COME VIENE VISSUTA LA LINGUA

Rispetto agli altri innamorati delle lingue ho un vantaggio: parto dalla totale ignoranza tecnica di che cos’è una lingua. Ed è bene che spieghi che cosa intendo.
Una sessantina di anni fai dialetti francesi se non erano morti, agonizzavano. I cittadini parlavano francese con un accento regionale, ma francese. Perfino in Bretagna, dove esisteva una lingua celtica del tutto incomprensibile per i francesi, il bretone resisteva soltanto nel popolo e più spesso in campagna. Nello stesso periodo in Italia l’italiano era la lingua due. Una lingua straniera nota a tutti e usata nelle occasioni ufficiali o parlando con persone di altre regioni, ma assolutamente tutti – per esempio in Sicilia, anche nelle grandi città – parlavano in dialetto, lingua uno. Anche nei coltissimi licei classici, gli alunni fra loro parlavano costantemente in dialetto. Gli stessi professori che con gli alunni parlavano un italiano forbito (con un tremendo accento regionale) fra loro parlavano in dialetto . L’italiano non era mai una lingua spontanea e i dialettismi erano considerati un peccato mortale. Se un siciliano avesse detto: “Stasera mi leggo un libro. A me diverte questo genere di serata” forse sarebbe stato impiccato sulla pubblica piazza. Mentre oggi simili orrori si sentono in tutta la penisola. E ciò perché l’italiano – o ciò che ne è rimasto – è divenuto per tutti l’idioma naturale, spontaneo e incontrollato che era per me il siciliano.
È questo il mio vantaggio. Non soltanto ho appreso l’italiano come lingua due, ma so anche come vive la propria lingua uno che non ne ha mai conosciuto la grammatica. L’essere di madre lingua siciliana mi permette di esporre il punto di vista dell’ignorante, di chi non ha nessuna conoscenza tecnica dello strumento che usa. Le parole fluiscono dalla mia bocca o entrano nelle mie orecchie direttamente come pensiero. Ad esempio, ero largamente adulto quando mi sono accorto che in siciliano non esiste il tfuturo. Quasi non ci credevo: “E allora come facciamo, per esprimere il futuro?” Ho formulato alcune frasi, per esempio “domani vado al cinema, “dumani vaiu o cinima”, comprendendo che il futuro – come spesso in inglese – si deduce dal contesto. È un futuro sostanziale in un presente grammaticale. Altra particolarità: come in francese e inglese, il verbo essere vuole l’ausiliario avere, così “sono stato” diviene “ho stato”, cioè “aia statu”. Il verbo dovere non esiste ed è sostituito dal verbo avere: “iddu m’ha pavari” (lui mi deve pagare) e così di seguito. Insomma soltanto da adulto ho scoperto che il siciliano ha una grammatica diversa dall’italiano e soprattutto che io, che parlo correntemente quel dialetto, non la conosco.
Tutto ciò è anche servito a spiegarmi perché tanta gente commette continuamente errori che mi fanno saltare sulla sedia. I miei connazionali parlano la loro lingua materna e dunque, letteralmente, non sanno quello che dicono. Il 99% non esita a dichiararci: “Io di questo non ne parlo”, senza rendersi conto di avere detto: “Io di questo di questo non parlo”. I molti che usano una struttura del tipo: “A me diverte sentir parlare il Commissario Montalbano” non si rendono conto di avere usato un complemento di termine al posto di un complemento oggetto. Ma già, complemento di termine, complemento oggetto, differenza tra aggettivo e avverbio, e cose del genere, ormai sono diventate domande da quiz televisivo. Con effetti disastrosi per il concorrente.
L’ignoranza corrente dell’italiano è una conseguenza della battaglia vinta contro la scuola e contro il latino (“lingua inutile”). Quando, prima della maturità, avevamo speso otto anni a studiare latino, dovevamo per forza avere la coscienza tecnica delle lingue. Per sapere che il moto a luogo in latino si esprimeva con “in” o “ad” e l’accusativo, dovevamo prima sapere che cos’era un moto a luogo. Il latino era una così approfondita riflessione sulla lingua da trasformarci in tecnici anche dell’italiano. E infatti noi dinosauri guardiamo ai più giovani come a dei barbari.
Una lingua diviene corretta non quando è parlata ma quando è anche studiata. Ciò spiega come mai a volte dei francesi chiedevano a me se quello che avevano scritto era corretto. Io ero sbalordito ed anche fiero che avessero una simile stima di me, uno straniero. Ma poi ho capito che non avevo nulla di cui inorgoglirmi: io quella lingua l’avevo imparata soprattutto leggendo (e percependone tecnicamente la struttura) dunque avevo della lingua scritta una conoscenza maggiore di quegli artigiani.
In conclusione forse dovrei esprimere una maggiore tolleranza, per gli italiani attuali. Poverini, parlano la loro lingua come io parlo il mio dialetto. Non hanno studiato latino e per giunta non leggono neanche in italiano. Così il degrado della nostra lingua è velocissimo. Per noi un testo del Settecentoè quasi scritto in una lingua straniera, mentre per un francese un testo del Seicento suona, con poche differenze, come un testo contemporaneo. E non è un caso. Nel 1635,fondando l’Académie Française, Richelieu le assegnò come primo compito la protezione della lingua francese. Noi invece, piuttosto che correggere gli errori, li legittimiamo. Oggi quasi nessuno dice “adempiere il proprio dovere”, si preferisce “adempiere al proprio dovere”, e non si sa perché. Adempiere è un verbo transitivo. Anche i fenomeni “evolvono”, mentre prima “si evolvevano”,. In compenso, in questo stravolgimento casuale di verbi riflessivi, “ci si mangia un panino”. Un riflessivo che va bene soltanto per il fegato.
Sentiamo continuamente orrori a volte comici. Moltissimi confondono augurare e auspicare (fino a dire: “Ti auspico un grande successo”), paventare per spaventare, il gergo della malavita e la lingua da usare in un telegiornale: così il delinquente è stato “incastrato” dalle registrazioni, poi è stato “pizzicato” dalla polizia ed ha “cantato”. Per non parlare del linguaggio infantile usato per gli adulti che anche a cinquant’anni hanno una mamma, mentre anche gli ottantenni, invece di orinare, fanno pipì. E immagino che il loro proctologo si occupi della “pupù”.
Sì, siamo proprio nella merda. Parola italianissima.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
23 maggio 2019

