IL POSTO DELLE FAVOLE

Nel film “Il Posto delle Fragole”, di Ingmar Bergman, un vecchio dottore, vicino alla pensione, sogna di sostenere gli esami per divenire medico. E nel sogno, ovviamente, ha tutti i problemi e tutte le difficoltà che in quell’occasione può avere un giovane. Nello stesso modo, ho immaginato di essere tornato liceale e di vedermi assegnare questo tema: “Scrivete un articolo ottimista”.
Svolgimento? È una parola. Già da ragazzo, dinanzi ad un tema che non condividevo, o su cui non potevo dire la verità, ero in profondo imbarazzo. Una sola volta, in prima liceale, scrissi volontariamente un tema falso e retorico e la conseguenza fu che presi un bel voto. Sicché decisi di non farlo mai più.
Per scrivere un articolo ottimista, bisogna avere motivi per essere ottimisti. Ed io non ne ho molti. Forse dipende dall’avere adottato i parametri degli altri, non i miei. Il grande pessimismo attuale nasce dal fatto che ci sono tutte le premesse per una grande crisi economica. Ma in fondo, che cosa riguarda, questa crisi possibile? La nostra automobile, il nostro riscaldamento, il nostro vestiario, i nostri viaggi. Tutte cose che, quando ero bambino io, erano considerate lussi inarrivabili. Di cui ho fatto a meno allora e di cui potrei fare a meno anche oggi. Se dunque la società italiana dovrà improvvisamente virare verso consumi molto più contenuti, quasi ripartendo da zero come nel 1944, il motivo di ottimismo sarà, come allora, che probabilmente non soffriremo più le privazioni del tempo di guerra – sto parlando di fame, non di abiti firmati – e ci sarà speranza. Appunto perché si riparte da zero e il futuro non potrè che essere migliore del passato.
Il massimo ottimismo nasce dall’utilità della lezione che la nostra società potrebbe vedersi impartire dalla realtà. L’Italia potrebbe finalmente perdere d’un sol colpo le sue illusioni, i suoi pregiudizi, i falsi ideali e le false aspettative che l’hanno afflitta da decenni, e ritrovi l’umiltà, il senso del reale, la voglia di fare. Fino a ridare la prova di quelle grandi qualità di cui il nostro popolo sembra aver perso la memoria. Non si tratta soltanto di ritrovare la voglia di un qualunque lavoro pur di sopravvivere, il senso e quasi la poesia della frugalità, si tratta di comprendere quali sono le cose che hanno veramente un grande valore.
Infatti forse è questa la soluzione. Per scrivere un articolo altrimenti impossibile, non devo partire dal punto di vista cui mi costringono l’attualità e la lettura dei giornali, ma da quello di un individuo senza importanza, ma sereno e soddisfatto da decenni, uno che può soltanto sperare di continuare così.
Ritrovata la pace della solitudine – come quando si chiude la finestra sul clamore del traffico cittadino – i motivi di ottimismo li vedo . A cominciare dalla certezza che – come annunciava un film neoralista italiano del 1946 – “Il sole sorge ancora”. Oltre ad essere uno spettacolo che merita più attenzione di quanto di solito ne riceva, quell’astro caloroso è il simbolo della vita, e tutti dovremmo cominciare dall’essere lieti di essere vivi e, per la maggior parte, esenti da quelle infermità (cecità, sordità, paralisi, cancro) che rendono giustificatamente infelici tanti innocenti. Poi dobbiamo ricordare che i più grandi e durevoli piaceri non li dà il denaro, ce li dà per esempio la musica. Ovviamente non l’insulso rumore ritmato che tanti oggi chiamano musica. E poi c’è la grande letteratura, per non parlare delle infinite occasioni di lettura che offre Internet, se soltanto potremo ancora permetterci l’elettricità e il collegamento con la Rete.
Non basta, ovviamente. Il vero tesoro, quello che può riempirci la vita, sono i rapporti umani. Chi ha la fortuna della compagnia, dell’amicizia, dell’amore, è corazzato contro le asprezze del mondo. Insomma, al di là delle concrete difficoltà economiche, rimane a ciascuno di noi una risorsa essenziale: la capacità di essere felice. E sarà soddisfatto perché è già ricco intimamente e non ha bisogno di molto. È la saggezza, non la ricchezza, il massimo presupposto della felicità.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
4 ottobre 2018

IL POSTO DELLE FAVOLEultima modifica: 2018-10-04T17:17:08+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

3 pensieri su “IL POSTO DELLE FAVOLE

  1. Io non credo che, pensando a una futura distopica Italia post-crisi economica, si possa fare un paragone con l’Italia del dopoguerra. In Italia abbiamo sofferto seriamente, durante la guerra. Si e’ fatta la fame, si sono viste cose orribili. Violenze, cattiveria, gli istinti peggiori. E la gente si e’ indurita, rafforzata. E’ migliorata. E dopo, non a caso le attrici italiane del dopoguerra erano prosperose, le canzonette spensierate: c’era entusiasmo, gioia di vivere (e di essere sopravvissuti). Ma oggi gli italiani sono viziati, smidollati, perche’ non soffrono da lungo tempo. E Lei crede che, un domani dopo una severa crisi, dovendo ripartire da zero, gli italiani di colpo migliorerebbero? Perderebbero il clientelismo, l’opportunismo? Il “tengo famiglia” ? Ci vorrebbe una crisi che agisse sulla genetica.

  2. Chiedere a Pardo di scrivere un articolo ottimista è come chiedere a Dracula di iscriversi all’AVIS 🙂 . Scherzi a parte, una discussione su ottimismo e pessimismo è tutt’altro che frivola. Innanzitutto bisognerebbe stabilire se questi due sentimenti hanno a che fare con la razionalità o con la natura delle persone. Di fronte al medesimo fatto cosa determina interpretazioni diverse e a volte opposte ? E la paura ? Che ruolo gioca ? Ci sono persone pigre di natura e altre che sono molto attive. Non sarà che il tasso di ottimismo e pessimismo è già scritto nei nostri cromosomi ?

    “È la saggezza, non la ricchezza, il massimo presupposto della felicità.”
    Non solo concordo pienamente, ma faccio i complimenti a Pardo per questo articolo. Certamente uno dei migliori

I commenti sono chiusi.