TORNA A CASA, LASSIE

La scissione dei renziani, di cui prima si è parlato a parole coperte e in termini esitanti, è divenuta l’argomento del giorno. Leggo sul Corriere(1) che sono contrari, con appelli più o meno strazianti, Dario Franceschini, Nicola Zingaretti, Franco Mirabelli, Marina Sereni, Stefano Ceccanti, e chissà quanti altri ancora. Naturalmente, oltre al dibattito quotidiano, si è scomodata anche l’intellighenzia, rivisitando la storia delle scissioni, e mettendone in luce i reali inconvenienti: di solito, a conti fatti, si rivelano negative sia per chi va via sia per chi rimane. Ma si dimentica che questo caso è diverso. Le parole rimangono d’oro, la sostanza è vile come l’argilla, per non dire di peggio.
Già molti hanno parlato di una “separazione consensuale”. E, a parte il fatto che nessuna separazione è veramente “consensuale”, questo aggettivo, nei Palazzi di Giustizia, significa soltanto che quel provvedimento è richiesto da ambedue le parti. Dunque è tutt’altro che una dichiarazione d’amore. Nella specie, il Pd e i renziani non erano uniti neanche prima. Renzi ha mantenuto la sua libertà d’azione, sia quando, nel 2018, ha impedito perfino il tentativo della coalizione col Movimento, sia nell’agosto scorso, quando lui stesso, pubblicamente, in Parlamento, ha aperto allo stesso Movimento.
E si comprende. Lui comanda ai parlamentari del Pd (che sono tutti amici suoi, avendoli lui candidati al Parlamento), mentre Zingaretti ha soltanto la bandiera del partito, la carica di Segretario, e il diritto di parlare. E non molto altro. Se non si sono separati prima, anche formalmente, è perché il partito, per contare, ha bisogno dei suoi parlamentari, e questi ultimi – fino ad ora – non hanno avuto interesse ad andare da soli. Né potevano farlo finché non si fosse costituito il nuovo governo. Il M5s non poteva che trattare col Pd, e il Pd faceva volentieri finta di essere padrone dei suoi parlamentari. Ma una volta ottenuto il risultato di non andare alle urne (e, per i renziani, a casa) si torna alla realtà brutale, senza sconti. E in questa realtà i renziani sanno di essere odiati in casa Pd. Altro che separazione consensuale.
Per queste ragioni suonano surreali gli appelli sentimentali e accorati di leader come Franceschini, il quale si lascia andare alla mozione degli affetti come un penalista di provincia, e si rivolge retoricamente allo stesso Renzi, assente: “Non farlo. Non farlo. Il Pd è di tutti, la tua casa, la nostra. Il popolo della Leopolda è una parte importante del grande popolo del Pd. Non separiamoci, non indeboliamoci, sfidiamo uniti la destra”. Clap clap.
Matteo Renzi è un maestro non soltanto del realismo, ma perfino del cinismo. Non si nasconde che il Pd aspetta soltanto l’occasione di liberarsi di lui e degli amici suoi, e l’avrebbe fatto se si fosse andati a nuove elezioni, non candidandoli. Ma una volta che si è costituito il nuovo governo, Renzi pensa che, se prima non si poteva fare a meno del Pd perché era questo partito che doveva trattare col M5s, ora il M5s sa che la sua sopravvivenza dipende dal beneplacito dei parlamentari renziani. E con loro deve fare i conti sostanziali. Con questa grande differenza: che se si fosse andati a nuove elezioni, i renziani al massimo avrebbero potuto costituire un partito del 5%, mentre una volta al potere essi sono una componente al 50%, perché negando il loro voto al governo lo farebbero cadere.
Ecco perché, in fondo, questa faccenda della scissione, è secondaria. Formalmente c’è la dicotomia renziani-dentro-il-Pd e renziani-fuori-dal-Pd, sostanzialmente non c’è nessuna dicotomia: i renziani hanno la chiave del governo, e la usano sia contro il M5s sia contro il Pd. L’unico rischio che corrono è che, se esagerano, cade il governo e vanno a casa. Ma dopo tutto non sarebbe stato comunque il loro destino, se si fosse andati a nuove elezioni? E non sarà il loro destino, quando si andrà alle elezioni? Dunque cercano di trarre il massimo vantaggio dalla situazione attuale, magari provocando un rimpasto che li avvantaggi, una volta o l’altra. Oltre a partecipare da “ricattatori” al festival delle decine di nomine di sottogoverno in programma per il prossimo futuro.
Ecco perché la mozione degli affetti di Franceschini e di tutti gli altri membri del Pd suona inverosimile. Non hanno capito o fanno finta di non capire? Questo è un governo a perdere con una componente a perdere, quella dei renziani. Che dunque sono pronti a tutto, come l’assediato quando sa che l’assediante non farà prigionieri.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
16 Settembre 2019

