ELLE APOSTROFO ANAZIONALITA’

James Nansen è un ex diplomatico americano che vive da decenni in Italia, tanto da scrivere un eccellente italiano, ed è una delle rare persone con cui si può parlare delle proprie nazioni senza incontrare mai denigrazione o autodenigrazione. Recentemente, avendo confermato il mio amore per gli Stati Uniti, ho parlato del “lato provinciale e patriottico (per non dire bigotto) di certa America”, e lui mi ha scritto: “Anch’io trovo il mio paese a volte ‘provinciale e bigotto’. Il patriottismo di maniera però non mi sorprende quanto l’anazionalismo italiano, unico nella mia esperienza anche rispetto agli altri paesi europei”.
Il concetto di “anazionalismo” è interessante e sono grato a James di avermelo regalato. Sappiamo tutti che cos’è il nazionalismo; sappiamo che cos’è l’internazionalismo e sappiamo anche che ambedue sono forme di amore: una per il proprio Paese, una per tutti i Paesi. L’“anazionalismo” invece sarebbe una forma di insensibilità allo stesso concetto di nazione. Il francese internazionalista dice all’Italiano: “Io sono francese, tu sei italiano, ma io ti tratto esattamente come se tu fossi francese”. L’italiano invece dice al francese: “Non ho capito quello che hai detto. Ma perché parli in modo così strano, non conosci l’italiano?”
Il concetto di nazione ci riporta innanzi tutto ad un dato geografico. Se un lattante pakistano o argentino è adottato da una coppia inglese, crescendo sarà un perfetto inglese, non un pakistano o un argentino. Dunque la nazionalità è l’insieme della lingua, della cultura, degli usi e in generale dell’imprinting che si riceve vivendo in un dato posto. Il dato è accentuato dalla percepita differenza con gli altri, dalla coscienza di un “noi” rispetto a “loro”, anche quando si parla la stessa lingua, come avviene tra valloni e francesi, austriaci e tedeschi, spagnoli e messicani. Addirittura, per quanto riguarda la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, accennando al diverso modo di pronunciare l’inglese, si dice scherzando che sono due Paesi “separati dalla stessa lingua”.
Come mai noi italiani avremmo un così basso sentimento nazionale, soprattutto considerano che l’italiano lo parliamo soltanto noi? Il punto è probabilmente che il sentimento di nazionalità, oltre che nascere dall’imprinting di cui si diceva, nasce dall’adesione intima, a una data nazionalità. L’austriaco sa che l’Austria di oggi è un nulla, rispetto a ciò che è stata prima del 1918, ma non può avere complessi nei confronti dei tedeschi. Costoro sono dei parvenu, sulla scena internazionale, tanto che la loro ricchezza e la loro potenza non compensano certo la storia gloriosa di Vienna. Inoltre gli austriaci possono stimare il loro Paese perché è ben amministrato, pulito, civile, decente. Una delle difficoltà che incontrò il Risorgimento, nel Lombardo-Veneto, fu che i benpensanti italiani non erano affatto scontenti dell’amministrazione austriaca. Recentemente si è parlato di “Roma ladrona”, mai in passato si è parlato di “Vienna ladrona”.
Così arriviamo al nostro anazionalismo. L’Italia, in quanto Paese unito, non ha la stessa storia gloriosa dell’Austria o della Francia. Lo Stato attuale è giudicato inefficiente e corrotto, con una Pubblica Amministrazione capace di farsi odiare. Infine, pur parlando la stessa lingua, l’italiano non sente di avere molto in comune con gli abitanti delle altre regioni. Già tutto il meridione non si sente italiano allo stesso titolo dei piemontesi o dei lombardi. Non soltanto l’unificazione dell’Italia è recente, ma è stata fatta senza la partecipazione del popolo. Inoltre è stata seguita da una repressione violenta che ha ulteriormente separato le due parti della nazione. Come se non bastasse, i settentrionali disprezzano i meridionali e questo accentua il sentimento di “noi” e “loro”.
Ma questa tendenza alla separazione si manifesta anche all’interno dei due grandi blocchi Nord-Sud. Un tempo l’accento veneto di una donna, a Milano, faceva pensare che si avesse a che fare con una cameriera. Al minimo cambiamento di accento o di abitudini, rinasce il sentimento di “noi” e “loro”. I siciliani sono compagni di sfortuna con i calabresi, ma li giudicano diversi e inferiori. Fino ad una frammentazione estrema della nazione, ad uno sbriciolamento che, passando dal campanilismo, sfocia nel puro individualismo.
Noi italiani ci troviamo per caso a vivere qui, e siamo soltanto i coinquilini della penisola. Né abbiamo una grande stima della nostra Patria. L’ultimo dei pericoli che corre l’Italia è quello dello sciovinismo. Ché anzi, uno dei motivi del successo del comunismo, in Italia, è stato il suo programmatico internazionalismo. Con l’internazionalismo da noi pioveva sul bagnato. Se potessero, gli italiani farebbero emigrare l’Italia, con Alpi, Mediterraneo e tutto, fino ad attaccarla a qualche altro Paese, se possibile grande, ricco e vincente.
Non soltanto l’Italia nel suo complesso non ha neppure il sentimento di nazionalità, ma la personale separatezza del singolo dal resto della comunità è così forte, che non ci costa nulla dire il peggio dell’Italia. Perché la cosa non ci riguarda. Gli abitanti degli altri Paesi tendono a distinguere “noi” olandesi da “loro”, i tedeschi; l’italiano tende a distinguere sé stesso da tutti gli altri.
L’amico James Nansen ci ha azzeccato. Noi siamo “anazionali”. Ovviamente, chi ha un minimo di cultura non può non essere pieno di stima per il contributo che questo piccolo Paese – a lungo diviso – ha dato alla civiltà. Ma questo ha ben poco a che vedere con l’Italia attuale. Si tratta di un patrimonio universale come la vittoria dei greci sui persiani a Maratona, la scoperta dell’America o l’Illuminismo. Per non parlare del lascito di Roma.
Del nostro contributo a quella civiltà che abbiamo perso per strada – dai tempi di Dante fino ad oggi – abbiamo conservato soltanto la litigiosità, la capacità di dividerci in fazioni per poi azzuffarci da mane a sera.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
3 marzo 2019

