riescono ad immaginare quale grande numero di americani pensano e percepiscono i loro propri interessi. Così le opinioni sbagliate devono essere il risultato di limitazioni cognitive o tare di carattere. La signora Clinton ha chiamato i sostenitori di Trump “deplorevoli”, “insalvabili” e “non americani”. Come se non ci potesse essere altra spiegazione.
Queste mancanze di empatia sono anche una base costante della retorica di Obama, con le sue lezioni morali riguardo a chi siamo in quanto americani e il fatto che l’arco della storia si piega sempre verso… beh, verso il suo punto di vista. Per il Presidente, e la maggior parte dei democratici attualmente importanti, gli oppositori che discutono la loro politica e i loro principi non lo fanno mai in buona fede.
Per otto lunghi anni la credenza di Obama di aver ricevuto il suo mandato dal Cielo ha guidato il modo in cui egli ha usato ed abusato del potere presidenziale. È stato eletto nel 2008 su un messaggio di speranza e di unità centrista, ma presto si è visto che caricava come un toro per far passare priorità progressiste accumulate per quarant’anni. Si ricordi il famoso modo con cui mandò a quel paese il repubblicano Eric Cantor, che aveva proposta alcune idee bi-partisan per lo stimolo economico: “Eric, sono io che ho vinto”.
I democratici hanno imposto l’Obamacare assolutamente a colpi di maggioranza, benché i sondaggi mostrassero che non vi era un consenso politico, riguardo alle aspettative, in quel popolo americano tanto spesso invocato e tanto raramente consultato. L’assistenza sanitaria nazionale non è divenuta più popolare e sta attualmente dando quei risultati pessimi per ogni riguardo che i critici avevano previsto. Il Partito Repubblicano è stato escluso dalle più grandi decisioni economiche nel 2009 e nel 2010, e uno dei prezzi pagati è stato la ripresa debole che persiste ancora oggi.
I democratici avevano certo una supermaggioranza storica, ma ciò non costituiva un mandato per fare qualunque cosa riuscissero a fare. Così nelle elezioni di “midterm” è arrivata la punizione, ed hanno perso la quantità record di 63 seggi nel Congresso. Allora Obama schivò in direzione di una grande offerta con John Boehner, soltanto per tendere un agguato all’allora Presidente del Congresso con la richiesta di un aumento politicamente impossibile delle tasse, all’undicesima ora (alcune allusioni sono incomprensibili, NdT).
Il Presidente vinse la rielezione, nel 2012, trasformando una persona perbene come Mitt Romney in un mostro che avrebbe proseguito una “guerra alle donne”. Egli trasformò pure in armi le politiche di identità per polarizzare i votanti nella direzione dei suoi propri scopi.
In questi secondi quattro anni Obama ha adottato la sua strategia di “penna e telefono” per governare da solo, aggirando il Congresso ed evitando di dover rispondere delle sue azioni. Ha scatenato l’EPA per imporre le limitazioni ecologiche senza una base nella legge. Il Dipartimento dell’Educazione ha riscritto il Titolo IX per erodere il dovuto procedimento nell’università. Il patto sul clima di Parigi e l’accordo nucleare con l’Iran avrebbe dovuto essere sottoposti al Senato per la ratificazione, in quanto trattati.
Alcuni di questi azzardi sono stati posti in scacco dalle Corti, e la sinistra dovrà imparare che ciò che è stato fatto mediante semplici regolamenti potrà essere disfatto mediante nuovi regolamenti. Ma i liberal hanno anche “normalizzato” tali abusi, per prendere a presto un’espressione attualmente popolare fra i progressisti. A quanto pare, quando il Congresso rifiuta di votare le leggi che il Presidente desidera, questi ha il potere di realizzare da sé i suoi scopi. Questo non è il modo in cui funziona la democrazia americana, e ciò ha inevitabilmente creato le corrispondenti controreazioni politiche nella forma di Donald Trump.
