MILLE E UN RUBICONE

Il Rubicone è soltanto un piccolo corso d’acqua, divenuto famoso perché attraversandolo Giulio Cesare si pose in contrasto col Senato e accettò il rischio della guerra civile. Oggi il Rubicone è divenuto il simbolo di una decisione molto sofferta e gravida di conseguenze. Ognuno di noi incontra il proprio Rubicone, e spesso più d’uno.
Decidere è un verbo tremendo. Non a caso la sua etimologia latina rimanda a “tagliar via”. Decidere è amputarsi dell’altra metà di futuro, rinunziare ad una possibilità in favore di un’altra, magari poi per dover rimpiangere ciò che si è condannato all’inesistenza. Come non bastasse, spesso decidere significa cambiare anche la vita di altri. Chiunque si sia separato dal coniuge, conosce questo strazio. Perché non si è mai del tutto sicuri di star facendo la cosa giusta, per sé e per altri.
Qualcuno ha detto: “Decidi e pentiti”, cioè “Decidi e metti in conto che ti pentirai della tua decisione”. L’invito implica che, anche prendendo la decisione opposta, ci si sarebbe pentiti. Cosa che dopo tutto potrebbe anche essere consolante. Le onde dell’oceano nel quale siamo naufraghi sono troppo alte per sapere dove realmente stiamo andando.
Chi decide alla leggera è uno sciocco ma chi riflette a lungo, pesando l’alternativa e le sue conseguenze, non può per questo pretendere, alla fine, di avere adottato la decisione giusta. Cesare normalmente decideva in fretta e metteva in atto con estrema velocità ciò che aveva deciso, caratteristica che gli fu utilissima, già nella campagna di Gallia. Spesso sorprese i suoi nemici comparendo, lui e i suoi legionari, dove ancora nessuno si aspettava di vederlo. E tuttavia quest’uomo risoluto e coraggioso, quando si trattò di entrare a Roma con i suoi soldati, esitò a lungo. Un suo storico dice che, se alla fine decise che avrebbe sfidato il Senato, non fu per motivi ideali, ma perché si rese conto che i suoi avversari avevano deciso di troncare la sua carriera politica, malgrado gli enormi successi riportati in Gallia. L’alternativa fu dunque, per lui, quella che sarebbe stata il motto del Duca Valentino: “Aut Caesar, aut nihil”. E Cesare, diversamente dal Valentino, invece di divenire un nulla, divenne Cesare.
Drammatico è pure ciò che segue la decisione. Perché i terzi valutano disinvoltamente col senno di poi. Lodano la decisione se i suoi frutti furono positivi, la condannano se furono negativi, dimenticando di notare che il protagonista, al momento di decidere, non poteva conoscere quelle conseguenze con altrettanta chiarezza. Cercava certo di diagnosticarle, ma la nebbia permaneva. Infatti la dicotomia non è fra decise bene/decise male; è piuttosto una quadritomia, decise bene e gli andò bene, decise bene e gli andò male, decise male e gli andò bene, decise male e gli andò male.
Anche nella cronaca politica recente abbiamo esempi di decisioni capaci di cambiare la Nazione. Nel 1993, la Democrazia Cristiana si era totalmente sgretolata e il Partito Comunista, che aveva anche avuto l’abilità di togliersi di dosso l’imbarazzante aggettivo, sembrava non poter incontrare ostacoli, sulla via del successo alle elezioni. Il suo stesso leader, Achille Occhetto, l’aveva definito “una gioiosa macchina da guerra”, e avrebbe anche potuto definirlo, senza eccessiva vanagloria, “un gioioso carro trionfale”. Quante probabilità avrebbe avuto un outsider, uno che non aveva mai fatto politica, che non aveva ancora un partito, e che pochi, dopo tutto, conoscevano, di battere un’armata sterminata, come quella dei persiani nel 490 a.C.? Eppure Silvio Berlusconi ci provò. Nel momento in cui stava per decidere, coloro che gli erano vicini, in particolare Indro Montanelli, fecero di tutto per dissuaderlo, prospettandogli non soltanto la sconfitta, ma gli infiniti guai in cui si sarebbe messo. “Ti distruggeranno”, gli dicevano. Ma Silvio tenne duro e sappiamo come andò. E tuttavia, possiamo dire che sul momento Montanelli avesse torto?
In altri casi è andata ben diversamente. Un esempio emblematico è quello di Gianfranco Fini. Sul momento, quando stava per decidere, non mi capacitavo che potesse progettare un simile passo. Il caso che mi sembrava di gran lunga il più probabile, era quello di un totale fallimento. E l’ho anche ripetutamente scritto. Le probabilità di annullare di botto Berlusconi erano insignificanti e lui non aveva alternativa. Se fosse andata male, non avrebbe assolutamente avuto dove andare. Insomma segava vigorosamente il ramo su cui era seduto. E tuttavia c’erano molti che lo incoraggiavano, gli antiberlusconiani puramente per interesse.
Andò come andò. Fini risultò in fin dei conti un ingrato che aveva morso la mano che l’aveva beneficato, un traditore che non era stato bravo a tradire. Fino all’umiliazione, fino all’ignominia. Con una discesa agli inferi così crudele da indurre più alla pietà che alla condanna.
Gli uomini coraggiosi gettano il cuore oltre l’ostacolo e a volte realizzano imprese che altri non avrebbero osato nemmeno sognare, ma bisogna tenere da parte una grande dose di pietà per i molti che vanno a sbattere. Come, da ultimo, rischia di fare Boris Johnson.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
26 settembre 2019

MILLE E UN RUBICONEultima modifica: 2019-09-26T11:59:23+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “MILLE E UN RUBICONE

  1. “Come da ultimo (…) B.Johnson”

    Francamente parlando, direi che è Johnson (insieme agli altri cocciuti e dogmatici brexiters ‘no-deal’) che purtroppo sta mandando a sbattere il glorioso Regno (sempre meno) Unito… Saluti

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