GERMANIA E ITALIA A CONFRONTO

Chi non ha studiato storia pensa che in Europa lo Stato più importante sia la Germania. Poi magari pensa alla Russia, anche se alla Russia di qualche decennio fa. Infine non dimentica il Regno Unito, la Francia e – visto che qui risiediamo – l’Italia. I più attenti infine si ricordano della Spagna. Invece, chi ha studiato la storia dell’Europa, mette al primo posto la Francia, insieme alla Spagna, all’Austria e all’Inghilterra. L’Italia, pur essendo per molto tempo al primo posto come civiltà e arte, è stata soltanto terra di conquista. E la Germania? Non pervenuta.
Ancora all’epoca delle guerre napoleoniche, la Germania contava poco. Fu soltanto nella seconda metà del XIX Secolo (ieri, direbbero gli storici) che la Prussia riuscì a realizzare l’unione della Germania. Nacque così un’importante potenza europea che ebbe la sua consacrazione prima a Sadowa, quando batté l’Austria, e infine nel 1870,quando batté la Francia e le strappò l’Alsazia e la Lorena.
Purtroppo quest’ultima vittoria dette alla testa alla Germania e avvelenò l’Europa. La Francia si rodé il fegato per decenni, fino alla rivincita – e alla vendetta – della Prima Guerra Mondiale. Ma, se la Francia sbagliò nel coltivare il sogno di umiliare la Germania, (realizzandolo poi col Trattato di Versailles del 1919) la Germania non fu da meno, perché da quel momento sognò di vendicare la sconfitta del 1918. Da prima soffrì il peso delle riparazioni esagerate richieste dal trattato – fino alla tragedia economica della Repubblica di Weimar, nel 1923 – poi non tenne conto delle clausole del trattato, si riarmò, coltivò sogni di rivincita e infine si affidò a Hitler. Con le conseguenze che sappiamo.
La Germania degli Anni Venti non credeva veramente di essere stata vinta (perché il suo territorio non era stato invaso), e sognava rivincite. Al contrario, la Germania del 1945 ha appreso la lezione del passato e non ha avuto dubbi, riguardo alla sconfitta. Del resto la totale distruzione del Paese non ne consentiva. Settant’anni prima, ebbra della sua vittoria sulla Francia, la Germania si era creduta imbattibile, dopo la Seconda Guerra Mondiale non ebbe più grilli per la testa. Pur di avere la pace, subì a lungo la divisione del Paese in due e comunque non progettò mai di riconquistare i territori di cui era stata amputata, per compensare la Polonia dei territori che le aveva rubato la Russia. Infine, e così veniamo all’economia, con la Repubblica di Weimar aveva imparato che cos’era un governo dissennato in campo economico e la tragedia dell’inflazione. In seguito è stato come se l’articolo uno della sua nuova costituzione fosse : “Mai più l’inflazione”.
Nella mentalità germanica contemporanea, l’economia va guidata con la semplicità e la saggezza di una massaia. Mai fare il passo più lungo della gamba. La ragionevole guida del Paese fu stavolta favorita dalle potenze vincitrici. A loro volta ammaestrate dalle conseguenze della ferocia del Trattato del 1919, si mostrarono miti, in materia di riparazioni (salvo la Russia) e addirittura aiutarono la ricostruzione della Germania. Così essa in poco tempo si leccò le ferite, ricominciò a lavorare freneticamente e intraprese una rinascita economica che, nel giro di qualche decennio, sbalordì il mondo.
Ecco perché chi è giovane e non ha studiato storia mette la Germania al primo posto in Europa. Perché da quando è nato ha visto soltanto questo. Purtroppo, questa Germania che per mezzo secolo, dal 1945 al 1995, è stata saggia, forse come contropartita del permesso alla riunificazione, ha poi commesso un errore esiziale, per essa e per tutti noi: ha collaborato alla nascita dell’euro.
Ma qui bisogna intendersi. Una unione doganale – cioè l’abbattimento delle barriere tariffarie – è una benedizione, per l’economia. Si favorisce la divisione tecnica del lavoro e con essa l’abbassamento del costo (e dunque del prezzo) dei beni. Viceversa più Stati indipendenti non possono avere un’unica moneta, a meno che questa non sia l’oro in lingotti. Se dunque, oltre a costituire l’unione doganale, gli Stati europei si fossero confederati fino ad avere un unico governo centrale, come gli Stati Uniti o la Svizzera, l’euro sarebbe stato un’eccellente innovazione. Ma senza quell’unificazione, la moneta unica ha imposto costi e squilibri sempre più pesanti, fino a trasformarsi in una bomba a orologeria. È fatale che Stati indipendenti e sovrani – e qui parleremo soltanto della Germania e dell’Italia – adottino politiche giuridiche, fiscali, sociali ed economiche diverse. E il risultato finale non può che essere la deflagrazione.
Riprendiamo la storia. La Germania ha avuto come dogma fondamentale il più fermo rifiuto dell’inflazione e dei debiti; l’Italia invece ha sempre avuto come dogma (falsamente keynesiano) che la politica migliore, quella più favorevole al popolo e agli ultimi, sia quella della spesa facile, anzi facilissima, come se l’erario potesse attingere al pozzo di S.Patrizio. Quando poi questa politica danneggiava anche le esportazioni, si svalutava la moneta nazionale in modo da riallinearla al suo reale potere d’acquisto, permettendo alla nazione di rimanere competitiva nei mercati internazionali.
E così è andata per decenni. Purtroppo anche l’Italia – sbagliando ancor più pesantemente della Germania – pur non rispondendo ai parametri richiesti, entrò nel progetto dell’euro. Forse sperava che, con i vincoli imposti dalla nuova moneta, avrebbe potuto moralizzare la vita pubblica del Paese e raddrizzare una volta per tutte il timone dell’economia. Forse sperava anche di contribuire all’unione politica dell’Europa. Certo non ottenne niente di ciò che sperava. Soltanto il ritorno dei centesimi nella vita quotidiana.
Con l’euro l’Italia non ha cambiato la sua folle politica di spesa pubblica. Abbiamo dissimulato l’inflazione aumentando il debito pubblico a livelli esponenziali e attualmente siamo al 135% del prodotto interno lordo. Ma non basta: presto, dicono, in conseguenza del Covid, saremo al 150-160% del pil. Sempre che le Borse e l’Unione Europea ci permettano di indebitarci a questi livelli senza farci fallire. Prosit.
Nel frattempo, lungo il ventennio dell’euro, la Germania ha continuato a sorvegliare la sua circolazione monetaria e a lavorare indefessamente. Il risultato è stato che, mantenendo relativamente bassi salari e stipendi, ha prodotto una enorme ricchezza. Così le merci tedesche sono state ottime e a prezzo competitivo, fino ad inondare l’Europa e il mondo. In fondo è come se il loro prezzo fosse scontato. Così la loro convenienza travolge gli ostacoli della concorrenza straniera e la Germania scoppia di salute. In sintesi, i tedeschi vivono al di sotto delle loro possibilità e, come qualcuno che spende meno di quanto guadagna, si arricchisce; mentre noi viviamo al di sopra dei nostri mezzi fino a rischiare il fallimento.
La nostra economia è scervellata. Usiamo una moneta forte che non è nostra mentre, se avessimo la nostra lira, chissà quale sbilancio ci sarebbe con l’euro o con la Deutsche Mark. Esattamente lo sbilancio che rischiamo se usciamo dalla moneta unica. Intanto, nella situazione com’è, persino i prodotti del nostro turismo sono venduti ad un prezzo superiore al loro reale valore. Il risultato è che su un terreno in cui siamo e restiamo sostanzialmente imbattibili, siamo battuti dalla Spagna e dalla Francia. Quest’ultima, addirittura, è il primo Paese europeo per turismo, pur avendo così poco da mostrare.
Con i nostri sindacati, con la nostre leggi dissennate e socialisteggianti – quando non filocomuniste – non abbiamo più attirato capitali, abbiamo fatto fuggire le industrie dall’Italia, e abbiamo imboccato la china della decadenza economica. Ciò malgrado, abbiamo continuato a vivere al di sopra dei nostri mezzi e ci siamo infilati nel vicolo cieco di un debito pubblico astronomico da cui non si riesce nemmeno ad immaginare come usciremo.
Ecco spiegata l’attuale tragedia dell’Europa. La soluzione sarebbe la fine concordata dell’euro e probabilmente anche dell’Unione Europea. Dal momento che nessuno vuole rinunciare alla sua sovranità, che ciascuno viva in linea con la sua produzione di ricchezza. E se questo non piace, che si proceda ad un’unione politica tanto improvvisa quanto brutale di tutti gli Stati europei. Ma si giunga ad una soluzione razionale, perché quella attuale è irrazionale e insostenibile.
Purtroppo si direbbe che gli europei vedano la luce soltanto quando ne sentono il calore e prima di correggere la rotta vogliano sbattere il naso contro qualche scoglio. Sempre che, dopo, possano ancora virare.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

