TUFFO CARPIATO CON AVVITAMENTO TRIPLO

Da giovane non osavo tuffarmi a chiodo da due o tre metri ed ora mi appresto ad effettuare un tuffo carpiato con avvitamento triplo. In un mondo che vede negli investimenti keynesiani l’unica soluzione per uscire dalla stagnazione, mi permetto di proporre una ricetta diversa. Non per risolvere i problemi dell’Italia (figurarsi) e neppure per dimostrare quanto sono bravo: soltanto per suscitare le obiezioni degli amici, e capire dov’è che sbaglio.
1 Lo Stato opera a costi altissimi. Non essendo una persona, non bada bene ai propri interessi e coloro che istituzionalmente dovrebbero proteggerlo pensano in primo luogo al loro personale vantaggio. A volte arrivando alla corruzione. Il denaro dello Stato è di chi lo sa arraffare. Così, ogni volta che lo Stato spende il denaro dei cittadini per rilanciare l’economia bisogna immaginare un “moltiplicatore”scarso o addirittura negativo. Cioè che si “rilanci” ben poco, oppure addirittura che si spenda più di quanto ne guadagni il Paese. L’abbiamo già visto. L’Italia è keynesiana da sempre e ciò le è servito per creare un enorme debito pubblico e ritrovarsi in un’insolubile stagnazione. Dunque l’idea (rarissimamente contraddetta) che la soluzione dei problemi economici dell’Italia si trovi in cospicui investimenti pubblici è semplicemente sbagliata.
2 Ciò non vuol dire che in sé gli investimenti non siano capaci di rilanciare l’economia. La cosa è possibile quando gli investimenti sono privati, perché l’imprenditore investe in quanto conti di ricavarne un profitto e questo è garanzia dell’economicità dell’intrapresa. Da un lato l’investimento riguarderà un comparto produttivo, dall’altro non ci saranno sprechi. Potrà andar male una volta su dieci, ma non nove volte su dieci, come avviene con lo Stato.
3 Qui si deve rispondere ad un’obiezione. Qualcuno dirà: se lo Stato investe per costruire scuole, carceri o strade, questi investimenti , benché necessari, non sono immediatamente produttivi. E tuttavia creeranno posti di lavoro e potranno contribuire al rilancio dell’economia. Giusto. Ma quando si è in una grave crisi, bisogna pensare ad altri investimenti che l’economia la rilancino subito. Le opere che danno un vantaggio economico reale ma lontano vanno rinviata al momento in cui la crisi sarà stata superata. Come negli incendi, la prima cosa da fare è spegnere le fiamme. In questo caso, creare ricchezza e posti di lavoro
4 L’unico motivo che convince gli investitori privati a rischiare il proprio denaro e intraprendere è la prospettiva di un notevole guadagno. Ma in Italia ciò appare impossibile per gli infiniti vincoli, per la lentezza del sistema giudiziario e soprattutto per l’elevata pressione fiscale. Non è che lo Stato sia sadicamente e stupidamente vorace: è che ha disperatamente bisogno di quel denaro per assolvere gli infiniti compiti di cui si è fatto carico. Sicché il problema diviene: in che modo lo Stato potrebbe abbassare drasticamente la pressione fiscale?
5 In Italia, in questi casi, si pensa agli investimenti pubblici prendendo a prestito centinaia di miliardi ogni anno e inserendoli nell’economia, come “moltiplicatore”. Con conseguente immediata e drammatica dilatazione del debito pubblico. Purtroppo questa soluzione è impossibile. I mercati potrebbero rispondere non soltanto non prestandoci quel denaro (cioè non comprando i nostri titoli pubblici), e addirittura (venendo a mancare la fiducia) non permettendoci neanche di pagare gli interessi sui debiti già contratti. I competenti sanno che basta una crisi di liquidità, per esempio se le aste dei titoli pubblici andassero deserte per un mese o due, per farci fallire. Persino quel Matteo Salvini che sognava la tassa piatta al 15% per tutti, prima l’ha sdoppiata (e dunque non era piatta), poi l’ha temperata con provvidenze per i meno abbienti, infine l’ha riservata soltanto alle partite Iva e perfino a queste con importanti limitazioni. La vera tassa piatta intanto avrebbe fatto fallire l’Italia. E ciò malgrado ci troviamo comunque sottoposti a una procedura d’infrazione per debito eccessivo.
6. Se la soluzione è una drammatica diminuzione della pressione fiscale, e se questa non si può attuare contraendo ulteriori debiti, rimane come unica alternativa un draconiano taglio delle spese. Lo Stato dovrebbe dimezzare i suoi servizi, occupandosi soltanto di quelli assolutamente essenziali, e divenendo molto, molto meno generoso di quanto sia oggi. Naturalmente a quel punto sarebbe guardato più o meno come l’Erode della leggenda, ma da un lato la prosperità si può avere soltanto in un mondo in cui gli imprenditori non sono perseguitati, il loro profitto non è visto come illegittimo, e in cui perfino gli artigiani non sono costretti a dare metà del loro guadagno allo Stato. Dall’altro, se non lo decidiamo noi, tutto ciò, probabilmente lo deciderà la prossima crisi economica.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
22 novembre 2018

