L’ASSURDO DEL DEFICIT SPENDING

Giulio Sapelli, economista e notevole esponente del M5s, oltre che storico e accademico italiano, come lo definisce Wikipedia, recentemente ha dichiarato con convinzione che l’unico modo per salvare l’Italia è un coraggioso piano di deficit spending. A suo parere bisognerebbe mettere denaro a valanga nelle tasche degli italiani, affinché essi spendano, ciò induca le imprese a produrre i beni richiesti e conseguentemente si rilanci l’economia.
Sapelli non ha detto niente di nuovo. Dalla prima metà del XX Secolo, fraintendendo la teoria di John Maynard Keynes (la cui manovra era congiunturale e non strutturale) furoreggia la teoria secondo cui è necessario spendere il denaro preso a prestito per rilanciare l’economia. La pensano così ancora oggi non soltanto Salvini e Di Maio, ma tutti i politici, tutti i giornali, tutti gli intellettuali e tutti quelli che partecipano ai talk show. E tutti parlano di interventi pubblici. Infatti moltissimi ce l’hanno a morte con l’Europa che non ci permette di fare ulteriori debiti. Né gli interessa sapere che l’Europa lo fa per salvare l’euro, e noi stessi dal fallimento.
Il deficit spending è una monumentale baggianata. Molti ritengono che la manovra keynesiana abbia funzionato (forse perché correttamente applicata) in occasione della crisi economica del 1929, e può darsi. Certo è stato un successo esiziale. Infatti da allora tutti hanno interpretato la teoria come un incoraggiamento a gettare sistematicamente il denaro dalle finestre per imprese balorde o per regalie elettorali. E i risultati sono stati disastrosi. Basta guardare l’Italia “keynesiana”. Questa povera nazione si è caricata sul groppone un debito pubblico stratosferico e da anni non riesce ad uscire dalla crisi in cui si è cacciata. Il bello è che l’establishment, per salvarla, ripropone le stesse politiche che l’hanno affossata: i sussidi e gli investimenti pubblici.
Per rilanciare l’economia sono attualmente in campo due teorie. Secondo quella prevalente l’economia ripartirà se lo Stato darà denaro da spendere alla gente. Naturalmente denaro fresco di stampa (inflazione) oppure denaro preso a prestito dalle Borse. Questa pratica si chiama tecnicamente “Incentivazione della domanda aggregata di beni e servizi”.
Altri suggeriscono di facilitare la produzione di beni (per esempio diminuendo le tasse sulle imprese) in modo che la gente compri a buon prezzo i beni prodotti e l’economia ne risulti rilanciata. In questo concordando con la teoria di Keynes. Ma ne è diverso il presupposto. Infatti non si deve dare denaro alla gente perché compri (questa spinta fa parte della natura umana); è necessario che la gente spenda essendosi prima procurata il denaro occorrente lavorando, e cioè producendo anch’essa ricchezza.
La teoria che bisogna partire dalla produzione di ricchezza si chiama del °supply side”, perché opera “dal lato della fornitura” (o dell’offerta) cioè dal lato della produzione di ricchezza, non dal lato della spesa. È il lavoro che produce la ricchezza, non l’acquisto di beni con denaro altrui. Cosa che, per quanto ne so, si ha in tre casi: furto; acquisto a debito ; acquisto con denaro inflazionario (cioè banconote stampate dallo Stato a fronte di niente. Cosa che corrisponde a un furto a carico dei precedenti detentori di quella moneta). Comprare qualcosa, in un’economia sana, corrisponde a scambiare ricchezza contro ricchezza, non ricchezza contro carta(moneta).
La teoria del deficit spending ha un’altra falla: in tanto si può spendere denaro altrui, in quanto qualcuno ce lo presti. E se non si è solvibili non si trova nessuno. Chi non ci crede, chieda a qualunque barbone all’angolo della strada. E le cose non vanno diversamente quando debitore è uno Stato. Se gli investitori temono che da un momento all’altro quello Stato fallisca, non gli prestano un centesimo. Se reputano che sia almeno capace di pagare gli interessi, per compensare il rischio gli chiederanno un interesse più alto che ad altri Paesi meno a rischio (spread), ma il fallimento sarà soltanto posticipato. Infatti, non appena i creditori dubiteranno del pagamento degli interessi, nessuno concederà nuovi prestiti e il Paese – che ormai ne dipende – fallirà. Ecco il rischio che corre l’Italia. Una generosa politica di deficit spending a tempo indefinito, come immaginano tanti sciocchi, è assurda. Gli investitori mica sono obbligati a prestarci denaro. Prima o poi temeranno di perdere il loro capitale e non ci presteranno un soldo. Con conseguente default.
La stessa politica di tirare avanti finché si può, pagando interessi sempre più onerosi, ha un costo rovinoso. Il Paese ne è strangolato e lo stesso alla fine non eviterà l’esito drammatico. Oggi noi paghiamo da sessanta a settanta miliardi di euro l’anno di interessi sul debito e questi esborsi ci succhiano la vita come un immortale verme solitario. Si pensi a quali spese ci potremmo permettere, con quelle somme, se non finissero nelle tasche dei creditori. Tutto ciò in conseguenza della follia dei nostri padri e del loro deficit spending. E noi oggi dobbiamo sperare che gli investitori accettino i nostri regali perché, se soltanto smettessero per un mese, falliremmo.
Chi contrae un debito troppo grande fa del creditore il suo padrone. E se il privato disonesto, non rimborsandolo, può ancora fregare il prossimo, lo Stato insolvente non sfugge alla punizione e la fa pagare ai suoi cittadini.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