10 maggio 2020

GERMANIA E ITALIA A CONFRONTOultima modifica: 2020-05-10T11:57:52+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “GERMANIA E ITALIA A CONFRONTO

  1. Indicherei altresì che la maledetta “unione-europea” del XXI Secolo nei fatti e nella organizzazione non è altro che la metastasi della URSS del XX Secolo, e farà la stessa fine. Con la probabile differenza che la URSS fu una tragedia che terminò con una farsa; la “u-e” è una farsa che sta terminando in tragedia.

  2. Non sono d’accordo sulla terra di conquista: lo è stata anche la Germania fino all’unità e senza la scoperta della patata non parleremmo della Prussia. I nostri contributi sebbene a rilento, sono continuati (Gallileo? Volta ? Spallanzani?): la Spagna cosa ci ha dato ? Quello che è mancato è stato il ‘700 e l’800 e il colonialismo (ma sempre la Spagna e l’Inghilterra in America come ci sono arrivate ?). Siamo entrati tardi nella rivoluzione industriale, per mancanza di risorse e perchè le energie erano rivolte a costruire l’unità. Purtroppo dopo 159 anni, non siamo un paese (la Francia ci mise 4 secoli) e questo, insieme con l’ideologia cattolica e comunista e il loro approccio anti mercato e anti merito, ci frena.
    Se poi vogliamo ridurre il tutto ai 70 anni dopo la II guerra mondiale, potrei essere in parte d’accordo, ma la crescita economica fino al ’68 e prima che l’ideologia di cui sopra prendesse il sopravvento era simile a quella tedesca.

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