COME VIENE VISSUTA LA LINGUAultima modifica: 2019-05-23T15:25:48+02:00da gianni.pardo
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10 pensieri su “COME VIENE VISSUTA LA LINGUA

  1. la corruzione di una Civiltà inizia dalla corruzione del suo linguaggio. valga come esempio icastico il “piuttosto che” usato bovinamente ed ignorantemente al posto di “oppure”. cominciò per sbaglio un somarello lombardo circa nel 1990 in una trasmissione televisiva molto seguita ( dal popolino ). e da anni lo ripetono bovinamente molti, affettando sapienza. e i cronisti lo scrivono sui giornali.
    e adesso lo dicono anche a Napoli.
    e potrei riferire purtroppo molti altri esempi di corruzione del linguaggio.
    addio Civiltà italiana.

  2. la corruzione di una Civiltà inizia dalla corruzione del suo linguaggio.
    valga come esempio icastico il “piuttosto che” usato ignorantemente
    al posto di “oppure”.
    iniziò -per sbaglio- un noto somarello lombardo circa nel 1990 partecipando
    a una trasmissione televisiva molto seguita ( dal popolino ).
    e da quegli anni molti ignoranti lo ripetono affettando sapienza.
    e i cronisti lo scrivono sui giornali. e adesso lo dicono anche a Napoli.
    e potrei riferire purtroppo molti altri esempi di corruzione del linguaggio.
    povera Civiltà italiana. Giancarlo MATTA

  3. Pregiatissimo Professore,

    e che dire dei morti,
    che non vengono più liturgicamente sepolti,
    ma burocraticamente seppelliti?

    Per evitare ai miei eventuali superstiti questa caduta di stile,
    ho dato disposizione testamentaria per la mia cremazione.

