AROUET E CONTE

Ieri c’è stato un dibattito in Parlamento a proposito del sorprendente prolungamento dello stato di emergenza fino al 15 ottobre, chiesto ed ottenuto dal nostro Presidente del Consiglio dei Ministri. Giorgia Meloni, la leader del partito Fratelli d’Italia, oggi accreditato di una percentuale di intenzioni di voto non lontana da quella dei Partito Democratico, contestando l’opportunità del provvedimento (che prolunga indebitamente, a suo parere, la paralisi del Parlamento) ha detto a Giuseppe Conte il fatto suo. E dal momento che costui aveva un atteggiamento sprezzante, come chi ascoltasse una mentecatta survoltata, la Meloni, che effettivamente era indignata al di là d’ogni dire, gli ha perfino intimato di smettere di ridere, “ché proprio non c’era niente da ridere”. Ed effettivamente non c’era niente da ridere, quanto meno per l’argomento affrontato. Né avrebbe potuto permetterselo un prof.Conte qualunque. Ma l’episodio, da me intravisto in un telegiornale, si presta a ben altre considerazioni.
Giorgia Melone, come detto, è una donna dallo straordinario successo politico. Un successo che ha personalmente e faticosamente conquistato, e Dio sa quanto sia difficile, per una donna, avere successo in politica. Insomma lei è una selfmade woman, che ha serissime ragioni per essere fiera di sé. Giuseppe Conte invece è un normale professore d’università, neanche di chiara fama, che in nome della sua insignificanza e del fatto che né Salvini permetteva a Di Maio di divenire Presidente del Consiglio, né Di Maio lo permetteva a Salvini, fu scelto come uomo di paglia per occupare la sedia di Presidente del Consiglio. Infatti non bastava un cappello, come una volta nei cinema. Dunque Giuseppe Conte non ha conquistato da sé la sua carica, non ha un suo partito, non ha una forza elettorale e, a detta di tutti, rimane lì in mancanza di meglio. Un cambiamento di governo, in questo momento, fa paura a tutti, soprattutto a coloro che temono di non essere rieletti in caso di elezioni anticipate. Insomma quell’uomo è un ripiego, un segnaposto, un facente funzioni, un sostituto, un supplente.
Ma non è così che la vede lui stesso. Una volta poggiate le terga sull’onorifica poltrona, ha subito creduto che la seduta corrispondesse perfettamente alle sue auguste chiappe. E che non il caso, o l’ironia della sorte, l’avessero fatto sedere lì, ma un destino ineluttabile come quello che spinse un piccolo tenente d’artiglieria a divenire Napoleone I.
Come si spiega un simile fenomeno? Più che spiegarlo, basta osservarlo, perché non è eccezionale. Come ha giustamente sentenziato Tucidide, “nessun vincitore crede mai alla fortuna”. E ancora, il vincitore almeno la battaglia l’ha combattuta. I nobili di Francia di un tempo, invece, si sentivano superiori a tutti, trattavano tutti con arroganza e disprezzo, o con l’altra faccia della medaglia, chiamata degnazione, pur avendo l‘unico merito – se merito era – di essere figli dei loro genitori. Il semplice fatto di essere nobili per nascita gli faceva pensare che essi erano effettivamente superiori, effettivamente in diritto di essere ricchi senza lavorare, effettivamente in diritto di essere trattati diversamente dagli altri persino nel caso che avessero ammazzato qualcuno. A tal punto l’essere umano è capace di rigettare sugli altri la colpa dei propri crimini, e di attribuire a sé i meriti altrui.
Questo ci porta al nostro titolo. Qualcuno, leggendolo, si sarà chiesto: “E chi è Arouet?” Domanda sbagliata. Perché François Marie Arouet L.J. (1) anagrammando il suo cognome, è divenuto Voltaire. Mentre quel Conte, che voi credete di conoscere, fra qualche decennio sarà totalmente ignoto a tutti, salvo agli storici pignoli.
Voltaire frequentò il liceo dei nobili, fu educato come loro, e per tutta la vita frequentò nobili e sovrani. Una volta prendendo in giro un giovane nobile, ne suscitò l’ira. Lo chevalier de Rohan, non avendo altra arma, gli rinfacciò che lui era nobile, mentre Voltaire non lo era, non aveva un titolo, non aveva un nome. Insomma, era inguaribilmente un inferiore. E Voltaire gli rispose: “Mon nom, je le commence. Vous finissez le vôtre”, il mio nome io lo comincio [e lo renderò celebre] lei è l’ultimo della sua casata”. Il risultato fu che lo Chevalier de Rohan gli mandò gli sgherri a bastonarlo e, poiché Voltaire protestava troppo, il re prima lo mandò alla Bastiglia e infine lo esiliò per qualche tempo in Inghilterra. Facendo del resto un pessimo affare, perché Voltaire, predicando poi la superiorità del sistema politico inglese, fu uno degli ispiratori della Rivoluzione.
Ecco come si spiega la scenetta di cui ci hanno parlato i telegiornali. La Meloni è come Voltaire, una donna che vola con le proprie ali, e dinanzi alla quale chiunque si deve inchinare. Perché è una fuori classe. Invece Conte non è nessuno, ma è seduto su una sedia più alta di quella della Meloni e per questo si crede più in alto. Certo, chi scambia sedie e cervelli non dimostra un particolare acume ma ,finché la storia non fa giustizia, chi ha torto rimane riverito ed obbedito, chi ha ragione deve ritenersi fortunato se scampa le bastonate e l’esilio.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
30 luglio 2020
(1) François Marie Arouet L.J., le Jeune, contando la “u” per “v”, alla latina, e la “j” per semplie ”i”, dato che in latino essa non esisteva, e anagrammando il tutto, ha creato il suo pseudonimo, Voltaire),

AROUET E CONTEultima modifica: 2020-07-30T12:40:13+02:00da gianni.pardo
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