CONTE NELL’ACQUARIO

L’ho confessato più volte: quando in televisione appare un personaggio del quale so che non mi dirà niente di valido, e mi farà per giunta arrabbiare, tolgo l’audio. All’inizio i personaggi “banditi” dal sonoro (fra cui il Papa) erano un paio o poco più, ma col tempo la schiera si è tanto infittita, che la televisione a volte si trasforma nell’anti-radio. Alla radio si sente tutto ma non si vede niente, nella mia televisione spesso si vede tutto ma non si sente niente. E così Luigi Di Maio non è più loquace di un pesce in acquario. Dio conceda lunga vita al benefattore che ha inventato il tasto “mute” sul telecomando. Io ormai lo trovo ad occhi chiusi.
Una recente acquisizione fra gli afoni è quella di Giuseppe Conte. Il professor Conte che per me è rimasto il professor Conte. Cesare compì tali imprese che il suo nome divenne il titolo degli imperatori romani, ma molti imperatori della decadenza, pur nominati Cesare, non furono per questo degni dell’eponimo. È l’uomo che deve dare lustro al titolo, non il titolo all’uomo. Perfino il cinema se ne è accorto, con la famosa battuta: “Sei tutto chiacchiere e distintivo”. In questo caso il distintivo è un aggravante. Se un docente ignorante sale in cattedra a spiegare letteratura italiana, susciterà il sarcasmo dei liceali e a salvarlo non basterà il titolo di professore.
L’essenziale dei politici, in democrazia, è che siano votati. Poi, se un peón della Camera dei Deputati vorrà acquistare un reale peso, dovrà primeggiare fra i colleghi, influenzarli col proprio parere, presentarsi come un loro rappresentante, fino a divenire capo-corrente, capo-partito, ministro. Diversamente rimarrà soltanto uno che, a comando, schiaccia un pulsante. I suffragi sono necessari per l’elezione, non sufficienti per le alte cariche.
Ebbene, Giuseppe Conte non ha compiuto nemmeno il primo, umile passo di questo cursus honorum. Non è stato eletto nemmeno assessore in un paesino; non è stato eletto deputato; non è stato eletto senatore; non è un capo corrente; non ha un partito e si trova dove si trova perché indicato dal M5s. Troppo poco per fare la ruota.
Naturalmente le cose sarebbero andate diversamente se, appena divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri, avesse cominciato almeno a dire parole d’oro. Ma non è andata così. Ogni volta che ha aperto bocca ha dato l’impressione di avere imparato, della politica, soltanto il peggio: le promesse impossibili, i trucchi verbali e le banalità. Fino ad una saturazione (in me procedimento velocissimo) che lo ha messo nella categoria dei pesci in acquario.
Né tende a riscattarsi. Un titolo di giornale come quello del “Corriere della Sera” di oggi(1) azzera ogni possibile ripensamento: “Conte e gli attacchi dei due ‘Matteo’: ‘A me non piacciono i prepotenti’ ”. Una frase che fa cadere le braccia. Che i prepotenti non piacciano è naturale. Non piacciono neanche a me. Per anni ho sperato che Matteo Renzi ricevesse sul muso la bastonata politica che meritava. Né mi è mai piaciuto l’atteggiamento da gradasso di borgata di Matteo Salvini. Ma il fatto che non piacciano a me è del tutto ininfluente. Come se dicessi “A me non piacciono le lasagne”. Viceversa il verbo piacere ha ben altro significato quando a pronunciarlo è l’autorità. Basti pensare che gli avvocati quando fanno istanza di un provvedimento, si esprimono così: “Piaccia al giudice ordinare la revoca dell’atto…”. Perché ciò che piace a chi comanda è legge, per il popolo. Se io dico che Matteo Renzi non mi piace, la sua salute e la sua carriera politica non ne risentiranno. Ma se l’imperatore lo dice di un senatore, quel senatore dovrà essere pronto a fare le valigie per il Ponto Eusino. Se gli va bene.