    Cordialmente,

    Giorgio Nicoletti

    la corruzione di una Civiltà inizia dalla corruzione del suo linguaggio.
    valga come esempio icastico il “piuttosto che” usato ignorantemente
    al posto di “oppure”.
    iniziò -per sbaglio- un noto somarello lombardo circa nel 1990 partecipando
    a una trasmissione televisiva molto seguita ( dal popolino ).
    e da quegli anni molti ignoranti lo ripetono affettando sapienza.
    e i cronisti lo scrivono sui giornali. e adesso lo dicono anche a Napoli.
    e potrei riferire purtroppo molti altri esempi di corruzione del linguaggio.
    povera Civiltà italiana. Giancarlo MATTA

    Pupù

    Ho l’impressione che l’italiano stia tornando ad essere la seconda lingua.
    Cito alcune “perle” ormai entrate nell’uso corrente:
    • accellerare, forse volendo indicare una accelerazione ancor più bruciante;
    • areoporto – effettivamente questi scali occupano grandi aree;
    • le fila, unica espressione rimasta per indicare le file. Le fila del PD; le fila dei soldati di Haftar. Forse sono tutti burattini?
    • evacuare, col suo participio evacuato, usato con riferimento a persone, anziché a località, edifici, mezzi di trasporto. Pur rendendomi conto che si sta parlando di tragedie, quando sento che sono state fatte evacuare tutte assieme migliaia di persone, non posso trattenermi dal ridere, ricordando la battuta di Paolo Villaggio: “ca..ta pazzesca”. Ma non c’è limite al disastro linguistico! Alcune settimane or sono la giornalista (avrà superato la terza elementare?) del TG5 parla delle vicende libiche e ci racconta della evacuazione dei dipendenti ENI. In basso compare la scritta “ENI evaqua il personale italiano”! È forse una reminiscenza di quando, alle elementari, alcuni scrivevano con la q iniziale il nome dell’organo attraverso cui l’evacuazione avviene?
    • al termine del notiziario sportivo: “… la più cordiale buona giornata”. Fa sempre piacere che la giornata sia buona, ma nessuno – nemmeno, spero, chi ha pronunciato la frase – si attende che sia la più cordiale. Forse la frase corretta dovrebbe essere: “Il più cordiale augurio di buona giornata”; dopo di che, visto che “buona giornata” è un augurio, tale sostantivo può essere sottinteso. Non per questo, comunque, ciò che rimane diventa femminile.
    Dicevo seconda lingua, visto che la prima ormai è l’inglese, magari storpiato, come del resto si storpia l’italiano. Alcuni esempi:
    •  gli spettacoli “tutto esaurito” sono sold-out;
    •  il Biellese morto in montagna un paio di mesi fa era un runner; tali sono anche i partecipanti alla Stramilano, il cui logo per altro è “Run generation”;
    • il 6 Aprile si è celebrato il “carbonara day” (a dispetto della cucina mediterranea …);
    • il matrimonio, con palesi violazioni della legalità, celebrato a Napoli un paio di mesi fa è stato definito trash (come se la spazzatura e l’illegalità fossero sinonimi);
    • in commercio non ci sono più “affaroni” o “convenienze”: sono tutti deal;
    • le botteghe di barbiere sono diventate barber shop;
    • gli insediamenti per i terremotati sfollati sono new town, che però non hanno nulla a che vedere con il fenomeno urbanistico inglese (città di medie dimensioni, costituite da villette piuttosto lussuose);
    • pubblicità: “… vieni nei nostri store”.
    • considerazioni sul commercio al dettaglio: “Saracinesche abbassate nelle vie dello shopping”. Poco dopo: “Sono state adottate una serie di misure …”    
    • ci si mettono pure i nostri governanti: dopo lo stalking – con cui ci hanno molestati per anni – e altre amenità del genere (authority, fake news, flat tax, hotspot, jobs act, navigator, spending review, …), ora c’è pure il reato di revenge porn;
    • parlando di IMU e TARI: “… abbiamo dato una facility ai proprietari”.
    La mania dell’inglese colpisce anche a sproposito. Alcune settimane or sono, il corrispondente da Parigi di un noto telegiornale ci ha parlato della Tour Eiffel, spiegandoci che i Francesi la chiamano affettuosamente Lady di ferro. Avendo una seconda residenza in Francia, so bene che l’appellativo è “Dame de fer”; quindi mi sarei atteso, in italiano, “Dama di ferro”; ma forse il suddetto corrispondente l’ha confusa con Margaret Thatcher! Pochi giorni fa, una celebre cantante francese di quando eravamo giovani è diventata “Giosefine Beiker”.
    L’italiano però non è solo al secondo posto: lo condivide, in alcuni campi, con altre lingue:
    • non abbiamo più vigilanti e dipinti murali, ma solo vigilantes e murales; naturalmente sempre con la s finale, anche quando compaiono al singolare. Se no, si confonderebbero con gli equivalenti italiani (però il singolare di murales èmural);
    • chi propone ricette di cucina italiana, o anche mediterranea, non riesce ad evitare l’influsso francese: “ora andiamo a mescolare …”, “ora andiamo a sfumare …”, “poi andiamo ad assaggiare …”. Il futuro immediato (o composé, come lo chiamano Oltralpe) dà un tocco da vero chef! E poi dicono che in questo campo non abbiamo nulla da imparare dai Francesi …