(1)https://www.corriere.it/politica/19_settembre_16/scissione-fatto-drammatico-pd-fa-muro-contro-piani-renzi-e3140274-d7e7-11e9-9016-c6193fcbf5c4.shtml

TORNA A CASA, LASSIEultima modifica: 2019-09-16T10:30:08+02:00da gianni.pardo
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6 pensieri su “TORNA A CASA, LASSIE

  1. Franceschini è di Ferrara, da sempre, il suo pesante accento lo dimostra, studi e carriera politica nella DC di sinistra, poi passato all’Ulivo ecc ecc. Quest’anno la coalizione di centro sinistra ha perso il comune, al ballottaggio e comunque il risultato del PD è stato del 21,8% contro il 31% della Lega (48,44% del centro destra). Ai suoi tempi il PCI in città superava il 50% da solo (26 seggi su 50 nel 1975).
    Sì, vabbè, le elezioni non contano, ma Franceschini è la persona giusta per indicare la strada a quel che resta del PD? nel ’68 le sottili elucubrazioni dei leader del PD e del PDR si chiamavano “seghe mentali”.
    Tranquilli, prima o poi si andrà al voto e allora qualcosa di reale succederà.
    Basta avere pazienza.

  2. ” Lui comanda ai parlamentari del Pd (che sono tutti amici suoi, avendoli lui candidati al Parlamento),”
    Caro Pardo, Dario Franceschini, detto Tarzan, ha la sua corrente ( Area Dem ) con deputati e senatori eletti in Parlamento. Andrea Orlando ha la sua corrente con deputati e senatori eletti in Parlamento. Maurizio Martina ha la sua corrente
    ( Fianco a fianco ) con deputati e senatori eletti in Parlamento. Matteo Orfini
    ( giovani turchi ) è a capo di un drappello di eletti in Parlamento. Sono tutti stati candidati da Renzi, ma non sono ” renziani ” e non gli sono fedeli.
    Nel PD, a differenza di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, non è mai accaduto che il segretario pro tempore candidasse alle elezioni solo esponenti della sua corrente.

  3. Sullo specifico, mi allineo ai commenti che si sentono, almeno a quelli meno pregiudiziali. L’operazione è spregiudicata ma interessante, e mira a ricostituire un’area politica moderata e centrista che potrebbe sottrarre molti consensi – appunto, “moderati” – un po’ a tutti, all’agonizzante FI, al PD, ai non votanti, persino ai 5S. Anche alla Lega, credo, almeno. alla sua parte più recente e meno “classica” o ideologizzata. Naturalmente la corposa ambizione di Renzi gioca un ruolo fondamentale, come sempre in questi casi. Meno male, ci sarebbe da dire, che qualcuno conserva passione e attributi per osare non dico l’inosabile ma il non consueto.
    La mia mail vorrebbe essere sopratutto un grande elogio per la sua opera e un vero ringraziamento per illuminare questi tempi così difficili da interpretare. La considero uno dei massimi analisti del tempo presente, e mi stupisco perchè la sua voce non la si senta forte e chiara da qualcuno dei massimi pulpiti dell’informazione. E’ stata veramente una grande sorpresa.

  4. La ringrazio, e non vado oltre per non avere l’aria di cercare ulteriori complimenti, smentendo una parte di quelli già ricevuti. Uso soltanto il buon senso.
    G.P.

  5. Il “merito” di Renzi sarà quello di portare gli italiani alle elezioni, tra breve tempo.
    Chissà, il povero Di Maio starà realizzando in quale guaio l’ha cacciato Grillo con quegli interventi confusi e farneticanti: ecco un altro “merito” di Renzi, accelerare il processo di dissoluzione del M5S oltre che il ridimensionamento del PD, quello che deriva dal vecchio PCI. Speriamo solo che l’agonia sia veloce.

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