IL DISCORSO DELLA CORONA

Il nuovo professore entra in classe e dichiara agli alunni che egli è “severo ma giusto”. Gli alunni meno intelligenti pensano che egli sarà “severo ma giusto”, mentre gli alunni più intelligenti pensano: “Com’è, lo vedremo”. Quelli molto intelligenti invece diranno: “Com’è, lo vedremo, ma come minimo è un ingenuo, se fa di queste dichiarazioni”.
Noi tutti non siamo né come vorremmo essere né come crediamo di essere. E neppure gli altri arrivano a giudicarci obiettivamente. Insomma, in fin dei conti, l’unico dato obiettivo è la prestazione. Le dichiarazioni preventive, i programmi, i proclami e perfino le leggi e i regolamenti non contano nulla.
Per esempio gli ingenui (e anche gli stupidi, che spesso gli fanno compagnia) reputano che le pene severe siano un efficace mezzo per contrastare la criminalità. E per questo motivo, ogni volta che c’è un allarme sociale, invocano un inasprimento delle pene. Mentre chi si occupa di politica criminale sa che le pene draconiane ma rare hanno un’efficacia infinitamente minore delle pene miti ma frequenti e inevitabili.
Un mio corrispondente una volta s’indignò perché la Svizzera l’aveva inseguito fino in Belgio per notificargli una contravvenzione stradale di importo trascurabile, forse inferiore ai dieci euro. E così lui ancora una volta trattò gli svizzeri da cretini. Non capiva che la repressione costante e implacabile, anche delle piccole violazioni, insegna ad astenersi dalle grandi violazioni. Il sindaco di New York Rudolph Giuliani diceva che, se si vogliono evitare gli omicidi ad Harlem, bisogna non lasciare impunito il ragazzo che tira un sasso contro i vetri di una finestra. E per cominciare non ci deve già essere una finestra rotta.
I discorsi d’insediamento dei nuovi Presidenti del Consiglio del Ministri, nel momento in cui chiedono la fiducia alle Camere, sono assolutamente inutili. Se i giornalisti se ne occupano è perché il loro mestiere è quello di scrivere il “pezzo” del giorno. Ma con ciò ingannano i lettori, gli fanno credere che quei discorsi costituiscono una notizia, mentre non è così. Se una cosa costituiscono, è una perdita di tempo. Un’insulsa cerimonia senza conseguenze. E non lo si dice per Giuseppe Conte, anche se è uno specialista del parlare per non dir niente: la cosa è valida per tutti i Presidenti incaricati.
Anzi, ad essere onesti, a quanto mi dicono, i discorsi che Conte ha fatto (io non ne leggerò i resoconti) sono più onesti di altri. Infatti essi contengono una tale quantità di promesse che soltanto un imbecille potrebbe prenderli sul serio. Come si sa, troppi dati corrispondono a nessun dato. In questo caso è come se il Presidente dicesse, dal principio alla fine, “Oh come mi piacerebbe rendervi tutti felici”. Parole alle quali si sarebbe tentati di rispondere, come quando qualcuno vi dice: “Buon appetito!” con una sola parola: “Altrettanto“.
Ma c’è una seconda ragione per la quale i discorsi di Conte saranno stati più onesti di altri: non soltanto non nascondono la totale irrealizzabilità di un programma che richiederebbe molti decenni, ma annunciano apertamente la loro qualità di “Libro dei Sogni” non parlando mai di reperimento di risorse, non parlando mai di debito pubblico, non indicando mai con quali fondi contano di compiere i miracoli elencati.
Se vogliamo comportarci come gli alunni molto intelligenti, non dobbiamo dare la minima importanza ai discorsi programmatici. Ciò che importa è ciò che il governo farà a partire dal momento in cui comincerà ad agire in concreto, scontrandosi con i limiti finanziari, fronteggiando i problemi imprevisti e cercando di superare i contrasti fra i ministri. I cittadini creduloni da prima aprono il cuore alla speranza, ma presto passano a giudicare i governanti dall’effetto che i loro provvedimenti hanno sulle loro vite. “Dai loro frutti li giudicherete”, ha detto Gesù. Dunque non dalla loro personale onestà, non dai loro programmi, non dalle loro buone intenzioni, ma soltanto dai loro risultati.
E il governo in questo campo parte molto svantaggiato dalla situazione obiettiva. Sicché i suoi risultati dipenderanno, più che dalla sua volontà, dalle possibilità concrete e perfino dal caso, che potrà influire tanto positivamente quanto negativamente. Ne abbiamo, di variabili. Soprattutto se pensiamo che si sono messi insieme due partiti dalla storia differente, di una ben diversa competenza e caratterizzati entrambi da un’intolleranza di fondo. Credo sia stato Churchill a dire che: “La democrazia funziona quando sono in due a comandare e uno è malato”. E mai ciò sarà vero come in questo caso.
L’Italia è senza governo dall’8 agosto e lo sarà ancora nelle settimane a venire. Un governo l’avremo non appena cominceremo a vedere gli effetti della sua azione. Per il momento ci conviene occuparci d’altro. E magari pensare che, finché non esiste, un governo non fa danni.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

IL DISCORSO DELLA CORONAultima modifica: 2019-09-10T14:18:05+02:00da gianni.pardo
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