IL LUPO E L’AGNELLO IN BRASILE

Pare che Jair Bolsonaro, Presidente del Brasile, abbia detto che l’Amazzonia è di proprietà del Brasile, il quale può farne ciò che vuole. Può darsi che l’espressione, così brutale, sia una libera elaborazione di un giornalista malevolo (non ne mancano) ma giuridicamente essa sarebbe difendibile anche formulata così.
Nelle settimane scorse l’immensa Amazzonia è stata devastata, per larghe zone, da incendi che hanno distrutto molti chilometri quadrati di foresta. Il mondo ha reagito con allarme. Innanzi tutto ha attribuito la responsabilità, non si sa con quali prove, al Presidente del Brasile, probabilmente colpevole, come Trump, di essere antipatico; in secondo luogo ha reclamato una decisa azione contro il disastro perché l’Amazzonia è il “polmone verde” del mondo (in quanto immette una buona parte dell’ossigeno nell’atmosfera). Tutti si sono sentiti personalmente minacciati da quella catastrofe ed hanno trattato quel grande Paese come un ragazzo discolo al quale si minacciano bacchettate. Il Brasile invece, per bocca del suo Presidente, pur facendo sapere che farà il possibile contro gli incendi, ha affermato che si tratta di un suo affare interno . L’Amazzonia non è – come si dice enfaticamente – “patrimonio dell’umanità”, è soltanto patrimonio di quella Nazione.
Il Brasile ha incontestabilmente ragione. Nel mondo attuale si parla troppo di leggi, trasformandole in una sorta di feticcio, di Moloch al di sopra della volontà degli uomini e al di sopra delle frontiere. In realtà non è così. Ciò che domina i rapporti umani non sono le leggi, è la forza. Gli uomini tuttavia si sono accorti che, se è vero che il più forte della tribù può imporsi su qualunque altro uomo, non può imporsi all’intera tribù, se essa agisce unitariamente. Questo ha dato origine alla legge. Essa è lo strumento con cui – all’interno di un singolo Stato – l’insieme dei deboli diviene più forte dei singoli forti. Dunque la legge, che sembrava l’incarnazione di un superiore principio di morale o di giustizia, è in fondo una riconferma della norma generale, anche se stavolta il più forte è la comunità nel suo complesso.
Purtroppo, proprio questa constatazione dimostra i limiti di quel benefico principio. Se il mio vicino si appropria di una parte del mio campo, estendendo il suo a mio danno, posso ricorrere al giudice perché ristabilisca i giusti confini (actio finium regundorum, la chiamavano i romani). Ma se è la Russia che si appropria la Crimea, l’Ucraina a quale giudice può ricorrere? A nessuno. E questo giudice, se esistesse, in tanto potrebbe restituire la Crimea all’Ucraina, non in quanto riconoscesse il suo buon diritto, ma in quanto fosse più forte della Russia. Inoltre, se qualcuno fosse abbastanza forte da potere imporre la propria volontà alla Federazione Russa, in tanto lo farebbe, in quanto avesse un proprio interesse a imporla, affrontandone i costi economici ed umani. Diversamente lascerebbe – come del resto avviene – che il pesce più grosso mangi il più piccolo. Fra l’Ucraina e la Russia, vige nella sua brutale nudità la legge del più forte.
È questa la ragione per la quale ogni serio giurista è infastidito quando, ad ogni piè sospinto, giornalisti e anime nobili si appellano al “diritto internazionale”. Credono che questo fantomatico diritto sia capace di condannare qualcuno o di ristabilire la legalità se non, addirittura, la giustizia. La maggioranza della gente ignora che il diritto internazionale vale quanto valgono le regole di vicendevole comportamento nel Far West dei film. Anche in quel mondo di vaccari le regole erano utili per mandare avanti la Società, ma se qualcuno le violava, non rimaneva che reagire con la forza. O soccombere.
Fra gli Stati, le consuetudini del diritto internazionale sono accettate finché, e nella misura in cui, convengono ad ambedue i contraenti. Ma possono essere revocate in qualunque momento, possono essere violate impunemente, fino a passare da una pacifica convivenza ad una guerra totale o di sterminio.
È ovvio che, anche ad essere l’Amazzonia il polmone verde del mondo, essa è sottoposta alla sovranità del Brasile. Chi volesse imporgli la propria volontà, anche per i migliori scopi immaginabili (come la salute dell’umanità) dovrebbe essere capace di vincerlo in battaglia, o comunque di scontrarsi duramente con esso. Finché ciò non si verifica, finché non si costituisce un’immensa coalizione mondiale pronta a minacciare la guerra al Brasile in modo convincente, quello rimane un Paese sovrano e Bolsonaro ha diritto di dire che i brasiliani possono fare dell’Amazzonia ciò che vogliono. Che piaccia o no ai terzi.
Questa idea che tanti hanno, che il fatto di essere dal lato della giustizia conferisca chissà che diritti e chissà che potere, è semplicemente stupida. Come avvertiva già Fedro con la favola del lupo e dell’agnello.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

25 settembre 2019

IL LUPO E L’AGNELLO IN BRASILEultima modifica: 2019-10-01T10:57:01+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “IL LUPO E L’AGNELLO IN BRASILE

  1. Prima della guerra a volte qualcuno ci prova con le sanzioni economiche ma rischia di farsi male da solo, come l’EU con la Russia.
    La faccenda del colpo di stato di piazza Maidan, delle pressioni degli USA e dell’EU per allargare la Nato, della destituzione del presidente eletto, del referendum in Crimea (dove da sempre ci sono basi navali prima sovietiche e poi russe, teatro di scontri violentissimi durante la Grande Guerra Patriottica) forse … forse meriterebbero qualche approfondimento.
    Comunque ha ragione, professore, la geopolitica è regolata dai rapporti di forza e la Cina lo ha capito. Ha visto la parata in piazza Tien an Men di oggi in occasione del 70° anniversario della RPC?

  2. Non amo le parate. Comunque la Cina è sempre in pericolo più per contrasti interni che per contrasti internazionali. Io spero che rimanga prospera e pacifica. Ma non ci scommetterei, nel lungo termine.
    Fra l’altro la convivenza fra dittatura comunista e sistema economico capitalista sembra una formula instabile. Auguri, vecchio Catai.

  3. Mi pare pero’ che a grandi linee il diritto internazionale funzioni come nella tribu’ descritta nell’articolo stesso: quando una nazione forte alza troppo la cresta, le altre si coalizzano per fargli rispettare la legge da esse stabilita.
    Succede spesso anche nelle elezioni democratiche che piu’ partiti deboli si coalizzino per contenere l’arroganza di quello piu’ grosso, succedeva ai tempi della dc e succede oggi.
    Quindi, niente di nuovo mi sembra.

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