ELLE APOSTROFO ANAZIONALITA’ultima modifica: 2019-03-03T12:52:20+01:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “ELLE APOSTROFO ANAZIONALITA’

  1. Sì, vabbè, Lei e quell’altro potete dire quello che volete, ma resta il fatto che i fagiolini che coltiviamo nel mio paese sono ben più migliori di quelli che raccolgono quegli zoticoni del paese che sta a 5 chilometri da qui. Lo dicono tutti, qui, e si sa. Siamo diversi, noi. E parlano pure male, per dire quello che voi del nord chiamate “lenzuolo”, usano una parola strana che non è quella giusta nostra, e noi quando la sentiamo ridacchiamo e capiamo subito da dove viene e poi facciamo le sfide a come si dicono i nomi delle cose.
    http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Dialetto_pugliese
    http://www.wikiwand.com/it/Dialetti_della_Puglia_centrale
    https://fgranatiero.wordpress.com/2011/07/31/la-questione-linguistca-dei-dialetti-di-puglia/
    e – colpo finale – questo:
    https://www.youtube.com/watch?v=T4lcaD_AFXo

  2. Io, un secolo fa, in Ciociaria, ho preso buona nota di come si dice, da quelle parti, orologio. Si tenga forte: Gli (è l’articolo maschile singolare), dunque “gli rugliagliero”.

