ETHOS E LEX

Io non rispetto né la legge né i magistrati

Ad ogni piè sospinto si sente parlare di rispetto della legge e di rispetto dei magistrati. Addirittura molti spingono questa irrefrenabile pulsione al rispetto estendendolo anche agli accusatori. Si tratta di un inammissibile errore, a meno che non ci sia un equivoco nell’uso della parola rispetto. Il Devoto-Oli ne fornisce per cominciare tre definizioni: 1 Riconoscimento di una superiorità morale o sociale. 2 Astensione di atti offensivi o lesivi. 3 Osservanza di un obbligo o di un ordine normativo.
Come mi aspettavo, nella trattazione del lemma si distinguono due cose ben diverse: da un lato un sentimento, dall’altro un comportamento. E se è vero che dal rispetto nel primo senso può derivare un comportamento, e cioè l’osservanza di norme e regolamenti, il rispetto nel secondo senso, che per brevità da ora chiameremo “obbedienza” assicura una più puntuale applicazione della norma: per esempio, considero questo divieto di accesso assolutamente stupido, ma mi astengo dall’imboccare questa strada, per evitare di essere multato. La motivazione: “per evitare di essere multato” è molto lungi dal rispetto, ché anzi somiglia a quest’altra: “Ho consegnato il denaro che avevo al rapinatore per evitare il peggio”.
Dal momento che io obbedisco alle leggi per non avere guai, non posso dire che rispetto la legge e i magistrati. Non rispetto i giudici più di quanto non rispetti tutti gli altri uomini, perché sono soggetti a sbagliare quanto e più degli altri, perché nessuno li sanziona e tutti anzi si levano il cappello. E per quanto riguarda le leggi, non si può dire che siano il frutto di una superiore saggezza. Sono soltanto il risultato delle convinzioni morali, economiche e politiche dei parlamentari, che certo non sfuggono ai pregiudizi del loro tempo.
Ovviamente vi sono leggi incontestabili, per esempio quella che, sotto ogni cielo, punisce l’omicidio volontario. E non metto in dubbio (salvo casi rarissimi) che sia in buona fede il magistrato che condanna qualcuno all’ergastolo. Ma l’amministrazione della giustizia si occupa in una sparutissima percentuale di questi casi drammatici. In realtà il mondo della legislazione (e della sua applicazione) è così vasto da risultare troppo spesso discutibile. Il codice civile con i suoi 2.969 articoli e il codice penale, fiancheggiati da due codici di diritto processuale, sembrano un oceano e tuttavia sono soltanto una piccola parte delle nostre decine di migliaia di leggi. Figurarsi dunque quante di loro saranno più nocive che utili, quante ancora non saranno nemmeno applicate, sminuendo la loro credibilità morale e giuridica. Come rispettare “la legge”, in queste condizioni?
Persino nelle materie che sembrano più ovvie, come l’omicidio, ci sono norme che lasciano perplessi. Basti pensare all’omicidio del consenziente, all’aiuto al suicidio, all’omicidio stradale e a tante altre, a volte approvate a furor di popolo (incompetente).
Per quanto possa sembrare paradossale, l’obbedienza è più profittevole alla società civile di quanto non lo sia il rispetto della legge. Chi rispetta la legge anche intimamente, le obbedisce perché la reputa giusta, e smetterà di obbedirle quando la reputerà ingiusta. Mentre chi obbedisce alla legge non perché è giusta ma perché è legge, lo farà in ogni caso. Ed è quello che la società desidera.
Queste considerazioni inducono a riflessione di ambito ancor più vasto. La visione idealistica della realtà è fonte di risultati negativi. Se reputo i sacerdoti dei santi poi, alla minima mancanza, sarò estremamente severo con loro, perché quella pecca sarà in contrasto con il livello di virtù eroica che prima gli attribuivo. E così farò pagare al malcapitato un mio errore di valutazione.
Analogamente, se reputo che la moralità di un Paese dipenda dalle sue leggi, imporrò a tutti pene severissime per ogni mancanza e non concluderò nulla, se non aggiungere crudeltà ad inefficienza. Nel Medio Evo per molti reati si comminava la pena di morte e l’ordine pubblico non era migliore di quello di oggi.
Molti sognano di sradicare la corruzione (altrui) gettando in galera i colpevoli per decenni. Dunque non tengono conto che la corruzione (anche la loro) comincia quando si raccomanda il figlio al professore; quando non si paga l’Iva sulla prestazione dell’artigiano; quando si preferisce lo sconto alla fattura. Piccole cose, dirà la madre di famiglia. Ma chi mai le ha offerto una mazzetta milionaria? E allora stiamo punendo la corruzione o l’entità della corruzione?
In questo campo bisognerebbe cominciare dal basso, dalle piccole cose, dal considerare con molta severità il comportamento del bambino che ha copiato l’esercizio di matematica. Come fanno in Giappone, Paese che infatti ha una moralità sociale ben più alta della nostra.
La legge deve colpire la patologia della convivenza sociale, e soltanto quando il fatto è realmente grave. La realtà quotidiana non deve essere affidata alla legge ma all’ethos. È soltanto quando un certo comportamento è sentito come doveroso e naturale dalla maggior parte dei cittadini che una nazione diviene veramente civile.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

