I VALORI DELLA RESISTENZA

In uno degli innumerevoli discorsi che hanno celebrato il 25 aprile si è sentita per l’ennesima volta questa frase: “I valori della democrazia sono i valori nati dalla Resistenza”. Non ho badato all’autore della sentenza, perché quel concetto l’ho sentito ripetere per settant’anni. Cercarne l’autore sarebbe come cercare chi ha detto che “Il potere assoluto consente ogni arbitrio”. E tuttavia fra le due frasi c’è una differenza: la seconda è vera.
Per essere sicuri che parliamo della stessa cosa, bisogna che ci mettiamo d’accordo su che cosa sono i valori. Io li definirei “principi fondamentali”, ma il Devoto-Oli è molto più loquace: “4. Nel linguaggio filosofico, il termine è generalmente contrapposto al ‘fatto’, in quanto questo è indifferente mentre quello ‘importa’ allo spirito umano (il ‘fatto’ è l’essere, il valore è il ‘dover essere’)”. E così via per altre righe ancora. E tuttavia, per quanto riguarda la democrazia, continuo a credere che basti parlare di principi fondamentali.
La democrazia è il governo del popolo. Cosa che fu pressoché vera nelle polis greche, anche se già allora il popolo (poche migliaia di persone, in piazza) si limitava a decisioni di ordine generale. E ovviamente indicava chi dovesse in concreto governare. Ma questa “democrazia diretta” è ovviamente impossibile in una grande nazione moderna, con milioni di cittadini. Qui si può avere soltanto la democrazia rappresentativa: il popolo elegge i suoi rappresentanti e sono poi costoro che legiferano ed esprimono il governo.
Questo è il meccanismo essenziale della democrazia, ma non si può dire che esso esaurisca le caratteristiche essenziali di questo tipo di regime. Infatti bisogna che le elezioni siano libere e che le decisioni sono prese a maggioranza. Bisogna che il popolo sia informato delle diverse tesi, e da questo nasce l’esigenza della libertà di parola. Bisogna che i rappresentanti del popolo non siano soggetti all’arbitrio dei magistrati e da questo deriva la loro immunità. E infine, già in tempi più remoti di Montesquieu, la separazione dei poteri.
In materia di problema della conoscenza, qualcuno ha detto brillantemente: “Forse non sono in grado di definire un cavallo, ma quando ne vedo uno, so che è un cavallo”. Nello stesso modo si potrebbe definire la democrazia “il tipo di regime dell’Inghilterra, anche se ne esistono varianti”. Come esistono morelli, bai e cavalli bianchi.
Se tutto questo è vero, si può definire il Fascismo una democrazia? Certamente no. Anche ad ammettere che, ad un certo momento, il regime fruisse di un notevole consenso nazionale, non per questo volle mai correre il rischio di essere sconfitto nelle urne. Al vertice dello Stato c’era Benito Mussolini e di rimuoverlo o di sostituirlo non se ne parlava neppure. Non era assicurata la libertà di parola e l’antifascista rischiava il lavoro e il confino, a meno che non fuggisse all’estero. Né si può dire che sia stata votata da un libero Parlamento la massima decisione, l’entrata in guerra nel 1940. Dunque chi è per la democrazia deve necessariamente essere antifascista.
Al riguardo va però precisato un punto, su cui spesso in molti sorvolano. L’autocrazia va condannata non perché farà sicuramente il male del popolo, ché anzi a volte può fargli del bene, ma perché può fare del male al popolo senza per questo essere rimossa dal potere. E infatti il massimo pregio della democrazia è il fatto che il governo possa essere mandato via da un voto di sfiducia del Parlamento.
A questo punto ci si può chiedere: che c’entra la Resistenza con i valori democratici? Il regime democratico esisteva prima della Resistenza e prima del Fascismo. Nei regimi democratici europei si aveva libertà di parola, prima della Resistenza, i governi si mandavano a casa anche prima della Resistenza. La Resistenza non ha inventato niente. Né basta essere stati contro il Fascismo per avere inventato i valori della democrazia, diversamente basterebbe essere contro le malattie per dichiararsi inventori della medicina. Oltre al Fascismo, ci sono la monarchia assoluta, il Direttorio, la dittatura comunista, l’oligarchia, la teocrazia e via dicendo. I valori della democrazia sono qualcosa di positivo, non qualcosa di negativo, cui si giunge per esclusione.
Come se non bastasse, la maggioranza dei partigiani non erano sinceri democratici: erano comunisti e dunque il regime che desideravano era la dittatura del proletariato. Erano contro il Fascismo, ma non a favore della democrazia e dei suoi valori. Come avrebbero potuto dunque fondarli, se la prevista guerra civile, per attuare la rivoluzione proletaria con le armi, fu evitata per la stessa azione di Togliatti e il peso degli Stati Uniti nella faccenda?
La democrazia ci fu suggerita dai vincitori, gli Alleati, e senza alcuna difficoltà, perché dopo tutto si trattava di riprendere le istituzioni che avevamo prima dell’avvento del Fascismo.
La Resistenza non ci dette i valori democratici, non liberò l’Italia del Nord (per battere l’esercito tedesco erano necessari ben altri avversari, ben armati) e fu tutt’altro che senza macchia e senza paura. Il libro di Giancarlo Pansa, “Il Sangue dei Vinti”, ha finalmente smentito la retorica partigiana. Per non dire che la democrazia si fonda sul rispetto della legalità, e la lotta partigiana fu illegale, perché violava le vigenti leggi di guerra.
Se proprio l’Italia volesse “rimuovere”, in senso psicoanalitico, il peggiore momento della sua storia, farebbe bene a non parlare mai del trentennio 1918-1948. Storicamente non sarebbe onesto, ma ci risparmieremmo il diluvio di bugie che ci inonda da tre quarti di secolo.
Gianni Pardo
, giannipardo1@gmail.coM