Quando Conte dice che non gli piacciono i prepotenti minaccia – da prepotente – sia Matteo Renzi sia Matteo Salvini. Cosa ben poco democratica. Infatti i due “Matteo” non hanno alcun dovere di piacergli. Addirittura, in quanto parlamentari, hanno – a termini di Costituzione – il diritto alle loro opinioni politiche, quand’anche fossero espresse in termini violenti ed offensivi. La rivoluzione, affermava Lenin, non è un pranzo di gala e la politica, diceva Rino Formica, è “sangue e merda”. Altro che piacere a qualcuno.
Ma questo non è tutto. Perché, se Conte rivela, con quelle parole, la propria arroganza, non rivela certo la propria acutezza. Infatti, mentre lui non ha nessun potere su Matteo Renzi (e figurarsi su Salvini), Matteo Renzi lo tiene per la gola, per non dire altro. Se Renzi ritira il sostegno dei suoi senatori, il governo cade domattina. E se non lo fa non è perché gli piaccia, o gli debba piacere, Conte, ma perché insieme col governo cadrebbe anche lui.
Con una differenza, tuttavia: che Renzi ha una prova d’appello nelle prossime elezioni: è noto come politico, s’è fatto un partito ed ha un suo personale peso. Mentre Conte, sì e no, ritroverà la monotonia della sua cattedra. .
Conte è anche capace di dire piccole o grandi baggianate. Per esempio: “Nessuno deve avere la golden share sul governo”. E questa fa parte delle grandi. Preliminarmente, dal momento che Conte si rivolge alla parte eletta della nazione, e parla di golden share, mentre io ho amici umilmente italiani, spiego che, in una società per azioni, la golden share è quel pacchetto di azioni che costituisce l’ago della bilancia nelle decisioni sociali. Ora, come nelle società per azioni qualcuno può avere la golden share, altrettanto bene qualcuno può averla nel governo. È un fatto. E contro i fatti non c’è niente da fare. Dire “Nessuno deve avere la golden share del governo” è come dire: “Nessuno deve morire di cancro a vent’anni”. Voto comprensibile, ma purtroppo inutile. Se contro qualcosa non si può lottare, che senso ha deprecarla, se non quello di sottolineare la nostra impotenza, un’impotenza che non si riscatta con le parole?
Conte rimprovera poi a Renzi di accusare il governo di non aver fatto, in poco tempo, quello che lui stesso non ha fatto in quattro anni di governo. Ed avrebbe ragione, se la gente tenesse conto della storia. Invece la gente bada al presente, e ciò che è avvenuto due mesi fa è archeologia. Basti dire che tutti rimproverano a Salvini l’errore di aver fatto cadere il governo, mentre prima erano innumerevoli quelli che gli chiedevano di fare questa mossa. Ed ora sono spariti. Ha sbagliato soltanto Salvini. È così che va la politica. Dunque Conte non deve rispondere, con la storia, a Renzi, deve rispondere coi fatti ai cittadini, se può. Se no incassi e basta. E invece in un certo senso lui provoca, sprizzando ottimismo da tutti i pori. Se la nave stesse affondando, lui direbbe: “Fra poco avremo abbondanza d’acqua”.
Quell’uomo non ha il senso delle proporzioni. Ha anche detto: “Io non sono il servo di nessuno. Sono più duro perfino di quanto fu Bettino Craxi a Sigonella”. Il prof.Conti ignora la distanza che lo separa da Craxi. E le sue parole – lo sappia uno che ha deprecato lo stile di Salvini – suonano sbruffoneria. Craxi non fu soltanto il protagonista dell’episodio da lui citato (e in cui io personalmente sono stato dalla parte degli americani) ma il detentore, per molti anni, della golden share fra due giganti, la Dc e il Pci, che avrebbero schiacciato chiunque. Come del resto in fin dei conti alla fine schiacciarono anche lui.
Forse a Conte non bisognerebbe togliere soltanto l’audio.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

