FORSE AVREMMO VOLUTO MORIRE DEMOCRISTIANI

Quando qualcuno dice d’avere trovato una cura per il cancro, trova orecchie attente e molte persone disposte a credergli. Il desiderio di trovare quella panacea è così grande che opera il principio latino per cui “credunt quod cupiunt”, credono ciò che desiderano credere.
In realtà, già l’annuncio dovrebbe rendere scettici. Il cancro non è un singolo nemico: è un esercito di mali diversi, e l’arma che potrebbe sconfiggerne uno potrebbe lasciare indenni gli altri. Poi comunque le guarigioni non si hanno e il nome dello scienziato che stava per risolvere l’enigma della Sfinge viene dimenticato.
Sia in negativo, sia in positivo, i risultati contano più delle illusioni e dei pregiudizi,. Molte delle grandi scoperte delle medicina sono state accolte dalla diffidenza e spesso dall’aperta ostilità della classe medica, e tuttavia la loro validità ha finito con l’imporsi. Si pensi all’asepsi o ai vaccini.
In politica avviene lo stesso. Normalmente, gli “addetti ai lavori” parlano molto, fanno poco, e finiscono con l’apparire dei mediocri. Così, quando appare colui che annuncia fiducioso la soluzione del problema, molti sono disposti a credergli. Semplicemente perché credunt quod cupiunt. Purtroppo, anche in questo caso i guaritori sono condannati a “deliver”, a realizzare ciò che hanno promesso. E se non ci riescono – come è naturale – nella maggior parte dei casi vengono messi da parte, come Guglielmo Giannini, o vivacchiano nel mondo della politica, come quei ciclisti che hanno vinto una sola volta una tappa e poi passano i decenni a correre da gregari.
Questa è la storia di Matteo Renzi. È entrato in scena è stato nel modo più clamoroso, più tonitruante, più promettente che si potesse immaginare e poi, nel giro d’un paio d’anni, si è giocato tutto. Ha ripetuto infinite volte le sue promesse, ha inventato trionfi politici ed economici in cui pochi hanno creduto, e alla fine è stato rimosso dal potere. La magia si era spenta. Per perdonarlo non è bastata neppure la considerazione che non soltanto lui, ma nessun altro avrebbe potuto realizzare ciò che lui proclamava.
E questa è soltanto una parte della storia. Renzi è passato dall’essere Alessandro Magno all’essere il diadoco di sé stesso. E per giunta ha per così dire avvelenato i pozzi. Più abile nella tattica che nella strategia, più efficace nelle scaramucce (se non nelle risse) che nella grande politica, ha seminato tanto odio da avere sconvolto l’intera sinistra. E dire che essa in Italia aveva radici solide e profonde. Oggi, per un elettore che un tempo votava per il Pci, il risultato è sconfortante. Il Pd, più che l’aria di un partito di sinistra, sembra uno stretto parente della coalizione di centrodestra. Tanto che in molti prevedono un’alleanza. È un partito dal fiato corto, dallo slancio vitale appannato, tenuto insieme più che altro dalla sua inerzia.
Renzi è il capo sotterraneamente contestato del un partito che gli ha concesso la segreteria. Sul momento sembrava un contentino, per chi aveva perduto Palazzo Chigi, oggi è tutto il capitale di quell’uomo. E infatti ci si aggrappa con tutte le sue forze. Poco amato nel Pd, è addirittura odiato a morte da quella parte del partito che ha operato una scissione: formalmente in nome degli ideali tradizionali, sostanzialmente per un’inestinguibile animosità nei confronti del Segretario. Fino a mettere più che in forse l’eventuale vittoria della sinistra.
A Renzi, il 7 dicembre 2016, scappò di bocca una constatazione rivelatrice: “Non credevo mi odiassero tanto”. E questo dimostra la sua buona fede. È incontestabile che quell’odio se lo sia attirato lui, ma ciò non corrisponde a dire che egli abbia scientemente provocato. È il suo temperamento che lo spinge a comportarsi in quel modo. E non può farci nulla.
La temperie politica induce alla mestizia. Non tanto perché la sinistra sia in crisi, ché anzi è lecito reputare che essa sia più nociva che utile. Ma sarebbe stato meglio che la competizione continuasse ad essere, come ai tempi di Prodi, fra due visioni del mondo e della politica, non fra clan in lotta. Oggi vediamo un cortile in cui i politici si azzuffano mentre il Paese va a ramengo. Dovunque impera, se non l’odio, il netto rifiuto degli altri. Fino a quel capolavoro d’inconcludenza e d’immobilismo che è il Movimento 5 Stelle.
Forse qualche anno fa il giudizio sulla situazione è stato troppo severo. In troppi hanno cavalcato la tigre dicendosi capaci di distruggere il Palazzo. In realtà, distruggere qualcosa può essere positivo se si è capaci di ricostruirlo migliore di com’era prima. Se invece se ne è incapaci, si ottiene soltanto che il popolo rimpianga quel passato che prima gli era sembrato insopportabile.
Prima temevamo di morire democristiani, ora temiamo di morire e basta.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
23 settembre 2017

FORSE AVREMMO VOLUTO MORIRE DEMOCRISTIANIultima modifica: 2017-09-23T06:49:08+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “FORSE AVREMMO VOLUTO MORIRE DEMOCRISTIANI

  1. Invito chi legge questo articolo ad inserire un commento, anche costituito da una sola parola, per esempio: “Dissento”, oppure “Concordo”. Mi interessa sapere se il sistema funziona e se ci sono difficoltà.

  2. Il paese a ramengo ci va per motivi che, in fondo, esulano la politica.
    E’ una fenomeno planetario . Per affrontarlo bisognerebbe rivedere e rileggere 100 anni di storia.
    Forse bisognerebbe ricominciare daccapo con altri programmi ed altre tempistiche.
    Saluto

  3. Quando ha quel momento di sincerità si capisce appieno che genere di politico sia.
    Quello che non tiene in debito conto i fatti, la crisi, e si compiace dell’idea di oltrepassare l’ostacolo con un puro scatto di volontà.
    Come tutti gli idealisti
    Saluto Ancora

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