ISRAELE E COREA DEL NORD – Un articolo interessante

Di Zev Chafets
Israele e la Corea del Nord sono sui lati opposti del continente asiatico, separati da ottomila chilometri, a volo di missile balistico. Ma gli israeliani si sentono molto vicini allo stallo nucleare fra Washington e Pyonyang. Essi infatti hanno fronteggiato questo genere di crisi in passato, e forse lo faranno in futuro.
Un po’ di storia. A metà degli anni Settanta, divenne chiaro ad Israele che l’Iraq di Saddam Hussein stava lavorando per acquisire armi nucleari e missili per recapitarle al destinatario. Saddam aveva già dimostrato una brutalità senza limiti nei confronti dei suoi nemici interni e nei confronti dei suoi vicini. Egli aspirava a divenire il leader del mondo arabo. Sconfiggere Israele era il primo punto della sua lita di cose da fare.
Dopo essere stato nominato primo ministro, nel 1977, Menachem Begin provò a convincere gli Stati Uniti e l’Europa che Saddam era un pericolo chiaro e attuale per lo Stato ebraico, e che bisognava passare all’azione. Begin non fu preso sul serio.
Ma Begin faceva sul serio, e nel 1981 decise che Israele avrebbe dovuto fermare il dittatore irakeno da sola. Gli oppositori politici di Begin, guidati da Shimon Peres, certo persona perbene, consideravano questa una pericolosa follia. Il Ministro degli Esteri Moshe Dayan, il leggendario ex Capo di Stato Maggiore, votò contro l’idea di un’azione unilaterale, sulla base del fatto che ciò avrebbe peggiorato l’immagine internazionale di Israele. Il Ministro della Difesa Ezer Weizmann, ex capo dell’Aeronautica (e cognato di Dayan) era anche lui contro l’azione militare. Pensava infatti che la missione fosse inaccettabilmente pericolosa.
Begin non aveva competenza militare. Ma la sua famiglia era stata annientata nell’Olocausto. Guardava Saddam, che stava apertamente minacciando Israele, e vedeva Hitle4r. Per Begin, stare seduti e sperare che tutto andasse bene non era una strategia; era un invito all’aggressione. Se c’era un costo politico, diplomatico e militare da pagare, meglio pagarlo prima, e non dopo, che gli irakeni avessero la bomba.
Nell’estate del 1981 Begin dette l’ordine. L’aeronautica militare israeliana distrusse il rettore Osirak. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condannò l’attacco. Gli europei dettero di matto. Il New York Times definì l’atto “inescusabile”. Ma il primo ministro israeliano non cercava di essere scusato dal Times o dagli europei, o perfino dall’Amministrazione di Ronald Reagan, di solito amichevole. Enunciò un semplice principio logico che finì con l’essere designato come Dottrica Begin: Israele non poteva permettere ai suoi nemici dichiarati di avere i mezzi per distruggerla.
La saggezza di questa dottrina divenne chiara un decennio dopo, durante la Guerra del Golfo, quando Saddam Hussein realizzò la sua minaccia di sparare missili SCUD di fabbricazione russa contro le città di Israele. Gli SCUD arrivarono a destinazione, e provocarono qualche danno e un bel po’ di panico, ma non erano armati con testate nucleari. Israele aveva tolto dal gioco questa possibilità.
Analogamente, nel 2007, Israele confermò ciò che aveva sospettato per cinque anni: la Siria, con l’aiuto della Corea del Nord, stava cercando di costruirsi un reattore nucleare. Il Primo Ministro Ehud Olmert, un discepolo di Begin, spedì il capo del Mossad Meir Dagan a Washington, per richiedere l’intervento americano. Il capo della CIA, Michael Hayden, fu d’accordo con la risoluta affermazione di Israele, secondo cui Damasco (col finanziamento iraniano) stava costruendo il reattore. Ma Hayden convinse il Presidente George W.Bush che bombardare il cantiere avrebbe condotto ad una vera guerra, e chi poteva volere una cosa del genere?
Facendo da sé, Israele distrusse il cantiere siriano. a quanto dicono uccidendo in questa occasione un gruppo di esperti nordcoreani. Hayden si sbagliava sul modo in cui avrebbero reagito la Siria, come più tardi ammise egli stesso. Se Israele fosse stata ragionevole ed avesse ascoltato la Cia, Bashar al-Assad proprio attualmente avrebbe armi nucleari.
Pochi anni dopo, il Primo Ministro Netanyahu e il Ministro della Difesa Ehud Barak hanno speso miliardi di dollari per prepararsi ad eliminare il programma nucleare iraniano. Barak, che pure non era un membro del partito di destra di Netanyahu, il Likud, spiegava: “Vi sono momenti in cui sembra che attualmente non sia necessario attaccare, ma voi sapete che, dopo, non sarete più in grado di farlo”. In casi simili, disse, “le conseguenze dell’inazione sono gravi, ed è necessario agire [subito]”.
