GianniP

REPETITA

Avevo un amico che a diciott’anni entrò in banca, lavorò come un matto, si impadronì di tutti i meccanismi e fece carriera. Già a quarant’anni era divenuto un dirigente, e figurarsi a cinquanta. Naturalmente, non aveva avuto il tempo e nemmeno il bisogno di laurearsi e tuttavia, essendo una persona importante, tutti quelli che lo incontravano si sentivano in dovere di dargli del “Dottore”. Il poverino era sempre costretto a ripetere – mettendo in imbarazzo l’interlocutore – “Non sono dottore”. E non aveva alternativa. Se avesse accettato l’omaggio di quel titolo, poi magari dietro le sue spalle si sarebbe riso di lui, dicendo che “cercava di passare per laureato e non lo era”.
A volte sono gli altri che ci costringono a ripetere le cose. Se un professore d’italiano sente gli alunni che pronunciano “alàcre”, “dèvio”, “persuàdere” altrettante volte dovrà ricordargli che l’accento giusto è “àlacre”, “devìo”, “persuadère”. Nessuno potrebbe dargli torto. Ciò che è ripetitivo è l’errore degli alunni, non la correzione.
Dico tutto ciò per scusarmi. Mi rendo conto che ho spesso scritto che i politici sono meno colpevoli di quanto si pensi, mentre gli italiani lo sono parecchio di più di quanto credano, ma come tollerare che Francesco Verderami, sul Corriere della Sera(1), dia ancora una volta ai politici il torto di fare troppe promesse?
Il giornalista ravvisa l’origine del malvezzo in Berlusconi che nel ’93-’94 presentò programmi mirabolanti. Gli altri – scrive – lo biasimarono, ma presto lo imitarono e ancora lo imitano. Storiografia da bettola. Verderami dovrebbe sapere che l’uso di promesse eccessive e inverosimili è nato molto tempo fa. In particolare con la democrazia, nel V secolo A.C, o forse anche prima. Certe affermazioni contro Berlusconi sono possibili soltanto perché trovano orecchie accoglienti.
Ascoltando i programmi dei leader, il competente è tentato di lanciare una scarpa contro il televisore. E tuttavia, se si indigna, dimostra la propria incultura specifica. Il politico infatti è in perfetta malafede e i veri colpevoli (di stupidità) sono quelli che lo prendono sul serio e somigliano a coloro che chiedono all’oste se il suo vino è buono. Dovrebbero comprendere che ciò facendo lo obbligano a mentire.
Verderami sostiene ottimisticamente che gli italiani sono delusi e per questo si dànno all’astensione ma è un’argomentazione discutibile e ben poco conducente. In primo luogo è lecito sostenere che l’astensione dimostra certo sfiducia nei politici ma anche fiducia nel sistema. Quando, nel dopoguerra, si votava per sapere se si sarebbe rimasti in democrazia o si sarebbe divenuti una Repubblica Popolare agli ordini di Stalin, le percentuali di votanti erano vicine al 90%. Mentre negli Stati Uniti, da molti decenni per il Presidente vota circa la metà degli aventi diritto perché in fondo – si pensa – che vinca l’uno o l’altro, poco cambia.
E soprattutto c’è una considerazione tecnica. L’astensionismo sarà pure deprecabile ma non influenza né la validità, né gli effetti del voto. Se anche votasse soltanto il 30% degli aventi diritto, quel 30% determinerebbe la politica nazionale. Infatti i candidati dell’astensionismo se ne curano fino ad un certo punto. Se continuano a promettere tutto a tutti, nelle forme che enumera diligentemente Verderami, è perché sono convinti di trarne vantaggio. Imbecilli sono quelli che ingoiano panzane, o comunque votano in base alle promesse. È inutile fare i moralisti. I politici smetteranno di spacciare banconote false soltanto quando saranno severamente puniti dal voto. E invece il M5s è il primo partito.
Verderami scrive che un politico serio dovrebbe esporre il suo programma per far diminuire il debito pubblico. Sogna. Oggi la riforma di Elsa Fornero è considerata talmente utile da doverla considerare intoccabile, ma se la signora si candidasse alle elezioni, quante probabilità avrebbe di essere eletta?
Renzi viceversa ha avuto anni di successi predicando che bisogna non tenere conto dei vincoli di Bruxelles, bisogna spendere di più, bisogna fare ulteriori debiti, sia pure chiamandoli “flessibilità”. L’Europa ci chiedeva di stringere i cordoni della Borsa e lui (spendendo dieci miliardi che non aveva) regalò ottanta euro a tutti. In seguito non soltanto non se ne è pentito, ma non ci ha mai permesso di dimenticare che con quella mossa alle europee ha ottenuto il 40% dei voti. Li avrebbe ottenuti, se avesse esposto un bel programma di rientro dal debito pubblico?
Smettiamola di calunniare i politici. Essi sono l’oste cui tutti continuano a chiedere se il vino è buono. Gli italiani desiderano essere invitati a credere nei miracoli e quelli che desiderano i loro voti li accontentano. Promettono il Paese di Bengodi ben sapendo che non manterranno le promesse. Possiamo anche ammettere che ciò facendo siano dei disonesti, ma noi siamo degli allocchi. E c’è poco da scegliere.
Gianni Pardo,
giannipardo@libero.it
2 dicembre 2017
(1)http://www.corriere.it/opinioni/17_dicembre_01/troppe-promesse-politici-alimentano-l-astensionismo-78b59dca-d5ff-11e7-8efb-8cdd4148fcf4.shtml

REPETITAultima modifica: 2017-12-02T08:11:54+01:00da
Reposta per primo quest’articolo