UN MONDO DI PAROLE 3

Purtroppo, a voler esaminare le principali parole che sono fonte di fraintendimenti, si dovrebbe scrivere un libro. Ecco perché è meglio limitarsi ad accennare ad alcuni concetti, senza avere la pretesa di convincere nessuno.
La prima parola che viene in mente, in questo campo, è “investimenti”. In seguito ad una lettura erronea (o volutamente tendenziosa) delle teorie di John Maynard Keynes, moltissimi sono convinti che quando lo Stato spende denaro – anche se lo ha preso a prestito – quel denaro provoca un rilancio dell’economia che rende più della spesa iniziale. Sulla base di questo principio la gente si chiede perché mai lo Stato esiti, prima di fare quest’opera buona; perché non la faccia subito, anche se non ha denaro, visto che quella manovra si ripaga da sé. E via sragionando. Nessuno bada al fatto che nella realtà questa manovra non funziona (a meno che non si tratti di spese realmente necessarie e utili alla produzione di ricchezza), nel senso che l’esborso (per esempio quello per puri fini assistenziali) è sicuro, mentre il rilancio è molto improbabile. E infatti in Italia questo genere di interventi ha prodotto un debito pubblico astronomico. Con quale coraggio si può invocare l’accentuazione di una politica che ci ha già portati all’insolvenza, e che ci costa ogni anno sessanta-settanta miliardi di euro di interessi?
Il problema è che la parola “investimenti” per molti corrisponde a “”rilancio dell’economia”: e non c’è modo di farli ragionare. Sembra che nemmeno l’esperienza sia una sufficiente dimostrazione. Se – come troppo spesso avviene – con l’investimento non si produce ricchezza in quantità superiore al costo, lo Stato deve ripianare la perdita, e così si aumenta il debito pubblico, si aumenta la pressione fiscale e dunque la miseria. Gli investimenti sono benedetti soltanto quando producono ricchezza e poi, ulteriore e secondario vantaggio, richiedono forza lavoro per produrla. In quel caso il Paese diviene più ricco e si abbassa la disoccupazione. Questo è l’unico modo di migliorare la vita della nazione. Ci sono serissime ragioni per avere dubbi sulle proposte finto-keynesiane. Infatti Keynes non era l’imbecille che molti immaginano.
Il grande problema non è la distribuzione della ricchezza, come credono tante anime belle e disinformate (o accecate dalla religione), il problema è la produzione di quella ricchezza. Prima la produciamo, poi penseremo a distribuirla meglio. E ricordiamoci che più un Paese è ricco, più questa ricchezza si riversa comunque sul popolo. Quand’ero bambino io l’Italia era tanto più povera di oggi, che avrei considerato gli attuali cumuli di spazzatura come la grotta di Alì Babà. Tante sono le cose preziose che ci avrei trovato. Mentre, se ci accaniamo ad impoverire i ricchi, alla fine saranno più poveri anche i poveri.
A proposito dell’invidia e della mentalità punitiva, bisogna ricordare che se si toglie troppa ricchezza a chi la produce, costui non avrà più interesse a produrla. Sarebbe come tagliare l’albero per farne legna e nel contempo pretendere che ci offra frutta di stagione.
Altre parole, alla rinfusa. Il capitalista non è un bieco profittatore del lavoro altrui, è un elemento necessario della produzione. Ma bisogna innanzi tutto intendersi sul concetto di “capitale”. Chi va a pesca con la propria canna è un capitalista in quanto proprietario della canna, e consumatore, in quanto poi mangia il pesce. Se la gente non ha mai pensato che un martello è un “capitale” (in quanto mezzo di produzione) e non un bene di consumo (chi mai ha mangiato un martello?) non è colpa mia.
Quanto al capitalista che tanti concepiscono, il ricco nullafacente o la banca che prestano denaro all’imprenditore, non si dimentichi che l’interesse che richiedono è a fronte del rischio di perdere l’intero capitale, se l’imprenditore fallisce. E qualcuno ricordi a chi ha una mentalità di sinistra che nessuno è mai stato obbligato a contrarre un debito. Chi pregherebbe di essere danneggiato, se contrarre un debito fosse un danno?
Nella Russia Sovietica il capitalismo privato fu eliminato, l’unico capitalista divenne lo Stato e così si produsse soprattutto miseria. Chi ha dubbi chieda ai cinesi sotto Mao. Il capitalismo privato è il meno cattivo dei sistemi economici, esattamente come la democrazia è il meno cattivo dei regimi politici.
Altre parole truffaldine: la Resistenza. Checché racconti la retorica ufficiale, i partigiani non hanno avuto alcuna influenza sull’esito di una guerra che si combatteva con grandi eserciti, mezzi corazzati e aviazione. L’Italia non ha vinto la guerra, l’ha perduta e basta. Arrendendosi senza condizioni.
I sindacati. Se gli operai oggi stanno tanto meglio di cento o duecento anni fa non è per merito dei sindacati ma per merito del progresso tecnologico. Ed infatti stanno bene i lavoratori di Paesi a basso sindacalismo, come la Svizzera e gli Stati Uniti, mentre stanno malaccio i lavoratori di Paesi a pesante sindacalismo come l’Italia, e sono arrivati alla miseria nera e alla fame i Paesi in cui i sindacati hanno preso il potere, come la Russia Sovietica.
Questi testi non sono una crociata: sono soltanto un invito a riflettere sulle parole, senza permettere che esse ci ingannino e ci danneggino.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
Fine

UN MONDO DI PAROLE 3ultima modifica: 2018-12-27T07:32:14+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “UN MONDO DI PAROLE 3

  1. Temo che anche nel mondo delle teorie economiche, sia accademiche che da strada, il significante abbia preso il volo dal significato da un bel pezzo.

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