  3. L’antipatriottismo italiano
    Discutere serenamente di “nazione”, “nazionalismo”, “patria”, “patriottismo” è difficile, perché in un dibattito queste parole non hanno lo stesso significato per tutti. In Italia, tra l’altro, si tende a vedere una pericolosa involuzione guerrafondaia anche in un moderato amor patrio. Conoscendo altri popoli, mi sono invece reso conto che il mio “nazionalismo” italiano è ben poca cosa rispetto all’intransigenza nazionalista che spesso caratterizza l’individuo medio in altri paesi. Da allora, non mi sono più definito “nazionalista”. Le parole, infatti, evocano realtà diverse a seconda degli interlocutori. “Patriottismo” non ha lo stesso significato in Svizzera, in Portogallo, in Croazia o in Chechnya, così come l’amore per la mamma non assume in tutti i paesi le forme del mammismo alla maniera italiana. Insomma a chi il patriottismo e a chi il mammismo – e il campanilismo.
    È un arricchimento o un impoverimento l’abbandono del retaggio culturale nazionale ? A me appare molto umano il desiderio di continuità dei padri attraverso i figli. E il retaggio culturale nazionale è un elemento molto importante di questa continuità.
    Inoltre, gli internazionalisti da salotto sarebbero disposti a rinunciare agli spaghetti al dente? O ancora: sarebbero pronti ad imparare a far la coda, ossia a aspettare pazientemente, senza mugugnare, il proprio turno in una lunga fila, uno dietro l’altro?
    Lo spirito ecumenico e francescano nei confronti dell’umanità intera che informa i discorsi di tanti italiani, allergici fino alla radice dei capelli ad un normale, sano patriottismo, è contraddetto dallo spirito di furbizia e d’opportunismo che spesso anima il loro comportamento quotidiano. Evidentemente amare il prossimo, a parole, è molto più facile che provare un normale senso di simpatia e di solidarietà per il proprio vicino di casa.
    Questo presunto “uomo nuovo” italiano, ecumenico e francescano, così disposto ad abbattere le frontiere nazionali, chiude però ancora a chiave la porta di casa. Infatti, non è per nulla disposto a trovarsi a tu per tu, rientrando, con uno sconosciuto seduto in salotto.
    È importante distinguere la nazione come struttura, governo statale, dalla nazione come cultura, lingua, storia, sensibilità, passato… Se è possibile sentirsi in antitesi allo Stato, al governo, al partito al potere, è difficile dissociarsi totalmente dall’identità culturale nazionale.
    Il tribalismo è una cosa, l’identità nazionale un’altra. Mentre il tribalismo ammette una sola tribù, l’identità nazionale non è poi così esclusiva.
    Noi che amiamo nostra madre dovremmo capire che anche gli altri amino la propria. Lo stesso vale per la patria.
    L’amore per la propria patria, lingua, cultura e il rispetto dei confini nazionali non impediscono affatto l’allargamento degli orizzonti della propria umanità. Direi, anzi, che per amare l’umanità intera occorra cominciare con la gente che ci sta vicino.
    Chi, spesso con leggerezza, parla di un nuovo essere umano che dovrebbe nascere dal superamento delle frontiere nazionali, non sembra considerare che l’uomo non può prescindere da un’identità linguistica, culturale, storica… Per esempio, non tutti possono conoscere due, tre, quattro lingue straniere altrettanto bene che la propria. Le caratteristiche nazionali, dopotutto, non sono un’invenzione di spiriti meschini e retrivi, ma una incontestabile realtà. Lo stesso spirito esterofilo e lo stesso antipatriottismo, prevalenti in Italia, sono delle caratteristiche nazionali nostre, risultato cioè delle esperienze storiche particolari della Penisola, dominata per secoli da poteri stranieri e dilaniata da campanilismi, rivalità e odi all’interno della penisola.
    È facile in Italia rinunciare, come fanno molti, all’idea di patria, e fare a gara a chi si sente più europeo e mondiale. Quando poi si va a vivere nel mitico “estero”, ci si accorge che per gli altri noi saremo sempre “italiani”, con tutti i contorni spesso negativi che le razze più forti, per sentirsi superiori, hanno appioppato a questo termine; aiutate in ciò dai numerosi esempi di servilismo e di mancanza di dignità nazionale di cui la nostra storia, anche recente, abbonda.

