LA DISEDUCAZIONE

È tanto difficile interpretare correttamente le grandi tendenze del proprio tempo quanto descrivere il colore della scatola in cui si è chiusi. Chi lo fa seriamente lo fa a proprio rischio e pericolo, fino al ridicolo di certe inchieste di università americane che, giustamente, sono dimenticate un mese dopo. Un simile argomento lo si può trattare per passare il tempo, conversando con gli amici. Che è il programma di oggi.
Mi permetto di annunciare il seme di briscola con questa frase: la diseducazione e l’ignoranza contemporanee hanno sregolato i cervelli fino a livelli pericolosi, sia per i giovani, sia per i vecchi. E in questo campo bisogna mettere la mani avanti: se un ragazzino di otto o dieci anni è ancora praticamente analfabeta non è colpa sua. Infatti un secolo fa, se avesse frequentato la stessa scuola elementare e fosse arrivato in quarta, non sarebbe stato analfabeta. Oppure, essendo asino, sarebbe già stato ripetente. I figli e i giovani praticamente non sono colpevoli di nulla, sono come li fanno essere i genitori e la società.
Ma, potrebbero obiettare i genitori, come potremmo essere noi diversi da come siamo? Anche noi siamo il frutto della società. Al massimo potremmo essere colpevoli di non avere riflettuto abbastanza, al punto da capire che ci insegnavano cose sbagliate. Ma la scuola ci ha forse insegnato a riflettere?
E allora, effettivamente, è dalla società che bisogna partire.
La guerra – e la sua sorella gemella, la morte – sono quanto di più realistico si possa immaginare. Mentre si teme per la propria vita, il cui termine potrebbe essere a portata di mano, questione di minuti, o di secondi, non c’è posto per la retorica, per l’inganno, per l’illusione. E se accanto al fante giace morto e straziato un suo commilitone, col quale aveva scherzato fino a poco prima, non è il momento di parlare di vita eterna e di valori patriottici. E il mondo civile, dal Canada al Giappone, per non parlare di un’Europa abbrutita nella disperazione, tutto ciò l’ha conosciuto ancora, dal 1939 al 1945.
A questo eccesso di orrore è poi succeduta l’età della speranza. Le città sono state ricostruite, i cittadini laceri e affamati sono diventati borghesi prosperi, in automobile, col problema del colesterolo e della bilancia. Niente da dire, tutto ottimo. Decenni e decenni di pace, un prodotto interno lordo che dovunque si è fatto un dovere di aumentare, e un mondo così mite e così disposto al perdono, da sognare una realtà in cui un delinquente è soprattutto un individuo sfortunato che andrebbe aiutato a rientrare nella felicità comune.
Ovviamente, se già ci si sentiva in dovere di essere buoni con i delinquenti, perfino con un senso di colpa (come mai non l’abbiamo aiutato prima a non divenire un delinquente?) figurarsi se non si doveva essere buoni con i figli. Quale sarebbe stata la loro vita se i genitori gli avessero dato uno scappellotto? E con quale coraggio imporgli qualcosa se – come già predicava Rousseau – il bambino – come del resto il selvaggio – nasce buono ed è la società che lo corrompe, facendolo divenire cattivo?
Così il principio d’autorità è stato condannato alla damnatio memoriae. Comandare è un verbo orribile. Bisogna spiegare perché bisogna fare una cosa e non un’altra, finché l’altro capisca. E se, malgrado ogni sforzo, non capisce, è colpa di chi spiega, non di chi non capisce. O fa finta di non capire. O comunque vuol fare di testa sua. E in questo modo si sono resi ingovernabili nell’asilo infantile i bambini di tre anni, perché a casa loro nessuno aveva mai osato dire di “no”. Né le cose migliorano col passare del tempo. Alla scuola elementare è stato vietato bocciare. La Scuola Media inferiore non è solo divenuta “Scuola dell’Obbligo” di nome, ma anche di fatto. Obbligo di promozione.
E così si è proseguito in tutte le direzioni, fino a sregolare le menti dei giovani che hanno completamente perso il senso della realtà. I più fortunati, avendo una famiglia sana e di buon senso alle spalle, si sono salvati, ma i meno fortunati, i meno intelligenti, e spesso i più ricchi e i più viziati, hanno perfettamente aderito al modello loro proposto. Hanno perso il collegamento studio e promozione, lavoro e denaro, diritti e doveri. I loro problemi sono stati e sono quelli proposti dalla pubblicità televisiva: come essere belli, ben vestiti, alla moda, vincenti. E vincenti gratis. Gente che a venti o trent’anni ha la mentalità del bambino di dieci anni che, indossando una maglia di calciatore col numero dieci sulla schiena, e il nome del “bomber” del momento, si sente come lui, si identifica con lui, è lui, e si meraviglia che il suo piede non spedisca in rete il pallone.
Il peggiore risultato ovviamente si ottiene quando i miti – anch’essi televisivi o, peggio, di video games – sono miti violenti. Così nascono le baby gang, i giovanotti si fanno dei “selfie” per esibire i loro tatuaggi e a volte perfino le loro armi da fuoco. Col risultato finale di omicidi di strada, su cui poi l’intera società si straccia le vesti. Recentemente è successo a Roma e l’omicida ha poi detto due cose assolutamente tremende. Ha detto che chiedeva “scusa” e che aveva sparato per far paura alla vittima, non per ucciderla. E ciò significa due cose: che è così poco abituato a chiedere scusa, che crede, umiliandosi a questo punto, di aver diritto al perdono per un omicidio; e poi che è mentalmente disorientato come un bambino di quattro anni. Infatti ha sparato alla testa della vittima, e sparando alla testa di qualcuno gli si fa soltanto paura? Ma forse è così nei video games. Chissà – io non ci ho mai giocato – sullo schermo, dopo “game over” (il gioco è finito) ci sarà la possibilità di “game restart”, ricomincia a giocare, e il malcapitato cui s’è sparato alla testa si rialza e ti fa contento, spaventandosi piuttosto che morendo.
No, questo mondo, visto con gli occhi di chi è nato quando si bocciava alla scuola elementare, e i ragazzi uscivano dalla quinta elementare con un piccolo ma consistente bagaglio culturale, è del tutto incomprensibile.
Forse meglio rimanere tappati in casa. Chissà che a qualche giovinastro, nella speranza di trovarmi quaranta euro addosso, non passi per la mente la voglia di spaventarmi.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

LA DISEDUCAZIONEultima modifica: 2019-10-27T16:11:13+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA DISEDUCAZIONE

  1. Quando mio figlio oggi tredicenne andava all’asilo nido, i bambini che si comportavano male non venivano messi “in castigo” (parola terribile che avrebbe potuto creare chissà quali traumi psicologici), bensì “a pensare”.
    In pratica crescevano associando il pensare ad un concetto negativo, alla punizione

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