IL GRANDE GIORNALISTA

Se si dovesse indicare un grande giornalista politico, sarebbe ovviamente necessario porsi il problema del criterio da adottare per la scelta. E il problema risulterebbe meno semplice del previsto. Una delle poche qualità su cui tutti sarebbero d’accordo, è che il grande giornalista deve scrivere in bella lingua, coniugando correttezza, eleganza e suprema chiarezza. E già questo basterebbe ad eliminare parecchia gente dalla lista. Ma il punto più difficile sarebbe un altro: il contenuto. Perché al riguardo si ha il classico limite della coperta troppo corta. Si va dal massimo di certezza, unito quasi alla banalità, al massimo di brillantezza, purtroppo confinante con l’invenzione.
Il giornalista serio si limita ai fatti certi. Perfino le sue previsioni per il futuro si riferiscono ad eventi talmente probabili che la loro indicazione risulta banale. La lettura dei suoi testi rende bene il quadro della situazione ma non risponde quasi per nulla alla sete di saperne di più. Questo tipo di giornalista è più un analista che un opinionista. E infatti, se azzarda un’opinione, sottolinea umilmente che si tratta soltanto di un’ipotesi. Quasi con l’aria di scusarsi.
Viceversa il giornalista brillante riferisce voci di corridoio, riporta pettegolezzi, confida indiscrezioni ed è perfino capace di descrivere la grande politica internazionale come una lite fra persone piuttosto che mostrarla come uno scontro di titanici interessi. Ovviamente la lettura dei suoi testi è più accattivante, più avventurosa e più emozionante. Ma tra lui e il giornalista serio c’è la stessa differenza che passa tra un ponderoso trattato di storia e un documentario televisivo sullo stesso argomento. Nel primo prevalgono i dati importanti, nel secondo quelli spettacolari.
Alla domanda: “Chi è un grande giornalista?” bisogna dunque rispondere: “Grande per chi?”
Sere fa in televisione Lucio Caracciolo, il direttore di Limes, a chi gli chiedeva una previsione per il futuro, ha risposto pianamente: “Non ne ho la più pallida idea”. Questo, agli occhi di alcuni, gli dà il fascino dell’onestà. Ma un’altra, nutrita categoria di telespettatori penserà: “E allora perché lo hanno invitato? Per dire ‘non lo so’ basto io”. Il giornalista brillante invece ha risposta a tutto. E se non l’ha, è capace d’inventarla.
Al riguardo non ho mai dimenticato un episodio – assolutamente vero, perché ne sono stato testimone – di molto tempo fa, che vi racconto omettendo il nome del colpevole soltanto perché non ho più i necessari riferimenti. Sappiate comunque che si tratta di uno dei massimi editorialisti del Corriere della Sera. Ancora oggi.
Dunque questo signore andò a Dallas a rivedere i luoghi dell’attentato al Presidente John Fitzgerald Kennedy, e parlò a lungo della stanzetta da cui Oswald aveva sparato. Descrisse in modo colorito lo stato di abbandono del luogo, la finestra col vetro rotto, la polvere dovunque. E criticò vivacemente le autorità per non avere capito che quel luogo derelitto faceva ormai parte della storia e avrebbero più o meno dovuto trasformarlo in un museo. Per sua sfortuna un altro giornale – credo “il Foglio” – aveva notizie precise al riguardo. E in un lungo articolo dimostrò che l’editorialista aveva inventato assolutamente tutto. Quella stanza era curatissima, era in condizioni del tutto diverse da quelle descritte ed era stata trasformata proprio in una sorta di museo. Insomma, il grande giornalista aveva scritto un pezzo di fantasia. Ed io, da allora non ho mai più letto un suo rigo.
Alberto Ronchey era invece tutt’altra pasta di professionista. Si documentava e criveva chiaro e solido. Naturalmente lo apprezzavo e proprio per questo tanti anni fa mi stupii vedendo che i colleghi lo stimavano per la cura con cui controllava la validità di ogni sua affermazione. Nella mia ingenuità, fino a quel momento mi ero illuso che quella fosse una pratica di tutti i giornalisti.
Enzo Biagi invece, pur essendo a ragione un celebrato giornalista divenne quasi una leggenda perché non azzeccava quasi mai una citazione. Se scriveva che una frase l’aveva detta Richelieu poi risultava che l’aveva detta Talleyrand, se citava Machiavelli poi risultava che le parole erano diverse e l’autore era Guicciardini.
Ci sono cose che sembrano stupide, ma bisogna controllare anche quelle. La grafia dei nomi, per esempio. Teheran o Tehran? La capitale del Madagascar è Tananarive, come credevo un tempo, o Antananarivo, come leggo oggi? Per non parlare del dovere di pronunciare correttamente parole e nomi stranieri, per cui è (era?) famosa la BBC. Mentre la nostra televisione è una scuola d’ignoranza. Basta seguirla e si consegue una laurea in errori d’inglese.
Dovendo scegliere a chi conferire il diploma di grande giornalista, forse avrei delle difficoltà. Mentre per quello di pessimo giornalista la lista farebbe pensare ad una rubrica telefonica.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
16 aprile 2018

IL GRANDE GIORNALISTAultima modifica: 2018-04-20T09:38:13+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “IL GRANDE GIORNALISTA

  1. Più laicamente, posto che un giornalista da me amatissimo come Indro Montanelli, era maestro di citazioni inventate, di bugie narrate, a scopi autocelebrativi o chissà cos’altro – e il Foglio tutto è tranne che un quotidiano che può permettersi di dare lezioni di credibilità e attendibilità e glielo dico da conservatore – io proporrei semmai di leggere quei giornalisti che, invece di spacciare false certezze, ci esorti a dubitare sempre delle verità infuse dall’alto.
    E’ questo il motivo per cui, pur riconoscendone gli enormi limiti, ho amato Montanelli al punto di perdonargli certe bizzarrie e certe frottole non si sa quanto imputabili ad un infantilismo di fondo testimoniato anche da amici carissimi (Bettiza, Massimo Fini) e quanto alla senilità.
    Chi è stato lettore del Giornale – quando non era la schifezza di oggi – ricorderà, a tal proposito, quando pubblico un editoriale con il titolo “SI”, dimenticandosi l’accento sulla ì e quando glielo fecero notare, cercò a tutti i costi di dimostrare l’indimostrabile ossia che SI’ non si scrive con l’accento e roba di questo tipo. Ma ci sta, il personaggio era fatto così e la sua scrittura, il suo modo di fare giornalismo facevano perdonare anche i suoi non trascurabili limiti.
    Mentre non ho mai perdonato nulla ad Eugenio Scalfari, per dire. O a Travaglio.

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