    Cordialmente,
    P.P. Falcone

  4. Gentile professore, solo per farle notare che riguardo la nostra lingua la professoressa Annalisa Andreoni nel suo volume ” Ama l’italiano” , che ho letto con molto interesse, sostiene che l’italiano sia l’unica lingua di cui sono tuttora comprensibili testi scritti nel 1300 ( Dante, Petrarca,Boccaccio).
    La seguo tutti i giorni e condivido quasi sempre quello che scrive, forse perché sono anch’io in età avanzata.
    Cordialmente.

  5. La professoressa, per quel che ho capito, non insegna in una Scuola Secondaria. Diuersamente vedrebbe che cosa capiscono, come italiano, i giovani d’oggi. Per loro una parola appena appena meno frequente, è già arabo. Gli insulti sapranno che cosa sono, ma non le contumelie, i vituperi, le insolenze ecc. Figurarsi Dante.

  6. “Red carpet” per i termini inglesi
    Al posto dei termini nostrani consacrati dall’uso, che tutti capiscono, gli italiani tendono ad adottare sempre di piu’ parole americane. Ai nostri provincialoni, ammalati di “Estero”, tali parole appaiono esotiche, brillanti e vibranti, mentre sono spesso inutili, mal scelte oltre ad essere pronunciate quasi sempre in maniera sbagliata. Risultano poi cacofoniche e incongrue perché i fonemi inglesi sono in contrasto con l’eufonia della lingua italiana. E pensare che per evitare il “suona male” gli italiani hanno amputato del participio passato diversi verbi, come “risplendere” ad esempio, il cui “risplenduto” si è irrimediabilmente perduto. Si evita poi il femminile “ministra” perché suona male. Ma l’inglese evidentemente è una “minestra” che dobbiamo mangiare… Tappeto rosso, anzi “red carpet” come tutti ormai dicono, per le parole e le locuzioni inglesi.
    Solo in pochi casi il termine importato colma una reale lacuna del nostro vocabolario, non proprio ricchissimo, mentre il piu’ delle volte si tratta di puro scimmiottamento. L’italianese è divenuto il fiore all’occhiello dei “citizen” di questa “Banana Republic”, come ormai converrebbe chiamare la terra dove al posto del dolce “Si’” suona ormai l’obbediente “Yes sir!” dei nostri nuovi “sciuscià”.
    Questo fenomeno di scimmiottamento è forse la risposta, in campo linguistico, all’insistente appello di “copia e incolla”: metodo spicciativo e parassitario che i partecipanti alla miriade di programmi basati sulle chiacchiere non si stancano di proporre come maniera di correggere i tanti mali italiani in ogni campo. Peccato che i partecipanti a questi urlanti programmi, in cui si propone il modello straniero come soluzione ai tanti nostri problemi, non siano in grado di comportarsi da svizzeri, da austriaci o da svedesi neppure per pochi minuti dimostrando di saper avere un normale scambio d’idee e di saper discutere in maniera pacata e civile, invece di voler avere a tutti i costi ragione imprecando e urlando.

