CAMBIARE L’EUROPA. GIUSTO. MA COME?

Una cosa che si sente dire ogni giorno è che l’Europa sarà pure necessaria, e sarebbe un errore lasciarla, ma non va bene com’è. Va cambiata. Va riformata. Va adeguata e rinnovata. E se lo dicono tutti dovrebbe essere vero. Purtroppo, dire che si è stanchi di qualcosa e si desidera di meglio, non è nemmeno la metà del discorso. È da quando siamo usciti dal Paradiso Terrestre che siamo insoddisfatti della nostra situazione. Se essa dipende da noi, ci lamentiamo della sfortuna di non essere in grado di porvi rimedio; se dipende dagli altri, non troviamo scuse per la loro infingardaggine, la loro stupidità, e magari il loro interesse a nostro danno.
Lamentarsi è contemporaneamente umano e inutile. Dirci che l’Europa “andrebbe cambiata” è un abuso del nostro udito. Cominceremo a drizzare le orecchie soltanto quando qualcuno ci dirà in che direzione, con quali sistemi, a quali costi e con quali controindicazioni. E ci indichi anche il modo di ottenere il consenso dei cittadini, dal momento che, quando si cambia qualcosa, alcuni sarebbero più felici di prima, mentre altri si sentirebbero danneggiati e dunque non sarebbero d’accordo.
Un po’ tutti i politici fanno immaginare che l’Europa abbia più potere di loro e sia la vera responsabile del nostro scontento. Certo, qualunque organizzazione fa cose buone e cose cattive, ma l’Europa agisce sempre col consenso degli Stati interessati (anche il nostro) e comunque non può essere responsabile né della nostra disoccupazione né degli enormi interessi che paghiamo sul nostro debito pubblico (65 miliardi, nel 2018). Ce l’ha ordinato Bruxelles di contrarre tutti quei debiti?
L’Europa ha il grande merito di avere realizzato una vasta zona di libero scambio, il cui effetto positivo non dipende da una particolare politica economica ma dal principio dell’utilità dello scambio. Con i dazi o, peggio, con l’autarchia, pagheremmo più caro molte merci. E infatti nessuno, salvo i meno informati, è contro questa libertà di commercio. Quando si parla di cambiare l’Europa, ci si riferisce ad altro senza dire che cosa. Semplice chiacchiericcio.
Se l’Europa deve essere cambiata, bisogna innanzi tutto che i politologi indichino la direzione da prendere; poi i tecnici devono dire se è possibile ottenere quei risultati, e con quali mezzi. Si tratta infatti di mettere le mani in un organismo enorme in cui soltanto dei professionisti di altissimo livello sono capaci di orientarsi, prevedendo accettabilmente (e non perfettamente, questo è impossibile) a quali controindicazioni si va incontro. In questo mondo non c’è spazio per gli economisti da bar.
In ogni modo, bisognerebbe sciogliere il nodo fondamentale dell’Unione, e cioè la sua natura ibrida. Se essa vuole essere pressoché esclusivamente una Zollverein, cioè una zona di libero scambio, non si vede perché dovrebbe avere una moneta unica, cosa che crea inestricabili problemi di governance delle diverse economie e fa pensare a molti, se pure a torto, che è questo impegno comune che toglie loro la libertà di mettere rimedio ai loro problemi economici.
Se viceversa si pensa – molto giustamente – che l’Europa conterebbe molto più nel mondo se avesse un’amministrazione unica dell’economia (non della sola moneta), delle forze militari assolutamente unificate, e una politica internazionale centralizzata, allora la direzione dovrebbe essere opposta. Bisognerebbe rinunciare alla maggior parte della propria sovranità. Gli stati rimarrebbero, certo, come sono rimasti i cantoni della Svizzera e come sono rimasti i cinquanta Stati degli Stati Uniti, ma da un lato saremmo molto più forti e molto più sicuri, dall’altro i problemi economici più gravi – per esempio quelli dell’Italia – sarebbero di colpo risolti. Perché di essi si occuperebbe l’Europa, sempre che essa ci accetti nell’Unione rafforzata.
Qualcuno potrebbe chiedere perché l’Europa non cominci proprio da questo, dal salvare l’Italia. Si dimentica che, se l’Europa fosse unita, da un lato garantirebbe il nostro debito pubblico, dall’altro ci imporrebbe politiche tali che il nostro debito comincerebbe a poco a poco a scendere, fino a non costituire più un pericolo. Se oggi è una bomba che ticchetta, è perché esso è enorme e noi non facciamo nulla di serio per farlo diminuire.
Forse, a tutti coloro che parlano di cambiare l’Europa, basterebbe chiedere a bruciapelo: “Volete abolire l’euro, mantenendo il mercato comune, o volete che l’Europa diventi un grande Stato federale?”
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