TUFFO CARPIATO CON AVVITAMENTO TRIPLOultima modifica: 2018-11-22T11:15:08+01:00da gianni.pardo
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9 pensieri su “TUFFO CARPIATO CON AVVITAMENTO TRIPLO

  1. Purtroppo la contabilita’ nazionale computa come PIL tutta la spesa dello Stato, dando per scontato, poiche’ viene decisa dai “rappresentanti del popolo democraticamente eletti”, che essa sia tutta per forza utile e gradita ai cittadini.

    Questa lapalissiana ed evidente fandonia deriva direttamente, anzi viene ricavata per ineluttabile inferenza logica, dall’altra fandonia di matrice idealistico-gentiliana, quella per cui “lo stato siamo noi”, che e’ piu’ ingannatrice e difficile da riconoscere come tale (anche ieri sera un amico mi ha detto, come se fosse la verita’ piu’ autoevidente del mondo, che “lo stato siamo noi”).

    Per i calcoli del PIL viene usata la cosiddetta formula di Keynes, che trovate su wikipedia, la quale da’ sempre e comunque ragione a se stessa.

    L’irrefrenabile aumento della porzione pubblica dell’economia e’ dovuto a questo, oltre che al voto di scambio connaturato alle democrazie ma forse anche a qualsiasi altro genere di vivere umano complesso e organizzato per via gerarchica.

  2. Dato che abbiamo sottoscritto “n” trattati la cui ragione d’essere è la fine degli Stati nazionali, direi che tutto il post non ha senso. Lo Stato non esiste, è una finzione.

    Faremmo molto prima se invece di indovinare di che morte dobbiamo morire con una procedura prova-sbaglia-correggi, la “comunità internazionale” ci desse degli ordini diretti. Potremmo anche risparmiare un sacco sbarazzandoci delle elezioni e di tutte le “istituzioni democratiche” che tanto non hanno alcuna autorità reale, sono come i centurioni che fanno le foto coi turisti davanti al colosseo.

    Certo, ci sarebbero molti meno posti di lavoro per gente che altrimenti venderebbe i folletto porta a porta.

  3. x Winston Diaz: questa cosa che ” la contabilita’ nazionale computa come PIL tutta la spesa dello Stato” mi ha sempre fatto rotolare dalle risate fin dai miei primi lontani studi di economia. Se per il privato che produce e vende frullatori a 100 euro l’uno (che comprende il suo margine lordo e il costo di tutti fattori), il “valore” della sua produzione nasce effettivamente dalla moltiplicazione per i pezzi prodotti, per uno Stato che raddoppi i dipendenti (e quindi i costi), lasciando che il 50% dei dipendenti di prima che passavano il tempo “leggendo il giornale” si sommi ai nuovi dipendenti che ugualmente leggeranno il giornale, il “prodotto”, con questo criterio si raddoppia, quando invece rimane miserrimo. Ma allora si fa avanti Keynes, il quale dice “sì, ma i fortunati neodipendenti in questo modo acquisteranno beni e servizi, che gli saranno forniti da imprese, che quindi dovranno incrementare la produzione e il valore della stessa si incrementerà e dovranno, esse, assumere gente, la quale a sua volta ecc. ecc.”. Quindi, questa “eccedenza” di prodotti si sommerà a quella da cui trae origine cioè gli stipendi ai neoassunti. All’opposto, se si licenziasse quel 50% di lettori, il PIL “pubblico” ne soffrirebbe e, contraendosi le possibilità di spesa e quindi gli acquisti, l’intero Paese andrebbe a catafascio. Ergo, è lo Stato il motore – immobile – dell’Universo: rovesci sul Paese valanghe di stipendi (“trovando i soldi” in qualche modo) e alla fine la felicità inonderà i cuori.
    Ricordo bene che in India, ai tempi di Indira, Bombay ferveva di scavi. Pensavo fossero opere di acquedotto, fognarie, posa di cavi. Nossignore: si scavava “per nulla” (con terra rimossa con ceste in testa). Finito lo scavo, dopo un mese, altri lavori: di ricopertura e riasfaltature degli scavi. Ma così si erano distribuiti stipendi e si teneva occupata e felice la gente. Tutti lo sapevano e lo accettavano, anche la “borghesia”. Sistema molto onesto, direi.
    A me è sempre sembrato un “gioco di prestidigitazione”; o sbaglio?

