PERCHÉ SALVINI HA SUCCESSO

C’è una lezione che la cultura occidentale ci dà da secoli (non uno o due, circa ventotto). Un principio che, nella Grecia antica, era anche il precetto centrale della religione: il dovere della moderazione. Attenzione, non la moderazione nel fare il male, ma la moderazione a trecentosessanta gradi. Cioè anche quando si tratta di fare il bene. Perfino avendo ragione non bisogna esagerare nel pretenderla al cento per cento, fino alla spietatezza.
Gli esempi sono innumerevoli. Se Ulisse penò vent’anni per ritrovare la via di casa non fu perché aveva permesso ai greci di vincere con l’inganno, cosa che in guerra è lecita. E non fu nemmeno per avere orribilmente accecato il gigante Polifemo, figlio di Nettuno. Fu per averlo irriso. Accecarlo era funzionale al salvarsi la vita, e nessuno avrebbe potuto rimproverare Ulisse per questo, nemmeno Nettuno. Ma l’irrisione di un povero cieco no, quella è “hybris”, l’eccesso che gli dei non tollerano.
Che si possa esagerare anche nel bene è un concetto che è stato illustrato nel modo più brillante da Molière, con una delle grandi “comédies de caractère” (quelle in cui si denuncia un vizio). Alceste, il “Misanthrope”, è tutt’altro che un vizioso. È anzi un esempio di virtù. Di grande virtù. Anzi: di una virtù tanto eccessiva, che lo condurrà alla rovina.
La stessa Rivoluzione Francese, in ciò che essa ha avuto di negativo, è figlia di due eccessi. Prima le resistenze dei nobili a concedere qualcosa al Terzo Stato, fino a provocare la rottura, e infine la selvaggia reazione dei giacobini a queste resistenze, fino ad arrivare al Terrore.
Ma il più famoso esempio di eccesso – viste le conseguenze – è stata la rabbia con cui i vincitori del 1918 hanno voluto infierire sulla Germania, umiliandola e depredandola. Così hanno creato un rancore che è infine esploso nel 1939. Lezione che hanno bene appreso gli americani i quali, nell’Italia appena conquistata, si sono fatti amare distribuendo farina e non opprimendo i vinti. Tanto che l’Italia è rimasta per sempre nel campo occidentale, mentre i russi, che si sono comportati brutalmente, si sono fatti odiare definitivamente in tutto l’Est europeo.
Come si vede, i greci avevano visto giusto: eccesso chiama eccesso. E per questo, nel giudicarne uno, non bisogna mai dimenticare quello, simmetrico ed opposto. Perché è ciò che ha tanto contribuito a provocarlo.
Queste considerazioni sono un’eccellente chiave interpretativa per l’attuale situazione politica in Italia. Moltissimi commentatori sono indignati per le parole e il comportamento di Matteo Salvini. Soprattutto non si capacitano che questo comportamento, invece di suscitare l’indignazione degli italiani, abbia fatto lievitare il consenso della Lega fino a superare quello del M5S. Ma questo atteggiamento indica una insufficiente sensibilità storica e una sorta di sordità nei confronti del popolo. Una tendenza a credere che ciò che conta sono soltanto le loro opinioni, non quelle che la gente esprime assonnata, alle sei del mattino, sorbendo un caffè, alla stazione. O la sera quando, stremata, si siede in cucina per la cena, dando un’occhiata distratta al televisore. E invece – se la parola democrazia ha un senso – è l’opinione dei molti, non quella dei pochi, che è importante. I pochi eventualmente devono illuminarla, non sopraffarla.
Che Salvini sia rozzo, che ecceda, che possa provocare l’indignazione, sono tutte cose vere. E anche gli italiani lo avrebbero giudicato con severità, se avessero potuto contrapporgli un governo coraggioso che, senza brutalità ma con fermezza, avesse sostenuto le sue ragioni. Quando invece, per decenni, ha avuto la sensazione che le autorità fossero tenere con chi aveva torto e severe con chi aveva ragione, o anche generose con gli stranieri immigrati illegalmente, e tirchie con i nostri disoccupati, allora la protesta raggiunge le vette dell’irragionevolezza. E l’applauso a Salvini è inevitabile. Se ogni immigrato costa trentacinque euro al giorno allo Stato italiano, è strano che un disoccupato dica: “Quella somma corrisponde a oltre mille euro al mese, ed io non trovo un lavoro per ottocento! Come faccio, a nutrire la mia famiglia?” Argomento pedestre, ma inconfutabile. E i risultati poi vengono esplicitati dalle indagini demoscopiche.
Il successo di Matteo Salvini è figlio del buonismo nazionale. Un lusso dei benestanti che i poveri non si possono permettere. Lo stesso eccesso di morale, di scrupoli, di legalismo – insomma, ogni sorta di eccesso della “cosa giusta” – provoca alla fine la reazione selvaggia di chi va a vedere tutti i giorni, e senza scrupoli, lo spettacolo della ghigliottina in Place de la Révolution.
La sinistra idealista ha seminato vento, l’Italia raccoglie tempesta.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
19 giugno 2018

PERCHÉ SALVINI HA SUCCESSOultima modifica: 2018-06-19T10:02:27+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “PERCHÉ SALVINI HA SUCCESSO

  1. Il suo commento pecca di idealismo filoamericanista.
    Gli USA non riempirono di farina l’Italia perché “erano buoni” e neanche perché pragmaticamente “non si dovessero umiliare i vinti”.
    L’unica ragione della generosità degli americani nei confronti degli italiani è dovuta ai medesimi motivi per cui gli americani stessi assieme agli inglesi finanziarono i nazifascismi in chiave antisovietica: evitare che i paesi europei, usciti distrutti dalle due grandi guerre si facessero sedurre dal mito del comunismo sovietico.
    Non c’era davvero nessun’altra ragione: fu una scelta obbligata da parte degli americani e, dal loro punto di vista, ineccepibile. Da un lato, evitavano che i paesi dell’Europa Occidentale si facessero sedurre dal mito dell’URSS. Dall’altro, hanno trasformato i paesi europei in stati clienti per poi, col 1992 e dunque col crollo dell’URSS, dapprima prendersi tutto il piatto e poi con la tempesta perfetta del 2007, ritirare gli investimenti in politica estera dai paesi europei, concludendo che la globalizzazione, la cui fine da molti superficiali commentatori viene attribuita a Trump e invece si deve ad Obama e alla conferenza di Davos, col ritorno in auge della grande Russia e l’esplosione attesa ma non a questi livelli della Cina, era da ritenersi fallita.
    Faccia attenzione alle date e troverà che tutto torna: crolla l’URSS e iniziano le varie crisi dei debiti, gli attacchi speculativi alle finanze europee. E in quegli anni prende avvio la crisi della politica rappresentativa italiana, dapprima latente poi sempre più aggressiva, che non è poi, del resto, nient’altro che l’inevitabile risultato di quando non ci sono più soldi per nutrire le clientele.

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