1° maggio 2019

L’ASSURDO DEL DEFICIT SPENDINGultima modifica: 2019-05-03T09:59:19+02:00da gianni.pardo
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7 pensieri su “L’ASSURDO DEL DEFICIT SPENDING

  1. Secondo me il deficit spending e’ la forma moderna delle antiche corvee’, con l’aggravante che si e’ passati dal 10 al 70 per cento di prelievo: gli enti pubblici spendono a debito APPOSTA per poi costringere i cittadini al lavoro forzato per procurarsi i soldi per ripianarlo. E’ cosi’ che il “deficit spending” rilancia l’economia e conduce al “progresso”, con una forma neanche tanto mascherata di lavoro forzato, poiche’ costringe i cittadini ad ogni forma di acrobazia, che nei tempi attuali spesso e’ disperata, per ottemperare ai loro obblighi nei confronti dello Stato “deficitario” e sempre piu’ ingordo di risorse da impiegare per il “loro bene”.
    Questa forma di “doppio legame”, spinta oltre un certo limite, ha portato alla schizofrenia paranoide generale attuale, che fra le altre cose ci bersaglia continuamente anche con un altro messaggio assurdo e contraddittorio: dobbiamo spendere di piu’, ma anche spendere meno, perche’ altrimenti col consumismo roviniamo l’ambiente, se non l’etica. Dobbiamo andare in bicicletta, ma anche cambiare auto con una sempre piu’ costosa, ogni tre anni.
    Non se ne puo’ piu’, peccato pero’ che la maggior parte della gente reagisca a questa assurdita’ semplicemente cercando di sfogare la propria frustrazione e la propria rabbia verso il primo capro espiatorio che passa, per evitare di fare i conti con se stessa e i propri desideri assurdi e incompatibili uno con l’altro.
    Una conferma dalla politica di tutti i giorni? Tutti promettono di abbassare le tasse, nessuno le spese. E non sono solo le tasse e le spese pubbliche che aumentano, c’e’ anche una rincorsa continua delle leggi e delle normative per COSTRINGERE i cittadini a correre e spendere anche nel loro privato, in una corsa senza fine al perfezionismo assoluto quanto irraggiungibile.
    Nel caso dei politici, non credo siano in buona fede, come i bravi negozianti di successo conoscono benissimo la psicologia dei loro clienti, mentono sapendo di mentire, ma e’ l’elettorato stesso che li seleziona darwinianamente cosi’, di altri generi se ne sono mai esistiti non lo sapremo mai.

    Ma non e’ solo nel pubblico che funziona cosi’, succede lo stesso nel privato, un esempio e’ la nuova rete internet, sempre piu’ veloce: il cambio sempre piu’ frequente delle apparecchiature anche quando funzionano gia’ benissimo e’ fatto a debito, con gli strumenti della finanza: fra qualche anno quando le tariffe aumenteranno perche’ le compagnie pietiranno le loro disastrose condizioni finanziarie, non ricorderemo, o faremo finta di dimenticare, il perche’.

    Forse questo andazzo e’ inerente all’uso e abuso degli strumenti finanziari, a partire dall’uso del denaro in poi.

    Altro esempèio: e’ della quotidianita’ politico-economica sentir parlare del lavoro delle donne che in italia e’ troppo limitato, con grande nocumento per la prosperita’ del paese: in realta’ quello che in italia e’ deficitario e’ il lavoro delle donne _isituzionalizzato_ e percio’ _tassabile_. Una donna che lavora fuori, oltre ad essere tassabile, e’ costretta ad assumere una domestica a sua volta tassabile. Capito il giochino? Il prodotto finale e’ lo stesso a spese magari di un maggior e inutile consumo di risorse, ma il pil aumenta e con esso la tassazione complessiva! Tutti corrono sempre di piu’ per produrre sempre la stessa quantita’ di beni utili e desiderati, o anche meno. Nulla deve piu’ sfuggire ai rapporti economici istituzionalizzati e contabilizzati, la gratuita’ e la spontaneita’ dello scambio reciproco deve essere demonizzata e abolita, per il bene della societa’ e delle sue istituzioni finanziarie pubbliche e private, cosi’ come oggi sono organizzate.