(1)https://www.corriere.it/politica/19_ottobre_08/franco-contecorriere-web-sezioni-25675798-e936-11e9-a351-0f862d63c352.shtml?refresh_ce-cp

CONTE NELL’ACQUARIOultima modifica: 2019-10-09T08:50:15+02:00da gianni.pardo
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6 pensieri su “CONTE NELL’ACQUARIO

  1. Giovanni Goria fu presidente del consiglio democristiano dalla metà del 1987 alla metà dell’88, X legislatura: Giorgio Forattini lo disegnava con il volto vuoto, solo capelli, barba, baffi e sopracciglia a significare che non contava nulla, era il nulla.
    Ebbene, in confronto a Conte era un gigante: altri tempi, almeno lui era stato eletto con 640.000 preferenze, alle europee del 1989. Fu accusato e poi prosciolto in uno dei processi di mani pulite.
    “è il sordo rumore del nulla versato nel niente” (Veneziani), geniale.

  2. Mi segnalano, sullo stesso tema, un bell’articolo di Marcello Veneziani.

    Giuseppe Conte non è. Non è un leader, non è un eletto, non è un politico, non è un tecnico, non è nulla. È il Nulla fatto premier. E lo conferma ogni giorno adattandosi come acqua corrente alle superfici che incontra. È la plastica rappresentazione che la Politica, dopo lo Scarso, lo Storto, il Pessimo, ha raggiunto lo Zero, la rappresentazione compiuta del Vuoto.
    Luogotenente del Niente, Conte è oggi il fenomeno più avanzato della politica dopo i partiti, i movimenti, le ideologie, la politica e l’antipolitica, i tecnici e i populisti, le élite e le plebi. È la svolta avvocatizia della politica che pure è da sempre popolata di avvocati: ma Conte non scende in politica, assume solo da avvocato l’incarico di difendere una causa per ragioni professionali; ma i clienti cambiano e così le cause. Andrebbe studiato nelle università del mondo perché segna un nuovo stadio, anonimo e postumo della politica. Non si può esprimere consenso né dissenso nei suoi confronti perché non c’è un argomento su cui dividersi; lui segna la fine del discorso politico, la fine della decisione, la fine di ogni idea, di ogni fatto. È la somma di tante parole usate nel gergo istituzionale, captate e assemblate in un costrutto artificiale. È lo stadio frattale del moroteismo, il suo dissolversi. Ogni suo discorso è un preambolo a ciò che non accadrà, il suo eloquio è uno starnuto mancato, di cui si avverte lo sforzo fonico e il birignao istituzionale ma non il significato reale. Altri semmai decideranno, lui si limita al preannuncio.
    Ogni volta che un tg apre su di lui, non c’è la notizia, è solo una presenza che denota un’assenza; si spalanca una finestra nel vuoto. I fatti separati dalle opinioni, si diceva; lui è nello spazio intermedio dove non ci sono i fatti e non ci sono le opinioni. Dopo che Conte avrà parlato lascerà solo una scia di silenzi e di buchi nell’acqua. Non darà risposte, sceneggerà un ruolo e dirà lo Zero virgola zero. Nelle sue citazioni saccenti vanifica l’autore citato, lo rende vuoto e banale come lui. Conte non rientra in nessuna categoria conosciuta, eppure abbiamo avuto una variegata fauna di politici al potere. Lui non è di parte, eccetto la sua, è piovuto dal cielo in una sera senza pioggia.
    Conte è portatore sano di politica e di governo, perché lui ne è esente. È contenitore sterile di ogni contenuto. Non ha una sua idea; quel che dice è frutto del luogo, dell’ora e delle persone che ha di fronte. Parla la Circostanza al suo posto, la Circumstancia, per dirla con Ortega y Gasset; Conte è la somma dell’habitat in cui è immesso, traduce il fruscio ambientale in discorso.
    Figurante ma senza neanche figurare in un ruolo, è l’ologramma di una figura inesistente, disegnato in piattaforma come un gagà meridionale degli anni 50. Un po’ come Mark Caltagirone, il fidanzato irreale di Pamela Prati; è solo una supposizione. Trasformista, a questo punto, sarebbe già un elogio, comunque un passo avanti, perché indicherebbe un passaggio da uno stadio a un altro. Conte, invece, è solo la membrana liquida che di volta in volta riveste la situazione, producendo un molesto acufema in forma di eloquio. Conte cambia voltura a ogni utente e rispetto a ogni gestore (non fu un caso nascere a Volturara).
    Conte è fuoco fatuo, rappresentazione allegorica del niente assoluto in politica, ma a norma di legge. Quando apparve per la prima volta dissero che aveva alterato il curriculum e in alcune università da lui citate non era mai stato, non lo conoscevano; ma Conte è un personaggio virtuale, il curriculum può allungarsi, allargarsi, restringersi secondo i desiderata occasionali.
    Conte non ha una storia, non ha eredità e provenienze, non ha fatto nessuna scalata. È stato direttamente chiamato al Massimo Grado col Minimo Sforzo, anzi senza aver fatto assolutamente nulla. Una specie di gratta e vinci senza comprare nemmeno il biglietto, anzi senza aver nemmeno grattato. Da zero a Palazzo Chigi. Come Gregor Samsa una mattina si svegliò scarafaggio, lui una mattina si svegliò premier. Un postkafkiano.
    Conte è di momento in momento di centro di destra di sinistra cattolico laico progressista, medieval-reazionario con Padre Pio, democratico-global con Bergoglio, fido del sovranista Trump e al servizio degli antisovranisti eurolocali; è genere neutro, trasparente, assume i colori di chi sta dietro. Un passe-partout. Il Conte Zelig, come lo battezzammo agli esordi, ha assunto di volta in volta le fattezze gradite a tutti i suoi interlocutori: merkeliano con la Merkel, junckeriano con Juncker, trumpiano con Trump, macroniano con Macron, chiunque incontra lui diventa quello; è lo specchio di chi incontra. In questa sua capacità s’insinua e manovra.
    Conte non dice niente ma con una faticosa tonalità che sembra nascere da uno sforzo titanico, la sua parlata cavernosa e adenoidea è una modalità atonica, priva di pensieri o emozioni, pura espressione vanesia di un dire senza dire, il gergo della premieralità. Il suo vaniloquio è simulazione di governo, promessa continua di intenti, rinvio sistematico di azioni; è un riporto asintomatico di pensieri, la somma di più uno e meno uno. Indica con fermezza che si adatta a tutto e non comunica niente.
    Dopo Conte non c’è più la politica; c’è la segreteria telefonica, il navigatore di bordo, la cellula fotoelettrica. Il drone. Conte però ha una funzione, e non è solo quella di cerniera lampo tra sinistra e M5S, punto di sutura tra establishment e grillini. È la spia che la politica non c’è più, nemmeno nella versione degradata più recente. Lui è oltre, è senza, è il sordo rumore del nulla versato nel niente.
    MV, Panorama n.41 (2019)

