THE WASTE

Giorni fa l’“Economist” mi ha offerto una consolatoria citazione di Milton Friedman: “I say thank God for government waste. If government is doing bad things it’s only the waste that prevents the harm from being greater”. Ringrazio Dio per gli sprechi dello Stato. Se il governo fa cose cattive, è soltanto lo spreco che impedisce al danno di essere ancora più grande”. Tutto ciò personalmente l’ho sempre pensato e l’ho spesso scritto, pur sapendo di espormi alla critica di chi può rimproverarni un fanatismo anti-statale. Ma, secondo l’Economist, se io sono un pazzo, non sono il solo.
Ovviamente, quando si legge una frase paradossale non bisogna mai dimenticare che non conosciamo il contesto, e non sappiamo neppure se l’autore parlava seriamente. Anche perché una visione peggio che sconsolata della possibile azione dello Stato fa sorgere un interrogativo: perché i governanti dovrebbero danneggiare la nazione, guidando male lo Stato e sprecando ricchezza? E per questo cominciamo dal principio.
Lo Stato è un’assoluta necessità. Le strade, la polizia, l’esercito, l’amministrazione della Giustizia e tante altre cose non possiamo affidarle che allo Stato. Ed esso, per occuparsene, non può che chiedere denaro ai cittadini. Parecchie di queste benemerite istituzioni sono necessariamente tenute in vita in pura perdita. Il beneficio della scuola, ad esempio, si vede decenni dopo. E si ha la prova “a contrario”: col famoso Sessantotto si è distrutta la scuola ma il danno è stato evidente trenta o quarant’anni dopo. Quando gli alunni sono a loro volta divenuti docenti e sono saliti in cattedra. Oggi l’ignoranza dei laureati è scandalosa.
Lo Stato amministra male il Paese fondamentalmente per due ragioni. La prima è che le sue decisioni sono affidate, per la loro adozione e per la loro applicazione, ad una miriade di persone che dovrebbero agire per senso del dovere. E poiché questo senso, se non è contrario alla natura umana, è meno forte della pigrizia e dell’interesse personale, il risultato l’inefficienza. Dunque non è che lo Stato non faccia niente di buono: è che, se fa qualcosa di buono, costa il doppio di ciò che sarebbe costato a un privato, impiegando almeno il doppio del personale.
La seconda ragione per l’inefficienza statale è che, mentre per alcune funzioni si opera necessariamente in rosso, questa mentalità si estende all’intera azione dello Stato. Esso agisce costantemente senza fare calcoli economici, seguendo di volta in volta ideali più o meno fumosi. È come un figlio di famiglia che se la spassa, “tanto paga papà”. I singoli responsabili limitano le loro spese in base alle loro entrate, lo Stato può girare ad altri il conto da pagare. L’inefficienza dello Stato è dunque quasi programmatica.
Molti decenni fa Luigi Einaudi, per mettere un freno a questo malvezzo, fece introdurre in Costituzione (art.81) il principio secondo cui il parlamentare che propone una spesa dello Stato deve indicare i mezzi per farvi fronte, ma i parlamentari lo aggirano indicando fonti fantasiose di finanziamento: “il ricupero dell’evasione fiscale” o l’aumento del gettito fiscale che (dicono loro) produrrà lo stesso provvedimento di spesa. Come dire il benevolo intervento di Babbo Natale. Non si tratta di corruzione (c’è anche quella) quanto del fatto che la politica si nutre di ideali monetizzabili in voti, con totale disinteresse dei costi. Quando lo Stato pensa di intervenire nell’industria non si preoccupa di sapere se l’impresa andrà in nero o in rosso, ma quanti posti di lavoro richiederà e quale vantaggio ne possono ricavare i politici. Solo questo spiega la scandalosa sopravvivenza dell’Alitalia.
Queste considerazioni risolvono anche la vecchia querelle tra destra e sinistra. Anche ammettendo che gli ideali della sinistra siano più belli di quelli della destra, dal momento che lo Stato agisce sempre con costi esorbitanti, i costoi di qualunque iniziativa sono superiori ai ricavi. Con sostanziale distruzione di ricchezza. Qualunque dipendente privato produce quanto tre o quattro impiegati dello Stato. E questo perché, diversamente, rischia il licenziamento. Nell’Amministrazione dello Stato tutto ciò è impensabile.
Né Milton Friedman né io odiamo lo Stato. Ci limitiamo a vederlo com’è. E al riguardo faccio un paragone irriverente. Ammettiamo che un uomo abbia un figlio psicolabile che è un cuor d’oro. È sempre pronto a dare una mano e a togliersi i vestiti di dosso se vede qualcuno che ha freddo. È buono come San Francesco e innocente come un bambino di tre anni. Ma una volta che il padre gli ha dato la lista della spesa e il denaro per gli acquisti è tornato a casa senza un soldo e senza niente nella sporta. Aveva dato tutto ai mendicanti. Il padre, sapendo che “non ha tutta la sua testa”, l’ha perdonato ma certo non lo incaricherà mai più di fare la spesa.
Se sprecare è nella natura dello Stato, l’unico rimedio è quello di affidargli la minima quantità possibile di incarichi. È la lezione che ci ha dato il comunismo. Anche se la teoria economica di Marx fosse giusta, di fatto provoca miseria: gli uomini infatti producono diversamente quando lavorano per sé stessi o per lo Stato. L’Unione Sovietica ha vinto la guerra contro Hitler, ma l’ha perduta contro l’economia classica. Così, ogni volta che lo Stato progetta di intervenire nell’economia, bisognerebbe sempre gridargli un corale “No!”. È questo che voleva dire Friedman.
La ricchezza non è il risultato di una legge, ma dell’attività dei singoli. Dunque il primo problema non è quello della sua distribuzione ma quello della sua produzione. Ed è per questo che i Paesi più prosperi non sono quelli più preoccupati di giustizia sociale (come l’Italia) ma quelli che si preoccupano soprattutto di non intralciare la produzione di ricchezza (come la Svizzera). Se se ne produce molta, prima o poi ne godranno tutti. Se invece se ne produce poca, seppure in nome dei massimi ideali, il risultato è la miseria generalizzata.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com

THE WASTEultima modifica: 2020-12-28T12:23:03+01:00da gianni.pardo
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