IL NETTARE DEL LAVORO E IL DECRETO DIGNITA’

Luigi Di Maio, il nostro Vice Presidente del Consiglio nonché Ministro dello Sviluppo Economico e Ministro del Lavoro (sembrano i titoli di un Vicerè spagnolo) ha battezzato “Decreto Dignità” quello riguardante il lavoro precario. Lo sforzo tende ad ottenere che esso sia trasformato in un contratto a tempo indeterminato. Ma quel Decreto è criticabile a partire dal titolo. Come ha osservato Piero Ichino, ridare dignità al lavoro precario corrisponde a dire che attualmente non ha dignità. Affermazione di cui si è lieti di lasciare l’intera responsabilità a Di Maio.
Da sempre, il lavoro interferisce con i pregiudizi. Per un nobile romano, lavorare con i propri muscoli sarebbe stata una diminutio: quella era attività da schiavi. Nel Settecento i nobili vivevano delle loro rendite e al massimo potevano darsi alla magistratura, alla carriera ecclesiastica o alla politica.
Poi le cose sono cambiate. Con la Révolution il popolo è divenuto sovrano e gli sono state rivolte le piaggerie prima riservate al re. Si è arrivati a dire, senza ridere, che “il lavoro nobilita l’uomo”. Invece esso è soltanto una dura necessità. Gli uccelli passano l’intera giornata a cercare il cibo: li facciamo marchesi? Non bisognerebbe passare, dal lavoro come attività indegna di un gentiluomo, all’esagerazione opposta. Il problema non è se il lavoro sia nobile o no, il problema è se lo si ha o non lo si ha.
Il Decreto Dignità è probabilmente più sbagliato delle norme che viene a correggere. Che senso ha obbligare il datore di lavoro a licenziare o assumere a tempo indeterminato il lavoratore un anno prima di quanto prescrivessero le norme precedenti? Mentre prima il datore di lavoro, essendo perplesso se assumere o no quel giovane, poteva ancora esitare ancora per un anno, ora la prudenza gli consiglierà di licenziarlo subito. Aumentando così la stessa precarietà.
Ma tutte queste discussioni non hanno ancora toccato il punto centrale. Se i nostri giovani emigrano in massa per andare a cercare un lavoro all’estero, dove non ci sono le nostre guarentigie, è perché, imparato un mestiere, se perdono il lavoro ne trovano un altro. Ecco la vera dignità. Quando la domanda di lavoro pareggia l’offerta, il lavoratore ha potere contrattuale. Viceversa, in un Paese in cui non si trova lavoro, la dignità al lavoratore la toglie il bisogno. Il “caporalato” è una piaga, ma i “caporali” troverebbero lavoratori disposti a farsi sfruttare per paghe di fame, se questi avessero un’alternativa?
In un mercato con bassa disoccupazione, sono spesso i datori di lavoro che cercano i lavoratori. E il lavoratore può contrattare la sua remunerazione, perché nessuno lo può prendere per il collo. Mentre in Italia si crede di poter risolvere i problemi economici con sempre nuove leggi.
Il lavoro è attualmente al centro di una fastidiosa e fuorviante famiglia semantica. Il “lavoratore” è un padre di famiglia stanco e sfruttato. Il disoccupato è una vittima della società. Il datore di lavoro deve assumere dipendenti e remunerarli anche se non ne ha bisogno. Il lavoro è un’astrazione che ha un estremo bisogno di essere regolamentata dallo Stato. Il diritto al lavoro è un’ovvietà, anche se nessuno l’ha mai visto all’opera. Il posto di lavoro, nella Pubblica Amministrazione significa diritto allo stipendio, che si lavori o no.
Il concetto di lavoro è distorto in tutte le direzioni. In realtà, se il mercato del lavoro fosse libero, gli equilibri li stabilirebbero gli interessati, arrivando a risultati migliori degli attuali. Basti vedere che i lavoratori stanno meglio in Svizzera.
Qualcuno potrebbe dirmi che in concreto non ho indicato nessuna soluzione. Ma la soluzione è in un cambio di mentalità. Un posto di lavoro si crea quando il datore èdi lavoro ha interesse ad assumere. E dunque è questo interesse che bisogna favorire. Bisogna tassare poco il lavoro e rendere facili sia le assunzioni sia i licenziamenti. Invece attualmente il cuneo fiscale è enorme e tutta la legislazione tende a limitare la libertà del datore di lavoro. Quando non va dichiaratamente contro i suoi interessi. In queste condizioni il problema non ha soluzione. I fiori non dicono alle api: “Voi avete il dovere di venire a visitarci perché occorre impollinare le piante”. Gli dicono semplicemente: “Vi offriamo un ottimo nettare: approfittatene”. E l’impollinazione avviene da sé. I vegetali sembrano sapere meglio di noi come si fanno gli affari. Ma questo è un discorso da bieco capitalista selvaggio e, dal momento che sembro intendermi meglio con i vegetali, me ne torno nella giungla.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
4 luglio 2018

