GianniP

LA RAGGI, COLPEVOLE O VITTIMA

Che sia perché mi disgusta lo spettacolo di venti cani dietro una volpe, o perché tengo sempre molto conto della buona fede o infine, molto più banalmente, perché Virginia Raggi è una bella donna, certo è che le sue vicende mi rendono triste.
Ho seguito poco la sua vicenda. Ma ho avuto da fare abbastanza a lungo con i giovani per sapere quanto siano poco informati, quanto siano suggestionabili, quanto possano prendere sul serio le “verità” di moda. E se scuso gli adolescenti della Hitlerjugend, figurarsi se non posso perdonare l’incultura politica di una giovane avvocata romana. Alla sua età non si sa ancora a che punto la politica è “sangue e merda”, come diceva Rino Formica. A che punto essa sia un intrico di falsità, interessi, tradimenti, imprevisti, eccessi di moralismo ed eccessi di immoralità. Dunque, come rimproverare in particolare lei di avere creduto che ad amministrare la Cosa Pubblica bastasse il buon senso di una massaia, se questo non soltanto lo proclamava alto e forte il suo movimento, ma sembravano crederlo milioni e milioni di italiani, i quali per giunta non avevano votato per una massaia piena di buon senso, ma per un comico specialista in turpiloquio?
Ora molti dicono che Virginia si è dimostrata inadeguata. E sia. Ma non era questo, che ci si attendeva da lei? Non è forse vero che è stata scelta perché nuova, perché non specialista della politica, perché non inserita nei giochi, non avvezza a frequentare i corridoi, quando non i lupanari. della politica? E allora siamo sicuri che sia lei la causa del disastro di Roma, e non piuttosto quelli che l’hanno mandata avanti, dandole per tutto corredo politico e militare la sua buona fede e la sua buona volontà?
Qualcuno l’accusa di non aver dato sufficiente ascolto a Beppe Grillo, ma dimentica che se lei l’avesse fatto, la si sarebbe accusata di essere un burattino nelle mani del leader. “E che vi aspettavate da una donna, bella e giovane per giunta, che fosse una sorta di Talleyrand?”, avrebbero detto i maschilisti nostrani. Ammesso che sapessero chi fu Talleyrand.
Se fosse stata mia figlia le avrei caldamente sconsigliato, otto mesi fa, la scalata al Campidoglio. E forse lei non avrebbe ascoltato il parere di un vecchio insignificante. Di uno che, a forza di schivare in anticipo i colpi del destino, non ha combinato niente nella vita. Eppure ancora una volta l’esperienza avrebbe avuto ragione. In politica come in guerra si è giudicati dai risultati e poco importa se essi sono dovuti a meriti o demeriti. O anche semplice frutto del caso. È un mondo in cui l’ambizione e l’interesse prevalgono su qualunque cosa e in cui, troppo spesso, gli slogan sono presi sul serio soltanto dagli ingenui.
Governare Roma! Ripulire Roma! Contrastare un andazzo di inefficienza giunta a livelli di opinio iuris et necessitatis, se non di religione. Ercole si sarebbe schermito. Dracone avrebbe temuto di non essere preso sul serio. Forse si può lottare contro Cosa Nostra, ma in una città piena di Alberto Sordi, legati da un’alleanza oggettiva, che speranze si hanno?
A Roma, come ha detto Paola Taverna, il destino ha complottato con i nemici del M5S per farlo vincere. E si parla di disastro mentre ancora si discute della squadra di comando. Che farà, la Raggi, quando si tratterà di affrontare i problemi? In politica si vincono le elezioni promettendo di risolverli, poi se ne misura l’insolubilità e soltanto i più abili riescono a sopravvivere al confronto con la realtà. E con la delusione degli elettori. Ecco perché alcuni personaggi su cu si tende a fare dell’ironia, come Giulio Andreotti, sono dei giganti della politica. E forse della storia.
Se i partiti fossero organizzazioni serie, dovrebbero prima conoscere bene i problemi di una grande città. Poi avere una precisa idea degli interventi possibili e del modo di realizzarli. Infine, magari promettendo l’impossibile – come d’uso – mandare avanti una figura seducente, anche una giovane come Virginia Raggi, lasciandole soprattutto l’incarico di tagliare i nastri delle inaugurazioni, e poi incaricare gli oscuri competenti di realizzare il programma studiato, spiegando nel frattempo ai cittadini che era impossibile fare di più. Nella realtà invece siamo all’improvvisazione. All’iniziativa dei più ambiziosi. All’errore imperdonabile di credere alla propria stessa retorica.
Il Movimento di Grillo non sa quanti ceri dovrebbe portare alla Madonna di Pompei per ringraziarla di avergli consentito di fare l’esperimento con una sola città, seppure grande. Se questi filodrammatici parrocchiali avessero avuto le leve del potere centrale, c’è da chiedersi se sarebbero bastati i decenni, a riparare i danni e a calmare la rabbia degli italiani.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
20 dicembre 2016

LA RAGGI, COLPEVOLE O VITTIMAultima modifica: 2016-12-20T08:23:16+01:00da
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