  7. Abbiatico, fra-tra, risplenduto, “suona bene?”…
    La lingua italiana abbonda di varianti: denaro-danaro, qui-qua, innanzi-dinnanzi, starnutare-sternutare-sternutire, comperare-comprare, insieme-assieme, obiettivo-obbiettivo, e via discorrendo. Tali varianti danno una falsa impressione di ricchezza, mentre complicano inutilmente la vita di coloro che cercano di servirsi di un italiano coeso, ossia coerente e prevedibile. Malgrado questa varietà capricciosa di termini, l’italiano presenta delle lacune rispetto a lingue sostanzialmente più ricche, come l’inglese e il francese. Per esempio, in italiano si dice “nipote” senza distinguere se si tratta di nipote di zio o di nipote di nonno. I linguisti sanno che per specificare che si tratta di nipote “figlio del figlio o della figlia” si può far ricorso all’espressione “nipote abiatico”. Abiatico, tra l’altro, tanto per complicare inutilmente le cose, è ammesso anche con due b: abbiatico. Ma, in ogni modo, chi si è mai servito di questo termine? Immaginate una conversazione del tipo. X dice: “Allora mio nipote…” E Y di rincalzo: “Di quale nipote lei sta parlando? di suo nipote abbiatico o di suo nipote non abbiatico?”
    Nella lingua francese esiste una distinzione tra l’idea del “numero indefinito” espressa da “parmi” et l’idea della separazione o contrapposizione tra due persone o due cose, espressa invece da “entre”. La lingua inglese, parimenti, distingue tra “among” e “between”. Nella lingua italiana, invece, non vi è una tale distinzione. Ma ecco che accanto a “tra” vi è anche “fra”. Perché avere due preposizioni al posto d’una? Per la sempiterna schiavitù della regola italiana “Suona bene? Suona male?” E così le grammatiche ci consigliano di dire “Fra Trapani e Palermo”, a causa del “Tra” di Trapani. Inoltre – grazie alla solita proliferazione anarchica di varianti – oltre a “tra noi” e “fra noi”, si può dire anche “tra di noi” e “fra di noi”.
    La regola del “Suona bene? Suona male?” fa sì che, per pure ragioni eufoniche, molti verbi italiani siano difettivi. Per esempio, nessuno nella Penisola si sognerà di usare il participio passato di risplendere, che è “risplenduto” (a quanto pare D’Annunzio fu il solo che osò farlo). “Risplenduto”, per le caste orecchie degli italiani (morbosamente attratti invece, oggigiorno, dai suoni sgangherati di un inglese mal capito e mal parlato) “suona male”. Condanna suprema.

  8. Ho una confessione da fare… “soccombuto” mi è sempre piaciuto.
    Gli Italiani, inventori dell’opera lirica, sono terrorizzati dal ridicolo di certi suoni. Io considero invece che il “Suona bene? Suona male?”, test per loro supremo, è una camicia di forza che va a scapito della chiarezza e dell’arricchimento della lingua: vedi i participi passati di tanti verbi italiani, che nessuno in Italia osa pronunciare perché cacofonici, con il risultato d’impoverire ancora di più il vocabolario di cui uno dispone. Il linguista Aldo Gabrielli ha proposto, senza successo ahimé, che si comincino ad usare i participi “procombuto, penduto, spanduto, striduto, mesciuto, splenduto, risplenduto, fenduto”. Ha scritto: “So già che tutti arricceranno il naso e diranno che sono orribili; ma solo perché non abbiamo mai fatto l’orecchio a queste forme verbali; tuttavia corrette sono, non ci son santi; e fanno male, malissimo i dizionari e le grammatiche a ignorarle, e peggio a dire che non esistono affatto. La verità è, ripeto, che a certi suoni bisogna abituarsi, come ci siamo abituati a suoni non meno brutti come quelli dei participi perduto, creduto, caduto, bevuto, riflettuto, piovuto, giaciuto, combattuto, taciuto, temuto, piaciuto, cresciuto, rincresciuto, e via all’infinito.” (A. Gabrielli, Si dice o non si dice, Mondadori, 1976).
    Devo confessare che “soccombuto” è un participio passato che a me è sempre piaciuto, ma che è da considerarsi “caduto” e “perduto”, a causa del suo orribile “uto”…

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