  3. Mi piace Veneziani per come scrive e di solito ne condivido le analisi. In questo caso pero’ forse peccano di eccessiva presunzione: Conte è ancora non ben misurabile, è sconosciuto dal punto di vista politico. Questo è un demerito della politica italiana, non di Conte. Potrei esserci io al suo posto, mica direi di no. Non è escluso che come altri personaggi prima all’ ombra di qualche grande, poi esplodano in iniziative di gran valore. A me non è passata inosservata la sua libera opinione sulla sentenza della Corte Costituzionale che ha dato spazion al suicidio assistito (a cui io sono ferocemente contrario). Ha detto di dubitare che vi sia un diritto a morire. Secondo me ci vuoe un coraggio che altri politici non hanno dimostrato. Sembra cosa marginale, ma ha delle sue convinzioni e non vi rinuncia per seguire le opportunità date dal mainstream.

    Ripeto: è ancora ingiudicabile anche per me e l’ unico giudizio negativo à sui processi perversi della politica italiana che dà opportunità a personalità deboli (in quel momento, ma attenti…) per averne dominio, ma giudicare Conte con la presunzione di averlo capito per intero è presuntuoso.

  4. Il tema centrale dell’ articolo non è di mio grande interesse, ma vi è stata una brave citazione del caso Sigonella da parte di GB con tanto di precisazione che lui era dalla parte degli americani.

    Io all’ epoca avevo ben altra età e temperamento, riflessioni molto sintetiche e conclusioni affrettate (ero giovane…), ma pur essendo contro il governo Craxi, non socializta, sono passato da “non si tratta mai con i terroristi!!” a “qualunque scelta anche scellerata del mio Governo non deve essere sindacata con forza da nessuna potenza straniera!!” in poche ore. Allora in termine “sovranista” non era stato ancora coniato altrimenti me lo avrebbero calzato addosso.

    Oggi, con l’ età, la sopraggiunta pacatezza, il calo di testosterone posso dire che “si tratta con chi ha forza contrattuale, cioè con chi puo’ costringerti a trattare”, ma rimango dell’ idea che forze estere, per giunta alleate ed ospitate sul nostro territorio possano surclassare le nostre istituzioni mi rimane ancora inaccettabile.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_di_Sigonella
    ” il presidente statunitense Reagan, infuriato per il comportamento italiano, si decise a telefonare nel cuore della notte al presidente del Consiglio Craxi per chiedere la consegna dei terroristi; ma Craxi non si mosse dalle sue posizioni: i reati erano stati commessi a bordo di una nave italiana, quindi in territorio italiano[36], e sarebbe stata l’Italia a decidere se e chi estradare”

    Inoltre noi,nella patria del diritto ci vacciamo insegnare queste cose così scontate dagli egiziani:

    “In effetti, la mattina dopo Palazzo Chigi contattò l’ambasciatore egiziano a Roma Rifaat e lo informò dell’intenzione del governo italiano di prendere in custodia, a fini giudiziari, i quattro dirottatori e di far scendere dall’aereo anche due dirigenti palestinesi (tra cui Abu Abbas) che li accompagnavano, i quali sarebbero stati trattati come “ospiti a fini testimoniali”. Gli egiziani acconsentirono alla prima richiesta, ma non alla seconda, arguendo che le due persone dovessero essere considerate ospiti del governo egiziano il quale si riteneva responsabile della loro sicurezza: poiché i due si trovavano in Italia contro la loro volontà e si rifiutavano di lasciare l’aereo, era assolutamente da escludersi che venissero costretti a farlo”

    Ribadisco che condanno l’ azione di quei terroristi palestinesi, ma prima di tutto sono sovranista. Io per quel breve momento sono stato con il Governo.

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