  4. Vedo che in un modo o nell’altro siamo tutti d’accordo.
    Quanto al (bellissimo) ragionamento per il quale, assumendo cinquanta impiegati che non fanno niente. si aiuta a rilanciare la produzione, mi chiedo perché non si economizzano le sedie, la luce e il riscaldamento, dandogli lo stipendio per starsene a casa. L’effetto keynesiano, per come è stato descritto, dovrebbe essere lo stesso. Certo, rimarrebbe il problema di spiegare perché si dà lo stesso stipendio ad alcuni che lavorano e ad altri che non lavorano. Ma anche qui lo pseudo-Keynes viene in soccorso: basterebbe esentare dal lavoro quelli che lavorano e mandare anche a loro lo stipendio a casa.
    Insomma, il sistema dello pseudo-Keynes è senza falle. Basta che tutti smettano di lavorare e la ricchezza aumenterà, e soprattutto si produrrà da sé.
    Lo so che voi non ci credete, ma Di Maio sì.

  5. No Prof.nemmeno Di Maio ci crede, è una pantomima. Il Suo articolo non riguarda l’economia ma è storiografico, gli italiani siamo così. Salvini dal centro-destra e passato centro-mediano per alchimie politiche sconosciute,D i Maio ha paura, ha trovato il famoso barile vuoto e la stanza senza bottoni.Si sono chiesti semplicemente, con l’austerità cresciamo? No, e allora “facimme tutto ò cuntrario” Saluti Ciro

  6. Che tutta la spesa dello stato sia computata nel PIL ha una sua logica: mentre il prodotto del produttore privato conta solo se trova qualcuno disposto ad acquistarlo liberamente, non e’ privo di logica il fatto che se lo Stato (che siamo tutti noi, no?) decide di acquistare qualcosa, allora quel qualcosa “vale” necessariamente, e va enumerato nel PIL.

    Sul “liberamente” pero’ ci sarebbe molto da discutere, dato che una gran parte ormai degli acquisti privati di beni e servizi e’ tutt’altro che libera e comunque OBBLIGATA dalle leggi dello Stato (pensate alle parcelle dei commercialisti, professione sconosciuta prima della riforma tributaria Visentini del 1970 che obbligo’ ogni attivita’ economica per quanto piccola alla completa contabilita’ obbligatoria, Visentini il “santo” dei commercialisti, lo stesso che da presidente dell’Olivetti decise l’obbligo, tuttora unico al mondo, del registratore di cassa “fiscale”, o pensate alle innumerevoli assicurazioni e revisioni obbligatorie – ma anche alla scuola obbligatoria stessa).

    Secondo Luca Ricolfi circa il 90 per cento dell’economia italiana e’ “intermediata” dallo Stato, benche’ “solo” il 50 per cento sia rappresentato da spesa pubblica diretta.

    Per quanto riguarda gli impiegati di Stato che non fanno niente, MAGARI! La gran parte degli addetti alla burocrazia e alle varie polizie normativo/fiscali, se dopo aver timbrato il cartellino passassero il loro tempo a casa a guardare la televisione o al bar a giocare a carte, sarebbero MOLTO meno dannosi alle attivita’ produttive e alla collettivita’ che fra le altre cose li mantiene.

    Queste mie non vorrebbero essere battute sarcastiche, bensi’ amare constazioni di tristi verita’.

  7. Formigli:”Chi lavora in nero potrebbe prendere lo stesso il reddito di cittadinanza..”.

    Di Maio:”Ci sarà un Tutor a controllare”.

    Un Tutor per ogni destinatario ! 🙂

    #piazzapulita

  8. @eduardo
    Infatti nei posti d’europa anche solo vagamente seri e civili, per “reddito di cittadinanza” si intende una cifra uguale per tutti elargita a prescindere, ai poveri come ai ricchi, proprio per evitare le prevedibilissime distorsioni contro cui il misero Di Maggio – Chisciotte si trovera’ a combattere (e noi poveri meschini con lui, volenti o nolenti).
    I 5stelle sono il climax dell’invidia sociale espressa sub specie di polizia fiscale, l’acme del santorismo primitivistico.

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