Ad Israele un’azione risoluta fu impedita dall’Amministrazione di Barack Obama che insieme con altre cinque potenze siglò un patto con l’Iran, nel 2015. Naturalmente malgrado le rumorose obiezioni di Israele. Netanyahu ammonì che quel patto era pieno di falle; che avrebbe permesso all’Iran di nascondere il suo programma nucleare e di continuare a costruire nuovi missili capaci di portare queste armi. Ciò è stato confermato nel 2016 quando l’Iran effettuò il test di un nuovo missile. “La ragione per la quale abbiamo progettato i nostri missili con un raggio di duemila chilometri – disse il Brigadiere Generale iraniano Amir Ali Hajizadeh, “è per essere in grado di colpire il nostro nemico, il regime sionista, da una distanza di sicurezza”.
Da allora, l’Iran ha sempre aumentato la sua aggressiva inimicizia nei confronti dell’Entità Sionista. Non soltanto ha continuato la sua cooperazione nucleare con la Corea del Nord, ha anche copiato la tattica di Pyongyang di creare una formidabile minaccia di artiglieria contro la popolazione civile (attraverso la forza mandataria di Hezbollah in Libano ed ora in Siria). Questa minaccia convenzionale contro Seul è ciò che ha convinto una grande quantità di commentatori americani che qualunque attacco contro la Corea del Nord condurrebbe ad un “impensabile” numero di vittime.
Eliminare dalla mente i pensieri cattivi è un lusso che Israele non si può permettere. Ha dunque installato un sistema di difesa antimissilistica efficiente (qualcosa che non va oltre i mezzi dei sudcoreani e degli Stati Uniti). Si è pure preparata a neutralizzare la minaccia di un bombardamento. L’esercito israeliano sta attualmente realizzando le più grandi esercitazioni militari da diciannove anni. Lo scopo annunciato è quello di prepararsi alla guerra con gli Herzbollah. Israele non intende permettersi di essere tenuta in ostaggio da una minaccia iraniana alla sua popolazione civile, o di avere le mani legate dalla teoria dell’impensabilità.
Questa settimana, il Ministro degli Affari Esteri a Gerusalemme ha pubblicato una condanna della Corea del Nord. “Soltanto una risposta internazionale molto efficace impedirà che altri Stati si comportino nello stesso modo”. Chiaramente, gli “altri Stati” erano un riferimento all’Iran. Ed era anche un messaggio agli Stati Uniti.
Israele, per lunga esperienza, sa che non esiste qualcosa come una comunità “internazionale”, quando si tratta di sicurezza. Ciò che sta accadendo attualmente nell’Asia orientale è un prodotto americano. L’amministrazione di Donald Trump è stata molto chiara, per non dire bellicosa, nel chiedere alla Corea del Nord di rinunziare alle sue ambizioni e alle sue armi nucleari. E questo è stata pure la politica delle precedenti amministrazioni americane. Ma Presidenti come Bill Clinton, George W.Bush ed Obama non erano seri, al riguardo. Essi hanno lasciato che le cose andassero avanti. Disegnavano linee immaginarie, facevano discorsi che non conducevano a nulla e speravano che tutto andasse bene.
Ma le cose non sono andate nel modo desiderato. Quasi mai lo fanno. La Corea del Nord è ora veramente pericolosa – diversamente dall’Iraq e dalla Siria, essa ha già armi nucleari – e le cose non cambieranno in meglio, col tempo. Trump ha detto questo in termini assolutamente chiari. Ma fino ad ora si è trattato di parole. Il Presidente potrebbe star parlando sul serio. Ma potrebbe anche non star parlando sul serio. Forse finirà col pentirsi di essersi messo a discutere con Kim. Forse vedrà ciò come l’errore di un principiante. Potrebbe essere tentato di invertire la rotta e cercare di salvare la faccia con sanzioni fasulle, con vuote risoluzioni delle Nazioni Unite o con negoziati senza frutto. Non lo sto giudicando. Non mi sono trovato nei suoi panni, e non mi piacerebbe essere nei suoi panni.
Ma se il Presidente americano realmente fa marcia indietro, se Kim Jong-un rimane al potere, se mantiene le sue testate nucleari e i suoi missili balistici, e se continua a minacciare gli Stati Uniti e i loro alleati di distruzione nucleare, ogni amico o nemico di Washington riesaminerà la tabella della propria strategia generale. Per Israele, tanto lontana dalla Corea e al contrario così vicina all’aggressione iraniana, questo documento comincia con la Dottrina Begin.

Zev Chafets,  
zchafets@gmail.com
Traduzione dall’inglese di Gianni Pardo
https://www.bloomberg.com/view/articles/2017-09-07/israel-has-a-playbook-for-dealing-with-north-korea

ISRAELE E COREA DEL NORD – Un articolo interessanteultima modifica: 2017-09-09T07:22:30+02:00da gianni.pardo
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