5 giugno 2019
IL PROBLEMA DEI COMMENTI SI QUESTO BLOG
Da parecchio tempo mi viene segnalata la difficoltà/impossibilità di inserire dei commenti su questo blog- Poiché il “giro” di coloro che sono interessati ai commenti è limitato, propongo quanto segue.
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3 Ricevuto un commento, lo inoltrerò a tutti coloro che sono inclusi nella mailing list.
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Gianni Pardo

CAMBIARE L’EUROPA. GIUSTO. MA COME?ultima modifica: 2019-06-08T11:59:23+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “CAMBIARE L’EUROPA. GIUSTO. MA COME?

  1. Ma c’è un problema di base, irremovibile: le vere riforme dell’UE, quelle più incisive e strutturali, riguardano trattati e accordi, che per poter essere cambiati richiedono l’unanimità. Cosa che andava benissimo nei primi tempi, con pochi Paesi che condividevano un sentimento comune e che certo non pensavano a riforme “radicali” che coinvolgessero certi aspetti di “sovranità” o di alleanze e accordi con altri Paesi. Ma ora? Se l’immagina riforme “radicali” sui poteri della Commissione, del Parlamento, sulla finanza, sulla giustizia, sulla fiscalità, su salari e lavoro e su tutto ciò che viene a toccare gli orticelli coltivati dai singoli Stati? Ecco perché il “come” non viene dichiarato. Tutti dicono “occorre cambiare”, nei singoli Paesi, e nei singoli Paesi l’elettorato assente, ma attribuendogli diversi contenuti, in nessun caso davvero “rivoluzionari”. Quelli, per intenderci, che porterebbero agli “Sttati Uniti d’Europa”: ma “uniti” in che cosa? E poi, quale “Europa”? Ma davvero si può pensare che Lituania e Portogallo, Lussemburgo e Grecia, si sentano “nazioni sorelle con un comune destino”? Ma figuriamoci! L’UE va benissimo per l’abolizione dei dazi, le facilitazioni al commercio, il movimento di persone e capitali, perfino per le “regole tecniche comuni” sui prodotti, ma per tutto ciò che esula dal “mercato” si entra nelle peculiarità, nelle “millenarie tradizioni”; nei “sapori della cucina di mammà” insomma.
    P.S.: difficoltà nel postare commenti? Io non ne sto trovando, pur lavorando con due diversi SO (perfino un XP!), a differenza di un periodo un bel po’ di tempo fa. Che dipenda da “settaggi” nei diversi PC?

  2. “Bisognerebbe rinunciare alla maggior parte della propria sovranità”

    E’ questo (a mio umile avviso) il nodo fondamentale: autentici e solidi Stati Uniti d’Europa (purtroppo) MAI potranno esistere fino a quando crescenti quote di sovranità nazionale non saranno cedute/devolute in maniera razionale e definitiva alle Istituzioni UE; chi oggi (peraltro spesso eterodiretto) costantemente “spara a zero” contro queste ultime e rumorosamente rispolvera le tradizionali e pericolose mitologie sovraniste, clericali e protezioniste, per un tragicomico (in relazione alle conseguenze socio-economiche, più tragico che comico) paradosso le accusa di essere l’esatto opposto di ciò che invece esse sono, vincolate come “de facto” si trovano ad essere a lunghe, estenuanti e spesso poco incisive trattative intergovernative nelle quali (evidentemente) i vari Stati nazionali, spesso fortemente centralizzati e cmq. generalmente di matrice idealistico-romantica ottocentesca (cfr. il pensiero di Hegel, Gentile, in parte Gramsci, ecc.), tendenzialmente procedono ciascuno per proprio conto e continuano ad avere l’ultima parola, senza alcuna concessione a principi preziosi come quello di ‘sussidiarietà’… Saluti

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