***
I democratici ora si trovano a fronteggiare alcune decisioni riguardo a come comportarsi con una maggioranza repubblicana, e l’ironia della sorte vuole che i loro metodi al tempo di Obama renderanno il lavoro di Trump più facile. La decisione di Harry Reid ed Obama di porre un termine all’ostruzionismo per le nomine renderà più agevole il sentiero per il governo Trump per le nomine giudiziarie. Un Senato repubblicano non tollererà ostruzionismi per la scelta riguardante la Suprema Corte.
La sinistra di Elizabeth Warren vorrà che il partito respinga ogni accordo bipartisan, sperando di mobilitare la base per spazzar via il Congresso repubblicano nel 2018. Ma i democratici dovranno difendere 25 seggi del Senato, e parecchi in Stati che sono andati decisamente a Trump. Una strategia di rigetto comporta rischi politici, non certo di meno in Stati dove la strategia totalitaria di Obama ha lasciato i democratici nella loro più debole posizione da novant’anni.
Un risultato del comportamento di Obama è che i democratici non hanno una lunga panchina di candidati giovani per gli uffici federali, inclusa la Presidenza, nel 2020. Un terzo di tutti i democratici al Congresso attualmente viene più o meno soltanto da tre Stati, la California, New York e il Massachusetts. Anche un candidato di talento come Jason Kander, un veterano militare che si batté con forza contro il senatore Roy Blunt nel Missouri, non ha potuto vincere contro la marea di Trump.
La lezione per i furbi democratici è che gli scopi della politica progressista non possono essere imposti ad una riluttante America con un diktat politico. Devono essere ottenuti con la persuasione e inevitabilmente per via di compromessi. Contare sui giudici e i regolamenti ha lasciato milioni di americani col sentimento di essere stati privati del diritto di voto ed ha ispirato la reazione a favore di Trump. Non si è trattato di razza, di genere o delle email di Hillary Clinton. Si è trattato per loro di esigere di avere voce in capitolo sul modo come è governato il Paese.
La stessa lezione politica si applica a Trump e ai repubblicani mentre cercano di far passare l’agenda per la quale hanno fatto la campagna elettorale. Essi hanno ora questa occasione in larga misura perché le politiche progressiste di Obama sono state così poco aperte al compromesso e condiscendenti riguardo agli americani da costa a costa [da renderla possibile]; ma le maree della politica americana indicano che i democratici inevitabilmente avranno di nuovo la loro ora, e quel ritorno si verificherà più fortemente e forse prima se essi impareranno le lezioni della boria di Obama per i suoi oppositori politici.
(Traduzione dall’inglese di Gianni Pardo)

Trump and the Democrats
The lesson: Progressive government can’t be imposed from the top.
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Main Street Columnist Bill McGurn on the party’s angry reaction to Tuesday’s electoral defeats.
Nov. 10, 2016 7:26 p.m. ET
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Donald Trump’s victory is already inspiring reflection about the future of the Republican Party, and rightly so, but Democrats don’t seem to be undertaking any similar introspection. This is a mistake, because they wouldn’t have been ushered out of power up and down the ballot if the American public wasn’t rejecting the results and methods of the last eight years.
Liberals are attributing Hillary Clinton’s loss to FBI Director Jim Comey, while the more honest admit her email scandal and Clinton Foundation ethics were problems. Others note she was a less than inspiring campaigner. The left’s all-purpose answer seems to be that the same American people who elected President Obama twice have defaulted to their traditional sexism, racism and xenophobia.
Blaming “white-lash” is silly—of the roughly 700 U.S. counties that Mr. Obama won twice, about one-third broke this time for Mr. Trump—but these cultural rationalizations are lamentable and instructive. Too many liberals, and some conservatives, simply cannot imagine how great numbers of Americans think and perceive their own interests. Thus wrong opinions must be the result of cognitive limitations or character flaws. Mrs. Clinton called Trump supporters “deplorables,” “irredeemable” and “not America,” as if there could be no other explanation.
