IL PEGGIO VIENE DOPO IL COVID-19

Chissà quanti saranno stufi di sentir parlare del Covid-19. E tuttavia, al di là dei morti, dei disagi, dei drammi economici che ha provocato, quel piccolo virus merita riflessioni più ampie.
Forse non immaginavamo che la nostra società fosse così vulnerabile. Così dipendente da piccole cose, piccole abitudini, piccoli piaceri, come l’idea di andare a cenare in pizzeria. È sempre sembrata una cosa senza importanza, da decidere di tanto in tanto, quasi distrattamente. ma è bastato chiudere le pizzerie e i ristoranti per qualche mese, e si è visto quanta gente dipendeva, per guadagnarsi da vivere, da quel “capriccio”, da quella “decisione senza importanza”.
Il Covid-19 ha messo in luce che la prima, incompressibile necessità dell’essere umano è mangiare. La “domanda” di cibo è estremamente rigida e neanche la peste riuscirebbe a piegarla. Viceversa, tolto il cibo, di che cos’altro possiamo fare a meno? La risposta del Covid-19 è stata: “Quasi di tutto”.
Purtroppo, proprio di quel “quasi tutto” che nel momento dell’emergenza appare superfluo, vivono normalmente milioni di persone. Se per un momento si ferma la domanda del superfluo, chi del superfluo vive non sa come cavarsela. Chi produce lusso o divertimenti non consuma lusso o divertimenti, si procura un reddito col quale pagare la spesa quotidiana, la pigione, il mutuo. Se scompare il reddito, sono disperati il lavoratore interessato e tutti coloro che dipendono da lui: la sua famiglia, il padrone di casa, la banca, lo Stato. Né quest’ultimo – come invece è stato imprudentemente proclamato dall’insulso Giuseppe Conte – può mai provvedere a tutti coloro che una pandemia priva del sostentamento.
La società è capace di adattarsi ai cambiamenti ma per farlo richiede tempo. Oggi non esistono più i fabbricanti di carrozze, e neppure i vetturini, ma il passaggio dal carretto all’automobile è stato così graduale che nessuno è morto di fame e tutti hanno avuto il tempo di “riciclarsi”. Viceversa, come può sopravvivere una guida turistica sessantenne, se improvvisamente non arrivano più turisti? Per decenni era sembrato che quell’attività fosse normale, come gestire una farmacia o insegnare nelle scuole, ed improvvisamente si è visto quanto flessibile fosse quella “domanda”. Un alito di vento, e nessuno vuol più sentirsi illustrare i resti del Foro Romano, la bellezza della Cappella Sistina o il significato degli scavi di Pompei.
Queste osservazioni sono piuttosto tristi, ed è naturale che ci si chieda che conclusione bisogna trarne. La più naturale sarebbe che chiunque sappia di vivere rispondendo ad una “domanda” molto flessibile (come il pellicciaio, l’agente di viaggio o l’attrezzista teatrale) dovrebbe avere da parte un capitale di riserva, tale da poter sopravvivere un anno senza lavorare. O più precisamente cercando un’occupazione nuova, prima che si esauriscano le riserve. Purtroppo ciò è inverosimile. La maggior parte delle persone non dispone di riserve, soprattutto in un tempo in cui il risparmio non è rimunerato ed anzi è sempre a rischio furto da parte dello Stato.
Una seconda ipotesi è quella dell’assicurazione, che però si rivela subito insostenibile. L’assicurazione si fonda sul principio che gli assicurati sono cento e l’evento da indennizzare è uno, non certo il trenta o il quaranta per cento. In questo caso l’Assicurazione non indennizzerebbe nessuno, perché avrebbe incassato in premi meno di quanto le si chiederebbe in indennizzi. Che è poi la ragione per cui nessuna assicurazione assicura contro i terremoti(1).
