L’ITALIA E LE RIFORME NECESSARIE

Cominciamo dalla buona notizia, come è stata percepita: l’Europa ci regala ottanta miliardi, e ci concede prestiti agevolati fino ad arrivare ad un totale di duecentonove miliardi. Una somma sbalorditiva. Basti dire che, divisa per i sessanta milioni che siamo, corrisponderebbe a circa tremilacinquecento euro a testa. Quattordicimila euro per una famiglia di quattro persone. Riusciremo a profittare bene di questa manna? Questo è il problema.
In primo luogo, questo meraviglioso risultato ottenuto a Bruxelles implica che il nostro debito pubblico, in rapporto al prodotto interno lordo, salirà dal 134% al 160%. Non oso calcolare quanto fa in miliardi. È vero che i circa centrotrenta miliardi che ci danno in prestito sono garantiti dall’Unione Europea (e dunque i relativi titoli si venderanno senza nessuna difficoltà in Borsa) ma bisognerà pure restituirli e il nostro debito, già inimmaginabile, diviene ancora più strabiliante e più insostenibile.
Inoltre l’Italia dovrà pagare anche i precedenti debiti. E, se non potrà permetterselo, chi ci andrà di mezzo? Non certo i creditori “senior”, ma quelli che, nel caso di un fallimento di diritto privato, sono i “chirografari”. E chi può assicurare che i chirografari e gli investitori professionali, in futuro, continueranno a comprare i nostri titoli, soprattutto se il nostro debito dovesse continuare ad aumentare oltre il 160%? Qualcuno è disposto a giurare che l’Italia non fallirebbe nemmeno se il suo debito arrivasse al 1.000% del pil? O questo circo si fermerà, una volta o l’altra, o si fermerà l’Italia, crollando.
In secondo luogo, le somme promesse non arriveranno subito e nemmeno all’inizio del nuovo anno, ma a 2021 inoltrato. E se già oggi lo Stato confessa di avere le casse talmente vuote da non poter consentire neanche un rinvio di un paio di mesi delle tasse che dovrebbero pagare le partite Iva, come ci arriveremo, a quel momento?
Infatti l’enorme somma di 750 miliardi deve ancora essere raccolta, e non sarà erogata né subito né tutta insieme. Farà parte del bilancio europeo e, se non ricordo male, sarà versata ai singoli Stati nel corso di cinque anni. Dunque scendiamo dal sogno dei 209 miliardi e atterriamo sul terreno dei (209:5) quarantadue miliardi. Sono certo una bella somma ma in occasione del Coronavirus lo Stato ha già speso (in deficit) ottanta miliardi e non per questo ci ha fatto nuotare nell’oro. E altri venti miliardi di debiti li farà nei prossimi giorni.
Dare soldi all’Italia è rischioso come darli a un vizioso intossicato dal gioco d’azzardo. Con la sua amministrazione dissennata il nostro Paese, se ha in mano dei miliardi, inventa gli ottanta euro per tutti i lavoratori, il reddito di cittadinanza per chi non fa niente, la quota cento per dare la pensione ai giovani, e così via. Inoltre si permette di spendere per sostenere quel cadavere volante che è l’Alitalia, per tenere in coma vigile quell’ex Ilva che esso stesso ha assassinata, e per acquistare una fetta di “Autostrade”. Per giunta vendendoci la balla che l’Anas potrebbe amministrarle meglio dei Benetton.
E qui incocciamo in un altro problema. Le autorità europee – sempre che si mantengano le cose annunciate – ci verseranno il denaro soltanto a fronte di piani particolareggiati per realizzare delle riforme epocali. Vorranno sapere come intendiamo spendere i soldi, per fare cosa, e in che modo, e con quali costi, con quali effetti attesi, in quanto tempo. Ci sorveglieranno da vicino perché, se non adempiamo quanto promesso, sospenderanno l’erogazione dei fondi.
Ma l’Italia quelle riforme non può farle. Se non le abbiamo attuate in passato non è perché non ci siamo accorti della loro necessità, è perché il cammino è impraticabile. Ecco un esempio. La Pubblica Amministrazione è afflitta da una impressionante miriade di norme imperative, cui ogni impiegato deve obbedire. La conseguenza è che i burocrati frenano la produzione e per così dire ogni attività nazionale, ma se non lo facessero rischierebbero di finire in galera. La mania di perseguitare tutti col diritto penale – che impazza in Italia e che ha il suo profeta in Alfonso Bonafede – terrorizza soprattutto gli onesti. I responsabili controllano tre volte invece di una e alla fine non firmano lo stesso, per paura di essere comunque incriminati.