These failures of empathy are also a staple of Mr. Obama’s rhetoric, with his moral lectures about who we are as Americans and the arc of history always bending toward—well, his point of view. For the President, and most prominent Democrats these days, opponents who debate policies and principles never do so in good faith.
For eight long years Mr. Obama’s belief that he holds the mandate of heaven has guided how he has used and abused presidential power. He was elected in 2008 on a message of hope and centrist unity, but he was soon ramming through 40 years of pent-up progressive priorities. Recall his famous 2009 brush-off of Republican Eric Cantor, who had proposed some bipartisan ideas for the stimulus: “Eric, I won.”
Democrats imposed ObamaCare on a straight partisan majority, though the polls showed there was no political consensus about a new entitlement among the oft-invoked, rarely consulted American people. National health care is no more popular today and is now misfiring in all the ways the critics predicted. The GOP was frozen out of all major economic decisions in 2009-10, and one price was the weak recovery that persists to this day.
Democrats did have a historic supermajority, but that wasn’t a mandate to do whatever they could get away with, and they lost a record 63 House seats in the midterms as punishment. Mr. Obama then feinted toward a grand bargain with John Boehner, only to ambush the then Speaker with politically impossible tax-increase demands at the 11th hour.
The President won re-election in 2012 by converting a decent man like Mitt Romney into a monster who would prosecute a “war on women.” He also weaponized identity politics to polarize voters for his own purposes.
In his second term, Mr. Obama adopted his “pen and phone” strategy of executive rule to bypass Congress and avoid accountability. He unleashed the EPA to impose carbon cap and trade without basis in law. The Education Department rewrote Title IX to erode due process on campus. The Paris climate deal and Iran nuclear accord should have been submitted to the Senate as treaties for ratification.
Some of these gambits have been checked by the courts, and the left will learn that what’s done through regulation can be undone through new regulation. But liberals have also “normalized” such abuses, to borrow a now-popular phrase among progressives. Supposedly when Congress refuses to pass bills that the President desires, he has the power to achieve his aims by himself. That isn’t how U.S. democracy works, and it inevitably created its political counter-reaction in the form of Mr. Trump.
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Democrats now face some decisions about how to deal with a Republican majority, and one irony is that their methods under Mr. Obama will make Mr. Trump’s job easier. The Harry Reid-Obama decision to break the filibuster for nominations will ease the path for Mr. Trump’s cabinet and judicial nominees. A GOP Senate won’t tolerate a filibuster of a Supreme Court pick.
The Elizabeth Warren left will want the party to reject any bipartisan accommodation, hoping to mobilize their base to sweep out the GOP Congress in 2018. But Democrats will be defending 25 Senate seats, several in states that went decidedly for Mr. Trump. A rejectionist strategy carries political risks, not least in the states where the Obama top-down strategy has left Democrats in their weakest position in 90 years. (See nearby.)
One result of Mr. Obama’s tenure is that Democrats lack a deep bench of younger candidates for federal office, including the Presidency in 2020. A third of all House Democrats will now come from a mere three states—California, New York and Massachusetts. Even as talented a candidate as Jason Kander, a military veteran who ran strongly against Senator Roy Blunt in Missouri, couldn’t win against the Trump tide.
The lesson for smart Democrats is that progressive policy goals can’t be imposed on a reluctant America by political diktat. They have to be won by persuasion and inevitably by compromise. Relying on judges and regulation left millions of Americans feeling disenfranchised and inspired the Trump backlash. This wasn’t about race or gender or Hillary Clinton’s emails. It was about reclaiming a voice in how their country is governed.
The same political lesson applies to Mr. Trump and Republicans as they seek to pass the agenda they campaigned on. But they now have that opportunity in large part because the Obama progressives were so uncompromising and condescending to Americans beyond the coasts. The tides of American politics mean Democrats will inevitably make a comeback, but that return will arrive stronger and maybe sooner if they learn the lessons of Mr. Obama’s disdain for his political opponents.

NON HA PERSO HILLARY, HA PERSO BARACKultima modifica: 2016-11-13T15:19:10+01:00da
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