I VALORI DELLA RESISTENZAultima modifica: 2019-04-27T11:56:58+02:00da gianni.pardo
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8 pensieri su “I VALORI DELLA RESISTENZA

  1. Prof. io non sò definire un cavallo,da socialista divenuto agnostico sento di dirLe: non è una questione di psico-analisi, vincitori e vinti hanno fatto pace con la Storia noi no.Probabilmente non conviene a nessuno, e si vive nella mistificazione dal dopoguerra, tale mentalità ha generato anche la traballante economia attuale con conseguente deficit-monstre. A casa mia ho ancora due persone che hanno vissuto quei tempi, e loro la Storia se la ricordano bene. Saluti Prof.

  2. Io mi domando cosa possano pensare i turisti stranieri che si trovano in Italia il 25 aprile di ogni anno: frugheranno nelle loro reminiscenze scolastiche e si ricorderanno che la parte d’Europa corrispondente alla penisola era stata liberata dagli angloamericani. Sentendo invece parlare dei partigiani e solo dei partigiani, crederanno forse di vivere un’allucinazione. O forse di essere capitati su Marte.

  3. Visto che siamo in tema di paradossi, provo ad esporre il mio.
    Il 25 aprile è forse la festa più italiana di tutte, perchè è la dimostrazione di come si possa tramutare una sconfitta tragica in una mezza vittoria.
    L’Italia sarà anche stata aiutata dalle cricostanze, ma ha compiuto il voltafaccia giusto al momento giusto, dimostrando un pragmatismo (ai limiti della faccia di bronzo) che ha sicuramente pochi uguali al mondo, ma è stato capace di salvare la nazione.
    Che dice, professore, ho esagerato ?

  4. Caro Lumen,
    io la metto diversamente. Se un uomo è tradito dalla moglie, e se riesce, malgrado l’evidenza, a negare il fatto, non soffrirà del suo infortunio. Ma ciò non impedirà a tutti gli altri di considerarlo un cornuto.
    Noi ci raccontiamo leggende, sulla nostra storia, all’estero ridono di noi, in campo militare, e ricordano soprattutto che l’Italia ha dichiarato la guerra alla Francia sconfitta dai tedeschi e ai tedeschi sconfitti dagli inglesi e dagli americani.
    Vincitori, sì, ma per procura. E – se posso permettermi una rima – “finché dura”.

  5. In realtà chi venne meno all’alleanza fu la Germania di Hitler. L’alleanza con la Germania non prevedeva lo sterminio sistematico degli ebrei, le fucilazioni in massa di intere popolazioni dell’est, non prevedeva i Gaswagen, i camion trasformati in camere a gas e non lo prevedevano neanche le leggi di guerra vigenti. Ovviamente. Questi crimini, commessi quasi esclusivamente dagli Einsatzgruppen di Reinhard Heydrich con l’ausilio di manovalanza locale, erano noti ai comandi militari italiani. Non mi si venga a dire che sarebbe stato più onorevole continuare a combattere a fianco dei tedeschi.

  6. Assolutamente no. Bastava non dichiarare la guerra alla Francia (non nel 1940, quanto meno) e non dichiararsi acerrimi nemici della Germania (se non ricordo male le si dichiarò anche la guerra). Bastava non mostrarsi maramaldi e in fin dei conti vigliacchi e voltagabbana.
    In questo l’Italia mussoliniana e l’Italia antimussoliniana si sono mostrate fin troppo simili, fin quasi a scusare dei leader peggio che mediocri, e parlare di un carattere nazionale.

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