SIAMO PIU’ STUPIDI DEI NOSTRI PADRI?

Nel 1987 il prof.James Flynn pubblicò uno studio dal quale risultava che, tra il 1947 e il 1972 il QI, Quoziente d’Intelligenza dei ragazzi, era notevolmente aumentato. Propose questo dato alla comunità scientifica e molti altri studiosi si occuparono del problema, confermando la cosa. Nei Paesi sviluppati, l’intelligenza media aumentava, tanto che ci si convinse dell’esistenza di un “effetto Flynn”. Purtroppo, continuando a monitorare questi risultati, ci si è accorti che, a partire da un certo momento, l’effetto si è capovolto: nel senso che, fra il 1970 e il 1993, i risultati sono stati sempre più deludenti. E così si è parlato di un “effetto Flynn capovolto”. Insomma diventiamo sempre più stupidi.
La prima cosa da dire è che la misurazione e la stessa definizione dell’intelligenza sono argomenti contestabili. Tra il serio e il faceto, qualcuno fra gli scienziati ha definito l’intelligenza “ciò che misurano i test dell’intelligenza”. A dire la verità, anch’io sono del parere che è impresa vana voler misurare l’intelligenza “naturale”, distinguendola da quel di più che aggiunge ad essa la preparazione culturale. La cultura, se ci si fa caso, è “coltura”: il cervello insomma è come un campo che dà più o meno frutti secondo che sia coltivato o no. Inoltre i risultati concreti dell’intelligenza, ci aggiungo di mio, sono profondamente influenzai dall’equilibrio mentale, dal coraggio e dall’ontestà di accettare la verità, anche quando è imprevista o sgradita, dall’esperienza, e da altri fattori ancora. In sintesi, se un test del QI stabilisse che sono un genio o un cretino, non crederei né all’una affermazione, né all’altra.
Questi test hanno un ulteriore limite. Volendo misurare l’intelligenza e non la cultura, tendono ad essere a struttura matematica. A quanto pare si pensa che la logica funzioni anche in assenza di cultura, quasi che anche il selvaggio sia capace di ragionare matematicamente. Invece, a mio parere, anche la mentalità matematica è cultura. Ché anzi, se gli insuccessi scolastici in matematica sono così frequenti e clamorosi, è perché ai professori hanno insegnato la matematica, e non come si insegna la matematica. E così ci sono persone colte che si confondono se si sentono chiedere di operare mentalmente una sottrazione. La loro convinzione di essere degli incapaci – ché questo gli hanno insegnato – è così forte, che produce in loro il rifiuto aprioristico dell’ostacolo. Sono come un cavallo che rifiuta di saltare un metro.
Con tutti questi limiti, rimane il fatto che chi supera molto bene i test sull’intelligenza è più bravo di chi non li supera. Se, in quale misura, in che direzione, si può anche discutere, ma non raccomando a nessuno di sentirsi dare del cretino da un computer. E allora, come va che prima diventavamo tutti più intelligenti e ora diveniamo tutti più stupidi? Una spiegazione l’avrei.
Gli anni prima del 1947 sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Anni di fame, di stenti, di pericoli. Anni dominati, più che dai problemi intellettuali, dai problemi della sopravvivenza. Non certo il momento più favorevole per lo sviluppo dell’intelligenza astratta. Tutto il contrario degli anni seguenti. Non soltanto finironoì la fame e i lutti, i bombardamenti e gli esodi, ma tutta l’Europa ebbe voglia di riprendersi, di ritrovare la prosperità e la gioia di esistere. La stessa scuola, benché spesso funzionasse spesso in condizioni pessime (in Italia molti edifici erano stati distrutti o danneggiati) era ancora seria. Se non si studiava si era bocciati e nessuno era traumatizzato. Allorail termine “traumatizzato” non esisteva e si diceva: “asino”. Il risultato era che un ragazzo con la licenza elementare ne sapeva di più di uno che oggi abbia ottenuto la Licenza Media.
Ma questa situazione non è durata. Raggiunta la prosperità, il mondo sviluppato si è seduto. È arrivato al punto che moltissimi laureati di oggi non conoscono più la Tavola Pitagorica. Ammesso che sappiano che sette per nove fa sessantatré (perché gli suona nelle orecchie) potrebbero rimanere afasici se gli chiedessero: “Quanto fa nove per sette?” E la mano correrebbe alla calcolatrice. A forza di essere assistiti nei minimi compiti, stiamo diventando sempre più stupidi. Si dice che la funzione sviluppi l’organo. A quanto pare, per il cervello, noi stiamo verificando l’ipotesi opposta.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
30 marzo 2019

SIAMO PIU’ STUPIDI DEI NOSTRI PADRI?ultima modifica: 2019-03-30T16:18:18+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “SIAMO PIU’ STUPIDI DEI NOSTRI PADRI?

  1. forse anche per l’intelligenza vale il ripetuto concetto che “le economie forti danno origine al pensiero debole, che è poi una delle principali cause della loro rovina”… .

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