L’ECONOMIA DI GUERRA

L’economia tende per sua natura alla creazione di ricchezza. Qualcuno infatti definisce l’economia la scienza che tende al massimo risultato col minimo sforzo, ma questo concetto in fondo si limita ad amplificare l’ambito dell’economia. Quando i leoni rubano la preda alle iene, attuano il principio del risultato col minimo sforzo. Comunque, l’economia non tende mai a distruggere volontariamente ricchezza, salvo in un caso: l’economia di guerra.
Nell’ambito di un conflitto, è economico che siano distrutti venti dei nostri carri armati, se ne abbiamo distrutti quaranta del nemico. L’economia normale funziona con i numeri positivi, quella di guerra considera anche i numeri negativi. E quest’ultima funziona anche nella vita civile quando, accanto agli interessi per così dire monetari, entrano in campo altre forti pulsioni. In certi casi di divorzio si direbbe che gli ex coniugi tendano più a danneggiare l’altro che a conseguire vantaggi. Insomma entrano nell’economia di guerra.
E figurarsi se tutto ciò non funziona nella vita politica, per esempio per quanto riguarda l’attuale governo. Questo è tenuto insieme con lo spago ed ha come unico interesse quello di non andare a nuove e pericolose elezioni. Fra i partner manca qualunque consonanza programmatica e ideale ed essi si fanno continuamente dei dispetti, con l’unico limite di ciò che porterebbe allo scioglimento delle Camere. Ma costeggiano continuamente l’economia di guerra.
In parte ciò è fisiologico. Teoricamente, se due partiti si associano in una coalizione di governo, non dovrebbero voler danneggiare l’altro, anche se a proprie spese. Ma l’alleanza non fa venir meno la concorrenza. E ciò va esplicitato. Se un partito è bianco e l’altro è nero, l’ostilità è istituzionale. Ma se un partito è bianco chiaro e l’altro bianco scuro, data la non grande distanza ideale, esiste la possibilità di un travaso di elettori: e ciò crea sempre una concorrenza. E questo – se il possibile travaso è notevole – può far operare, tra loro, l’economia di guerra.
Nel caso italiano, Italia Viva, il M5s e il Pd hanno interessi confliggenti. Il partito di Renzi può sperare di arricchirsi con gli elettori scontenti del Pd, ma potrà farlo soltanto col tempo. O con qualche colpo di fortuna mediatica. Attualmente gli conviene fare notizia con qualche iniziativa spericolata, e per il resto stare alla finestra tenendo a galla il governo.
Il M5s soffre di molti handicap. Avendo totalmente perso la speranza di reiterare il successo del marzo 2018, dovrebbe sperare che la legislatura continui, quand’anche ciò dovesse imporgli di ingoiare rospi grandi come cernie. Purtroppo, un po’ come lo scorpione che voleva essere traghettato dalla rana, è incoerente, volatile, massimalista, confuso, frustrato e privo di guida. Potrebbe implodere, scindersi, e perfino far cadere il governo per pura stupidità. E non ha neppure la speranza di attirare elettori dagli altri partiti. Il suo primitivo bacino era quello degli scontenti e oggi questi scontenti sono scontenti anche del Movimento. Infine, essendo riuscito (almeno nell’immaginario collettivo) a non essere né di destra né di sinistra, non attira gli elettori degli altri partiti. Insomma è una bomba inesplosa e un fattore di totale incertezza.
Più interessante è il caso del Pd, un partito in crisi ma con vere radici e vere tradizioni. Attualmente è contro tutti, ed è anche litigioso al suo interno. Ma ha una fortuna: è l’unico leader, l’unico serio punto di riferimento della sinistra. Se dunque cade il governo e se il M5s si sfascia, rimane padrone del campo: chiunque non sia di destra sarà costretto a votare per esso. Secondo le prospettive attuali, se si va a nuove elezioni, il M5s non ha alcuna prospettiva di governo, mentre il Pd cade in piedi.
Ciò significa che, se e quando intravederà il momento opportuno, in base all’economia di guerra, potrebbe far cadere il governo. Gli basterebbe avere sottomano un’accusa pesante da lanciare contro i pentastellati, in modo da azzopparli definitivamente alle successive elezioni. Se tutto questo è vero, non ci sarebbe da stupirsi se una mattina il Pd scoprisse che “il M5s sta andando contro gli interessi della nazione”, e dunque, con sprezzo del pericolo, lo manderebbe a casa. Fra l’altro, se lo facesse abbastanza presto, otterrebbe l’ulteriore vantaggio di togliere a Matteo Renzi il tempo di organizzare seriamente la sua Italia Viva. Inoltre andrebbe alle urne per eleggere un Parlamento con un numero di parlamentari non dimezzato e senza che si sia cambiata la legge elettorale. Molti piccioni con una sola fava.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

L’ECONOMIA DI GUERRAultima modifica: 2019-11-13T14:03:17+01:00da gianni.pardo
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