IN CHE COSA CREDIAMO VERAMENTE

Trovo per caso alcune mie righe scritte nel 1996: “Pensa da adulto chi è disposto ad ammettere che vede solo quello che vede e capisce solo quello che capisce. Chi crede solo ciò che è ragionevolmente provato da una reiterabile realtà. Se invece crede che l’anima esista, anche se non ce n’è la prova; che gli uomini sopravvivano alla morte, anche se i morti non tornano mai; se crede che ci sia una giustizia in terra, mentre l’esperienza prova il contrario; se crede che si può scoprire l’universo guardando il proprio ombelico o mettendosi in una certa posizione, purché scomoda, allora non potrà più arrivare al pensiero adulto. L’individuo sarà come un bimbo che, dinanzi ad una brutta realtà, chiede alla mamma di smentirla raccontandogli una bella favola. 3 aprile 1996” Oltre vent’anni dopo vorrei aggiungere qualcosa.
Tanti anni fa distinguevo il pensiero adulto dal pensiero immaturo, e sarebbe lecito ritenere che le persone si possano distinguere secondo ciò che dicono. Per esempio, possiamo credere che una persona reputi realmente che non ci sia nulla, assolutamente nulla, dopo la morte ma, se poi ha paura dei fantasmi o non entrerebbe mai in un cimitero di notte?
In realtà, “ammettere che si vede quello che si vede”, e che non ci sia praticamente nulla, oltre ciò che si vede, è più difficile di ciò che si potrebbe pensare. Un secondo esempio. Se qualcuno dichiara di credere nella medicina e di non credere ai poteri dei guaritori, ma poi di fatto, una volta che gli hanno annunciato che ha un cancro letale, si rivolge a qualche guaritore (“Male non mi può fare”) in realtà dimostra di avere dei dubbi sulla medicina (e fin qui, passi) ma anche di non essere sicuro dell’inefficacia e della natura mitologica dei poteri dei guaritori. Non si sta giudicando severamente quel povero disgraziato: di fronte alla prospettiva della morte a chiunque può capitare di perdere i pedali. Ma con quel gesto dimostra di attribuire alla scienza un valore opinabile non lontano da quello degli oroscopi. Ben difficilmente un oncologo, ricevuta la stessa pessima notizia, si informerebbe sull’esistenza di qualche guaritore.
La tesi generale è che dimostriamo le nostre convinzioni non con le parole , ma con le azioni . In questo campo l’affermazione più paradossale, e addirittura estrema, l’ha espressa Ernest Renan col suo famoso aforisma: “Ho conosciuto parecchi furfanti che non erano moralisti, ma non ho conosciuto moralisti che non fossero furfanti”. Ma il principio cessa di essere un paradosso, se lo si esprime così: la distinzione fra furfanti e moralisti non consiste in ciò che dicono, ma in ciò che fanno.
E sempre guardando alla sostanza delle cose, si interpreta meglio una famosa massima di La Rochefoucauld: “L’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù”. Di solito si pensa che abbia questo significato: chi agisce male e tuttavia proclama i valori della virtù, almeno riconosce la loro validità e implicitamente la rimproverabilità del proprio comportamento. In realtà l’ipocrita a quei valori non crede affatto. Li riconosce formalmente, da quel furfante che è, per realizzare un ulteriore profitto, quello di nascondere i suoi veri intendimenti. Onesto è chi si comporta onestamente, non chi si profonde in lodi dell’onestà.
Fu seguendo decenni fa lo sciopero dei minatori inglesi del carbone che imparai l’espressione inglese: “Votare con i piedi”. La signora Thatcher resistette imperterrita ad uno sciopero interminabile e devastante e alla fine i minatori, prima alla spicciolata, poi sempre più numerosi, tornarono al lavoro. Votarono “con i piedi” e decretarono di avere perso la guerra contro i prezzi internazionali del carbone. Scioperando contro le leggi del mercato o si perde, o si impone un esborso ai propri concittadini.
Si può rendere più universale il principio formulandolo così: ogni battaglia contro la “realtà effettuale”, come l’avrebbe chiamata Machiavelli, è una battaglia persa. Ma anche queste sono parole inutili. Chi è arrivato a questi principi, li applica già. E chi mi dà ragione, ma continua a comportarsi come prima, mi offre un omaggio verbale ma nel frattempo vota con i piedi in un’altra direzione.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
22 febbraio 2019

IN CHE COSA CREDIAMO VERAMENTEultima modifica: 2019-02-22T11:00:02+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “IN CHE COSA CREDIAMO VERAMENTE

  1. Caro Gianni, sono d’accordo solo parzialmente. “Pensa da adulto chi è disposto ad ammettere che vede solo quello che vede e capisce solo quello che capisce. Chi crede solo ciò che è ragionevolmente provato da una reiterabile realtà.“ Io vedo cio’ che vedo, e capisco quello che capisco. Ma sono disposto ad ammettere che ci puo’essere qualcosa al di la’della mia esperienza personale. Non ho mai visto l’Australia, ad esempio, ma ammetto che esista. E non capisco l’infinito dell’universo e del tempo, ma ammetto che possano essere reali, e’ solo la mia mente limitata che non arriva a comprenderli.
    E quando parla dell’ateo che ha paura dei fantasmi, o del malato di cancro che disperatamente si rivolge ad un guaritore, non tiene conto della debolezza dell’animo umano. Incoerenza, ipocrisia, dubbio fanno parte di noi tutti, chi piu’e chi meno.

    Quanti “adulti” ci sono al mondo?

  2. Caro Nicola, sono già troppo ignorante riguardo alle cose note e dimostrate, che non ho tempo per ipotizzare ciò che non saprò mai.
    Che qualcosa “potrebbe” esistere senza che io lo sappia, a che mi serve ipotizzarlo? Non sappiamo tutto, è vero: ma allora non crediamo di sapere ciò che non sappiamo.
    Non è perché non ci piace morire “interamente” che siamo autorizzati a pensare che ci sia qualcosa dopo la morte.
    Quanti adulti, al mondo? Pochi. Ho sempre detto che anche di atei ce ne sono pochi, perché non ne fanno parte quelli che si dicono atei e poi hann mille dubbi metafisici. Quelli sono atei nel senso che non credono al Dio di cui gli hanno parlato, ma la loro voglia di credere è trasparente.

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