LA DISOCCUPAZIONE A PESO

Ho molta compassione per i disoccupati. Uso la parola “com-passione”, e non “pietà”, proprio per indicare che ho patito lo stesso problema. E so quanto è doloroso. Ma, lo steso, sulla disoccupazione bisogna avere le idee chiare.
La sofferenza di questa situazione non deriva dalla mancanza di un lavoro, ma dalla mancanza di un reddito. Nel senso che se uno è ricco può anche essere felice senza esercitare nessuna attività produttiva. Michel de Montaigne non si occupava delle sue proprietà (se ne occupava quella santa donna di sua moglie) e lui passava il suo tempo a leggere e scrivere. Non risulta che se ne sia mai lamentato.
La pena della disoccupazione non è l’ozio, è quella di non riuscire a procurarsi il necessario per sé e per la propria famiglia. E per il singolo questa pena è la stessa, poco importando che disoccupato sia solo lui o, insieme con lui, altri mille padri di famiglia. Una vecchia siciliana disincantata non pnredeva sul serio il vecchio detto: “Compagno al duolo è gran consolo”, e lo traduceva in questo modo: “Compagno al duolo è gran cetriolo”.
Ma tutto cessa di essere vero nella vita pubblica. Il singolo può benissimo non dormire la notte e consumare le scarpe facendo il giro delle sette chiese, alla ricerca di un reddito, la cosa non interesserà a nessuno. Se invece i disoccupati sono mille e scendono in strada gridando slogan, bruciando cassonetti e sfasciando vetrine, il problema passa al governo “e deve essere risolto”.
La disoccupazione è un problema economico e, in un’economia libera, riguarda i cittadini. Se invece la retorica politica – a cominciare dalla Costituzione – parla di “diritto al lavoro”; se tutti sono convinti che il governo non può e non deve permettere che mille lavoratori perdano il salario; se insomma si fa del lavoro di molti non un contratto liberamente concluso ma una sorta di feticcio intoccabile, cui tutto deve essere sacrificato, anche la logica, allora ci si infila in un tunnel di contraddizioni. E non se ne esce più.
Dal punto di vista morale, non si vede perché lo Stato si debba occupare dei mille disoccupati e non del singolo disoccupato. La la fame delle mille famiglie non è diversa dalla fame della famiglia del singolo. E questo è il meno. Se, per dare un reddito ai mille lo Stato concede un sussidio all’impresa, o la nazionalizza, o semplicemente paga un’annosa indennità di disoccupazione, tutto questo lo fa col denaro dei contribuenti. Cioè anche col denaro ricavato dall’Iva sul pane pagata dal disoccupato singolo. Tutto ciò che lo Stato fa per aiutare i disoccupati (purché in numero tale da pesare politicamente) è fatto a spese degli occupati e perfino (con le tasse indirette) degli altri disoccupati. E così si opera un ingiustificato trasferimento di ricchezza. Fenomeno che il diritto ha già considerato.
Lo Stato tutela i trasferimenti di ricchezza quando essi siano giustificati. E al contrario l’Art.2041 del Codice Civile: “Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra pesona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizare quest’ultima”. Se il signor A deve pagare cento euro a B, e per un errore di zeri gli trasferisce centomila euro, B è tenuto a restituire l’eccedenza. Come già dicevano i romani, lo Certo nemo locupletari potest cum aliena iactura, nessuno può arricchirsi lucrando sulla sfortuna altrui. Come può giustificarsi che il disoccupato, l’immigrato che vive di espedienti, l’operaio sfruttato che lavora in nero, debbano pagare per i colleghi che hanno perduto il lavoro e cioè si sono venuti a trovare nella stessa condizione in cui già si trovano loro?
Non si tratta di essere indifferenti al dramma delle mille famiglie rimaste senza reddito, si tratta di sentire la medesima pena per tutti coloro che si trovano nella medesima situazione. Essendo disposti a fare per loro ciò che si è disposti a fare per tutti gli altri.
Se poi lo Stato, senza spendere un soldo, fosse capace di risolvere il problema dell’impresa che ha licenziato i mille operai, rendendola di nuovo vitale, la sua azione sarebbe da lodare nei secoli. Ma poiché nella realtà è un pessimo imprenditore, e spesso non vede le soluzioni di cui esso stesso ha bisogno, neanche quando le ha sotto il naso, quante probabilità ci sono che realizzi questo miracolo?
Semplici ovvietà, ma nessun ragionamento cambierà mai la mentalità corrente. Queste parole possono servire soltanto a tenere la testa fuori dalla melma della retorica e dell’ingiustizia. Poi, business as usual, ma senza il nostro consenso economico, morale e giuridico.
Gianni Pardo
giannipardo1@gmail.com Scrivetemi i vostri commenti, mi farete piacere.

LA DISOCCUPAZIONE A PESOultima modifica: 2019-11-11T10:54:23+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA DISOCCUPAZIONE A PESO

  1. La cosa che non smette di stupirmi è la facilità con la quale si fa passare l’ingiustizia per giustizia e il privilegio per equità.
    Il tutto, poi, attraverso la rapina legalizzata.

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