  4. Americanate all’italiana
    Il modello televisivo italiano di donna non più giovanissima è troppo spesso simile a un prodotto GMO della Monsanto. A giudicare dai personaggi femminili che appaiono in TV, si direbbe che agli italiani piaccia la donna rifatta in laboratorio: labbra a canotto, volto gonfio, fisico abbondantemente corretto dal bisturi del chirurgo estetico.
    La parodia è visibile anche nella pubblicità televisiva, dove le scenette presentano un’umanità che tutt’è fuorché italiana. E così gli sceneggiati fatti nella penisola, che dovrebbero raccontarci dell’Italia, ci presentano invece i cliché dello stile televisivo, sociale, umano degli USA. E infatti le poliziotte esperte in karate infuriano anche negli sceneggiati nostrani su mafia e camorra. Come negli USA.
    Io penso che il bombardamento a tappeto, dal dopoguerra ad oggi, subito dall’Italia ad opera di una cultura di massa a stelle e a strisce, si è depositato come un guano sulle meningi deboli e influenzabili di tanti italiani, adusi da sempre ad imitare lo straniero. Le conseguenze appaiono irreversibili.
    L’America, purtroppo, non è riuscita a insegnarci né il pragmatismo, né il patriottismo, né l’avversione allo snobismo. Da noi trionfano il parlare per parlare, il narcisismo, la partigianeria, il settarismo, l’ideologismo, l’antipatriottismo… Dai nostri “liberatori” abbiamo invece imparato solo cose di cui andare poco fieri. Le americanate ormai le facciamo noi.
    E così gli italiani hanno immiserito la ricchezza del loro patrimonio identitario, conservando solo gli elementi di un’italianità deteriore. Un popolo dedito da anni all’autodenigrazione sistematica, ammalato di odi civili, sprovvisto del culto del passato e carente di dignità nazionale, di fronte a questa ininterrotta propaganda a stelle e a strisce appare destinato a perdere anche gli ultimi ormeggi della propria identità.

  5. Le parole identificano la realtà. Altre volte la alterano, quando sono state vittime di abusi che ne hanno modificato l’essenza più profonda. Uno dei tanti esempi di questa scelta erronea di vocabolari che travisano la sostanza delle cose ci è stato offerto, qualche tempo fa, dalla morte di Nelson Mandela e dalla conseguente apologia, fatta da tutti, del suo spirito “gandhiano”, inteso in senso universalista, pacifista, perdonista, “super-partes”. La grandezza di Mandela, si manifestò, invece, nel contrario esatto di questo sciropposo spirito indifferenziato di altruismo e globalismo planetario. Il suo straordinario sacrificio e il suo superamento dello spirito di vendetta contro i bianchi, costituenti la metà altra della sua Patria, avvennero in nome dell’amor patrio e del nazionalismo; un nazionalismo nobile, elevato, inclusivo, che doveva riconoscere lo straordinario apporto dei Boeri e dei loro discendenti alla Patria comune: la nazione sudafricana.
    Privo di amore per la nazione, il preteso amore universalista e il fasullo spirito “globalista”, di cui gli italiani abbondano “a chiacchiere”, riesce a tenere un paese intero – appunto l’Italia – preda inerme di feroci faide e di continui odi civili. Ebbene, Nelson Mandela fu grande, grandissimo proprio per il suo straordinario patriottismo che lo elevò al di sopra dello spirito di vendetta e rivalsa sull’altra “metà” del suo popolo, costituito dai “bianchi”. In nome dell’unità e della grandezza della Nazione.
    Lo stesso Mahatma Gandhi, ammiratore del nostro Giuseppe Mazzini (ci si deve la frase: lavorando per la patria lavoriamo per l’umanità), fu uno straordinario patriota che innalzò alte lodi a questo tanto deprecato (in Italia) sentimento di amore per la Patria dicendo, tra l’altro:
    “For me patriotism is the same as humanity. I am patriotic because I am human and humane. It is not exclusive, I will not hurt England or Germany to serve India. Imperialism has no place in my scheme of life.”
    “It is impossible for one to be internationalist without being a nationalist. Internationalism is possible only when nationalism becomes a fact, i.e., when peoples belonging to different countries have organized themselves and are able to act as one man.”
    “My patriotism includes the good of mankind in general.”
    “Just as the cult of patriotism teaches us today that the individual has to die for the family, the family has to die for the village, the village for the district, the district for the province, and the province for the country, even so country has to be free in order that it may die, if necessary, for the benefit of the world.”

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