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D’ALIMONTE DIFENDE L’ITALICUM CON UN PESSIMO ARGOMENTO

Roberto D’Alimonte è un osservatore che ha, quanto meno, il pregio di sapere di che cosa parla. Sul Sole24Ore del 15 ottobre ha sostenuto che, secondo le regole attuali, non potremo sapere che governo avremo subito dopo le elezioni. Tutto è rinviato ad un tempo successivo, “sperando che sia possibile assemblare una qualunque maggioranza di governo, viste le preclusioni, i veti e le idiosincrasie dei nostri partiti. Sarà un brutto spettacolo. Con buona pace di tutti coloro che votando no al referendum del 4 Dicembre 2016 e applaudendo la sentenza della Consulta sull’Italicum del Febbraio 2017 credevano di fare il bene dell’Italia”.
Per quanto riguarda la prima affermazione, che non sarà facile formare un nuovo governo, non c’è nulla da contestare. Ma per quanto riguarda il referendum si ha il diritto di essere piuttosto delusi. D’Alimonte usa infatti un artificio retorico molto discutibile. Non è che, per salvare qualcuno dal rogo, il rimedio sia quello di chiuderlo in una cella frigorifera. Non è che, soltanto perché l’ingovernabilità fa rischiare l’anarchia, la dittatura sia una cosa buona. Insomma non è che esagerando nella direzione opposta, rispetto ad un errore, si possa essere sicuri d’avere imboccato la strada giusta. D’Alimonte stavolta cede alla passione politica e dice qualcosa di altamente criticabile. Per non dire di illogico.
Nessuna legge elettorale può essere perfetta. Nessuna può piacere a tutti. Così, la critica dell’una non corrisponde alla lode dell’altra e un’indicazione dei difetti costituisce soltanto la proposta di una diversa soluzione. Se ancora, fra le possibili, l’Italicum fosse stata un’ottima legge, comprenderemmo il rimpianto di D’Alimonte. Ma così non è. Innanzi tutto, essa è stata talmente poco applaudita dal Parlamento, che è stato necessario imporla con la “fiducia”. Inoltre essa prevedeva un premio di maggioranza enorme non per una coalizione, ma per un singolo partito vincente, qualunque percentuale avesse avuto, nelle urne. Questo stesso partito, prevalendo nel ballottaggio, avrebbe poi governato da solo per cinque anni.
Un governo stabile è un’ottima cosa, a patto che non sia un pessimo governo, che per giunta nessuno può rovesciare. E comunque un governo che rappresenta soltanto una piccola parte degli elettori non è una cosa desiderabile. Secondo un’ipotesi teorica, immaginiamo che in un quadro politico molto frammentato, il primo partito ottenga soltanto il 15% dei voti e poi vinca il ballottaggio. Considerando che, ad essere ottimisti, l’affluenza sia del 60%, avremmo che di fatto il governo sarebbe stato determinato dall’opinione politica del 9% dei cittadini aventi diritto al voto. Chi può negare che come rappresentatività staremmo malissimo?
L’ipotesi è forse estrema, ma non è impossibile che i partiti moderati, pur maggioranza nel Paese, non riescano ad esprimere un partito unitario capace di battere quello che, pur essendo minoritario, è coeso e dunque, come singolo, riesca a battere tutti gli altri. In teoria potremmo avere un piccolo partito, estremista ma molto unito e fanatizzato da un capo carismatico, che potrebbe condurre la nazione alla rovina. Il 9% dei cittadini, e non i migliori, imporrebbe la sua volontà al rimanente novantuno per cento, con una dittatura di fatto. Chi non vede come sarebbero in pericolo il Paese e le sue istituzioni? Qualcuno potrebbe dire che si stanno accumulando fattori negativi. Può darsi. Ma nella distribuzione a caso può anche avvenire che la pallina della roulette si fermi per dieci volte di seguito sui numeri dispari.
Naturalmente il sistema piaceva a Renzi, che immaginava di essere lui il capo di quel partito vincente, ai suoi ordini. Ma per chi non sia di sinistra e renziano per giunta, la prospettiva era un incubo. Senza dire che (al peggio non c’è limite) in futuro avremmo potuto perfino avere un partito peggiore del Pd e un capo peggiore di Renzi. Ciò non significa che qualunque legge sia migliore dell’Italicum, e in questo ha ragione D’Alimonte. Ma non si aveva il diritto di essere spaventati da quella che era sicuramente una pessima legge?
Inoltre può essere giudicata capziosa una seconda affermazione di D’Alimonte, quando scrive che, rigettando l’Italicum, l’elettorato ha mostrato di gradire l’ipotesi di andare alle elezioni con i residuati del taglia e cuci della Corte Costituzionale. Ciò non è affatto vero. Gli elettori – oltre a ingiungere a Renzi di togliersi di torno – hanno soltanto detto: “Vorremmo una legge migliore di questa”. Un esempio di legge migliore? Il Mattarellum. Un altro esempio? Il sistema tedesco. Non è che la temerità si guarisca con la vigliaccheria, e non è vero che gli uomini siano o avari o spendaccioni. Anche in materia di leggi elettorali esiste qualcosa che si chiama moderazione.
Dispiace che, per una volta, D’Alimonte abbia rinunziato ad avere rispetto intellettuale per chi non la pensa come lui.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
16 ottobre 2017

D’ALIMONTE DIFENDE L’ITALICUM CON UN PESSIMO ARGOMENTOultima modifica: 2017-10-16T10:38:19+02:00da
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