    Ci siamo messi il cappio al collo da soli, adesso e’ inutile che ci lamentiamo e ce la prendiamo con chicchessia, nel mentre lo stringiamo sempre di piu’.

  2. La Sua analisi, professor Pardo, contiene alcune inesattezze.
    Partiamo da un presupposto di fondamentale importanza: il debito italiano, se valutato nominalmente, non è enorme, non perlomeno se lo si mette in relazione con altri debiti pubblici come quello tedesco di cui è superiore di poco più del 10%. Il debito tedesco è di 2 mila miliardi, quello italiano di 2.300 miliardi: relativamente poca roba (certo, tenendo conto che sono cifre astronomiche)
    Quello che rende il sistema tedesco superiore a quello italiano (e dunque sbilancia le percentuali del debito pubblico italiano rispetto a quello tedesco) è il PIL dove oggettivamente non c’è storia: quello tedesco è il doppio di quello italiano.
    Questo significa che la direzione da intraprendere è quella della crescita, non della riduzione del debito.
    Il problema del deficit spending è, semmai, un altro: per funzionare, occorre che la classe politica che lo propone abbia un potere assoluto che permetta di fare in modo che i soldi vadano dove debbano andare.
    Le teorie di Keynes, che Lei giustamente ritiene congiunturali e non strutturali, funzionano in sistemi presidenziali oppure in sistemi autoritari.
    Nelle democrazie si rivelano fallimentari.

  3. Prof. è inutile scervellarsi,la soluzione è etica non matematica, il problema è chi deve dirlo agli Italiani. Vogliamo fare gli Americani senza esserlo,dal prof. Sapelli in giù nessuno degli economisti riesce a trovare la quadra, eppure loro coi grandi numeri ci “pazzeano”tutti i giorni.Io (mi scusi se mi cito) sono partito con pane e mortadella o ” i friarielli int’ o’ pane” i miei nipoti se non mangiano la merendina multivitaminica non fanno colazione. Unica nota: chi ci ha inguaiati è la generazione post-guerra che partecipò al boom economico.Saluti Prof.

  4. Da semplice “non addetto ai lavori”, credo di poter/dover condividere pressochè in toto questa critica alle politiche di ‘deficit spending’; anzi l’annoso caso-Alitalia mi sembra costituire un’ottima metafora della situazione descritta nell’Art.lo: in ossequio al misticheggiante & sterile orgoglio sovranista della difesa a qualunque costo della ‘Compagnia di bandiera’, infatti, si sono gettati e si continuano a gettare fiumi di denaro pubblico nel pozzo senza fondo di un’Azienda che se invece fosse stata ceduta ad Air France, che anni fa si era fatta avanti con una più che ragionevole offerta, (forse) avrebbe potuto ancora essere salvata con buona soddisfazione di tutte le parti direttamente coinvolte (passeggeri compresi)… Saluti

  5. @ Franco Marino
    Lei scrive: “Questo significa che la direzione da intraprendere è quella della crescita, non della riduzione del debito.”
    Ragionando da lavoratore dipendente, certo che se si potesse farsi aumentare lo stipendio (= crescita), a cose immutate, un debito sarebbe più sostenibile; il problema è che se non è possibile c’è una sola strada: diminuire le spese. Con le imposte che ci troviamo temo che questa sia la sola strada.

  6. Io credo che l’economia si potrebbe rilanciare con il project financing.
    Se non ricordo male l’AUTOSTRADA DEL SOLE è stata costruita con tale modalità.
    L’Italia ha un gran bisogno di opere pubbliche. Lo Stato non è in grado di provvedere. La soluzione sarebbe appunto quella del project financing che non influirebbe sul debito dello Stato ed offrirebbe agli Italiani lavoro, servizi moderni, attirerebbe capitali dall’estero e benessere.
    Naturalmente questo lo può fare solo uno Stato molto LIBERALE. In Italia siamo in una situazione indefinibile.

  7. Indefinibile, dice lei. Poco fa, non so perché, e nemmeno se c’entri col nostro discorso, m’è nata in mente questa frase: “essendo disperati si ha almeno un vantaggio: non si rischia di essere delusi”.

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