Riformare questo andazzo è molto difficile. Se semplificare significa lasciare più libertà a chi agisce per conto dello Stato, chi salverà il riformatore dall’accusa di aver favorito i corrotti, assicurandogli l’impunità per le loro ruberie? I burocrati non vengono dalla Luna, sono spesso italiani perbene che, seppure senza strapazzarsi e senza sudare, fanno del loro meglio per servire il Paese. La pubblica opinione invece è convinta che siano una manica di sadici e di malfattori, da sorvegliare strettamente. Anche con l’antimafia, con l’ecologia, con la tutela del paesaggio, con la tutela dei beni culturali e dell’habitat della drosofila della frutta. Semplificare? È una parola. E infatti quando l’ineffabile Conte ha partorito un “decreto semplificazione”, si è visto che quel sesquipedale decreto è tutt’altro che “semplificatorio” e tutt’altro che semplice esso stesso.
Per una seria riforma della Pubblica Amministrazione si richiederebbe uno studio elefantiaco, ad opera di migliaia di esperti, per poi ridurre il personale, andare contro abitudini e privilegi consolidati, contro le convinzioni del popolo, contro i sindacati, e insomma contro l’intera Italia. E come può l’Italia andare contro l’intera Italia?
L’ovvia conclusione è che della riforma della Pubblica Amministrazione si parlerà sempre e non si farà mai. E ora dovremmo progettarla e realizzarla in un paio d’anni, soltanto per avere qualche miliardo in prestito da Bruxelles? Che cos’è, un film di fantascienza?
La riforma della giustizia, anch’essa richiesta dall’Europa, dovrebbe essere più semplice. Per la Pubblica Amministrazione i riformatori hanno da fare con milioni di dipendenti dello Stato, i magistrati invece sono meno di diecimila. Dunque nessun problema.
Nessun problema? In mezzo secolo non siamo riusciti a condurre in porto nemmeno l’umile separazione delle carriere, cioè qualcosa che si potrebbe fare con un tratto di penna, senza licenziare nessuno e senza diminuire di un euro le retribuzioni. Eppure l’Italia non ce l’ha mai fatta. Ce la farà, ora, a velocizzare l’intera amministrazione della giustizia in breve tempo? Anzi, ce la farà, non dico a realizzare, ma a redigere un progetto di riforma della giustizia che sia credibile a Bruxelles e che non provochi la rivoluzione in Italia?
Non dimentichiamo che da noi i magistrati comandano più dei politici e costituiscono il potere supremo. Sono loro che hanno le chiavi delle carceri.
Potrei proseguire, ma è inutile. O l’Europa si rassegna a darci quei soldi “a gratis”, o avremo sì e no la prima tranche, sempre che a Bruxelles accettino i nostri piani di riforma e facciano finta di non sapere che non ne abbiamo mai realizzato uno.
Il nostro futuro va da un massimo ad un minimo. Se sapessimo cogliere l’occasione di questi prestiti condizionati per realizzare le grandi riforme di cui l’Italia ha bisogno da tempo immemorabile, questo sarebbe l’inverosimile, sperato momento di svolta in cui l’Italia smette la sua interminabile decadenza e prende lo slancio per una formidabile rinascita. Se invece – come temo – imbroglieremo il mondo pur di riuscire a sprecare il denaro secondo le nostre migliori tradizioni, allora avremo soltanto rinviato di qualche tempo la meritata catastrofe.
C’è proprio da essere tristi. Noi abbiamo un disperato bisogno di denaro e di un governo che sia in grado di spenderlo per rilanciare l’Italia. Di fatto, l’arrivo di quel denaro è incerto mentre già sappiamo che il governo è incapace di rilanciare l’Italia. E non perché sia guidato da Giuseppe Conte, per quanto poco io lo stimi: se avessimo Bismarck, Bismarck non caverebbe un ragno dal buco neppure lui. Perché dinanzi a quel buco stanno schierati in battaglia sessanta milioni di italiani.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
22 luglio 2020 >

L’ITALIA E LE RIFORME NECESSARIEultima modifica: 2020-07-22T08:36:01+02:00da gianni.pardo
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