Una terza ipotesi è che dei danni provocati dagli eventi catastrofici si faccia carico lo Stato e purtroppo anche questa soluzione è insostenibile. Lo Stato ha spesso i bilanci in bilico, e in Italia li ha anzi costantemente in deficit. Come potrebbe farsi carico di un “incidente” nazionale, che riguarda tanti milioni di danneggiati, cui non potrebbero far fronte nemmeno i Lloyds di Londra? La cassa integrazione, i sussidi, la sospensione delle imposte, sono tutti pannicelli caldi, di breve durata. Per non dire che sono controproducenti. I sussidi danno un falso sentimento di sicurezza (falso perché non durano) e la sospensione delle imposte, nel momento in cui lo Stato abbisogna di risorse maggiori del solito, è impossibile.
Comunque è inutile dire al lavoratore: “Intanto ti do io un sussidio per un paio di mesi”. Perché quell’uomo e la sua famiglia vorranno mangiare anche dopo il “paio di mesi”. La risposta giusta è: “Se hai fame, vai alla mensa dei poveri, che cercherò di sovvenzionare. E nel frattempo cercati un lavoro”.
Purtroppo in Italia dire “Cercati un lavoro” sembra una provocazione. Anzi, un’irrisione. Perché quell’invito abbia un senso, bisogna che il mercato del lavoro sia talmente libero che sia permesso retribuire una giornata di lavoro con due pasti. Se il Paese è ridotto ad occuparsi innanzi tutto del cibo, è il cibo la misura del lavoro, non il contratto collettivo. Se no avremo un cittadino che continuerà a vivere serenamente come prima, ed un cittadino che non avrà da mangiare e comincerà a pensare seriamente a qualche rapina. Naturalmente bisognerebbe tagliare anche stipendi e pensioni, in modo che tutti partecipino allo sforzo di riprendersi, senza che ci siano privilegiati col 100% del reddito normale.
Mi rendo conto che questo genere di provvedimenti sarebbe in realtà molto più complesso da come è qui indicato, ma non sarebbe male se la questione fosse seriamente studiata prima che l’evento si verifichi, in modo da avere pronti i piani per far fronte all’emergenza. Non è ammissibile che uno Stato spenda cento miliardi per rispondere al problema attuale, come abbiamo fatto noi, senza nulla prevedere per il “dopo”. Anzi, senza nulla fare per le centinaia di migliaia di imprese che non riusciranno a “riaprire”, quando si disporrà del vaccino e si tornerà alla normalità. Chiunque sia una persona ragionevole dovrebbe sudare freddo, pensando al prossimo inverno.
Ma queste sono prediche inutili, come giustamente Einaudi definì un suo scritto di economia. Perché la voce della ragione è fra le più flebili e la gente l’ascolta quando ormai è troppo tardi.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
27 luglio 2020
(1) Se qualcuno si fosse visto proporre un’assicurazione contro il terremoto, è perché pochissima gente si assicura contro i terremoti, e dunque gli assicurati non sono “tutti coloro che potrebbero richiedere una copertura assicurativa” (si pensi ai proprietari di automobili) ma un nugolo sparuto di persone molto prudenti.

IL PEGGIO VIENE DOPO IL COVID-19ultima modifica: 2020-07-28T11:12:14+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “IL PEGGIO VIENE DOPO IL COVID-19

  1. = Naturalmente bisognerebbe tagliare anche stipendi e pensioni, in modo che tutti partecipino allo sforzo di riprendersi, senza che ci siano privilegiati col 100% del reddito normale.

    Questo non è possibile giuridicamente, almeno in uno stato di diritto come il nostro, ma è possibile politicamente.
    E’ sufficiente stampare il denaro in più che serve al governo, e lasciare poi che l’inflazione faccia il suo corso.
    In tal modo nessuno perderebbe il reddito nominale, ma tutti (tutti) abbasserebbero la propria ricchiezza effettiva in misura proporzionale..
    Purtroppo l’Italia non può utilizzare questo sistema, in quanto, passando dalla Lira all’Euro, ha rinunciato completamente alla propria autonomia monetaria.

I commenti sono chiusi.