IL NETTARE DEL LAVORO E IL DECRETO DIGNITA’ultima modifica: 2018-07-04T08:35:29+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “IL NETTARE DEL LAVORO E IL DECRETO DIGNITA’

  1. .
    Deduco che si sia già ricreduto rispetto a quel post dove intravedeva in Luigino Di Maio un potenziale statista o quantomeno un politico di razza.
    In realtà Luigino va giudicato per quello che ha realizzato, cioè il nulla sotto il profilo lavorativo. E infatti si vede già da questo decreto come il mondo del lavoro gli sia del tutto estraneo, per un motivo peraltro banale: non ci ha mai avuto a che fare.
    Poi, certo, si può dire che dove è arrivato lui come politico noi ce lo sognamo… ed è vero. Però non dimentichiamo le circostanze fortuite (a dir poco) attraverso le quali ci è arrivato: non è emerso attraverso la selezione naturale che si verifica (o si verificava) in un partito normale, dove uno inizia (o iniziava) come attacchino di manifesti per approdare, gradino dopo gradino, fino al Parlamento o al Governo, sgomitando tra un sacco di gente ambiziosa e preparata.
    Niente di tutto questo: a parte la circostanza storica più unica che rara del successo di un non partito come il M5S, in parlamento ci è arrivato con un video su internet votato da pochissime persone. E da pochissime persone di quale livello? Immagino che non si veniva votati per la raffinatezza delle proprie analisi economiche o politologiche…
    E una volta arrivato in Parlamento è diventato il portavoce solo perché era quello esteticamente più presentabile: zero competenza, zero carisma, zero cultura (non solo per i congiuntivi o per Pinochet dittatore del Venezuela).
    In sintesi: solo una gigantesca botta di fondoschiena, al cui confronto il passaggio della cometa di halley è un evento ricorrente come il caffè al mattino

  2. Caro Fabrizio,
    del M5S ho detto tanto male, che ho deciso di frenarmi, e a volte non pubblico gli articoli che ho scritto. Perché non sembri una mania.
    Dunque lei mi incuriosisce, e La prego di citarmi il titoli dell’articolo e le parole con cui avrei detto tanto bene di Luigi Di Maio. Mi sarebbero utili nel caso una volta o l’altra mi querelasse.

  3. Si tratta del post del 10 giugno, titolo Di Maio.
    Non si trattava ovviamente di una lode sperticata, non a caso in questo commento ho scritto che lei intravedeva un “potenziale” statista o quantomeno un politico di razza. Tuttavia era stata effettivamente un’apertura non poco sorprendente da parte sua.

  4. In quell’articolo tutto il primo paragrafo – che non riporto a causa della sua lun-ghezza – è così critico che l’ho scritto temendo qualche querela. Poi leggo queste altre frasi: La quantità di scemenze che ha potuto dire è stata allarmante. è difficile sentirsi soffocare dalla stima per questo giovane rampante. La sua incoerenza, la sua mancanza di dignità, la sua disinvoltura nel contraddirsi, possono lasciare esterrefatti. Di Maio non è né immorale né amorale. È uno che non si è posto il problema.

    Ciò che ho scritto “a sua lode”, se così vuole vederla, è questo: “Beppe è un comico, lui il padrone del Movimento. E allora, congiuntivi o non congiuntivi, se Di Maio a trentun anni è arrivato a questo, probabilmente ha più cartucce da sparare di quanto credessi. Non come linguista, certo. Non come politologo. Non come uomo di cultura: ma come uomo d’azione questo ragazzo potrebbe riservarci delle sorprese”.
    Francamente non mi sembrano grandi lodi. Lei esclude le sorprese, nella vita? E già il risultato del 4 marzo non è una sorpresa?
    Comunque, per Di Maio, è vero che per riuscire in politica è meglio essere figli di buona donna che avere scrupoli. Ma se si hannp soltanto queste qualità, presto si potrebbe avere il fiato corto.

  5. Infatti non era una lode, come ho precisato sopra. Ma un’apertura piuttosto inattesa, visto quello che ha sempre scritto in precedenza e che ha ribadito nella premessa del medesimo articolo.
    Le riporto la conclusione: “Mentre Di Maio, dimentico di un “Contratto” tutto da ridere, potrebbe guidare l’Italia per qualche anno senza “farla cadere nel burrone”. È quello che vedremo.”
    Mettiamola così: se il giovanotto la dovesse querelare, potrà portare questo mio commento a sua discolpa o attenuante:-)
    Credo tuttavia che da qui in avanti come plurititolato ministro avrà altri problemi a cui pensare….

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