20 maggio 2018

ETHOS E LEXultima modifica: 2018-05-20T10:20:57+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “ETHOS E LEX

  1. Vorrei dire qualcosa a proposito della corruzione. Un giorno di tanti anni fa, qui in Sudafrica, uno dei miei ragazzi prima di andare a scuola mi confesso’ di non essere molto preparato sul test scritto che avrebbe dovuto sostenere. Io, memore di anni di scuola italiana, soprappensiero gli dissi: ma perche’ non copi un po’ dal tuo compagno di banco? Non l’avessi mai detto . “Dad, are you crazy?” fu la risposta indignata. Mi vergognai come un ladro. Ma noi a scuola in Italia non ci trovavamo niente di male. Dunque il Sudafrica era un paese sostanzialmente onesto, prima dell’Apartheid. Rigido, calvinista. C’erano le punizioni corporali, sia a scuola che al commissariato di polizia, forti bacchettate sul sedere.
    Ma oggi, dopo circa 20 anni di neri al potere, le cose qui sono cambiate totalmente. La corruzione e’ rampante, in ogni campo. E i poveri bianchi Afrikaaners si trovano completamente sbalorditi, inermi, incapaci di adeguarsi alla realta’. Sono stati educati in maniera sbagliata. Quelli che la fanno da padrone qui oggi sono gli indiani, muniti di cervello fino e pochi scrupoli.
    In conclusione, mi domando: val la pena di insegnare ai propri figli l’onesta’? Forse si, ma dipende dove e quando.

  2. Dipende da dove e quando.
    Un po’ più onesti degli altri, ma sempre tenendo presente che “accà nisciun è fess”.
    Solo chi non fa praticamente niente, come me, può essere perfettamente onesto. Ma io cerco di non esserlo. Non perfettamente, comunque. In qualche caso per legittima difesa. Per esempio quando lo Stato ha cercato di farmi pagare più volte una tassa che avevo già pagata, o quando mi mandò un accertamento di valore per il doppio del dovuto ho imparato che mi devo difendere dal fisco come da un nemico,disposto a giocare sporco. Dunque, mai abbassare la guardia.
    (Lo so che il fisco ha imparato il gioco dai contribuenti, ma io che c’entravo?)

  3. Anche Giuseppe Prezzolini dimostrava molto realismo e senso pratico nel sostenere la necessità di “rispettare” le leggi:
    “Con la vita morale, che risponde soltanto al dettato indiscutibile della nostra coscienza, le leggi hanno soltanto una lontana parentela. Esse corrispondono a un bisogno pubblico; ma non sono che ricette empiriche, tanto è vero che cambiano da paese a paese, da epoca a epoca, anzi talora da un anno all’altro. Di qui la loro approssimazione e la necessità anche di una certa elasticità, per farle corrispondere (ma sempre grossolanamente) alle immense varietà delle esperienze e della invenzioni umane. Pero’, ecco la condizione umana: delle leggi non si può fare a meno; se vogliamo vivere in società, dobbiamo adattarci ad accettarle, riconoscendo che sono imprecise, insufficienti e che quasi ogni loro applicazione offende gli interessi o la fede, o suscita la pietà di qualcuno. (…) Se si acquista coscienza di questa imperfezione umana, si puo’ sopportare lo spettacolo dei tribunali, delle polizie, delle prigioni.” (G. Prezzolini, Italia fragile)

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