EUFORIA DA DEFICIT

La tendenza al deficit è una costante italiana. Non per caso Einaudi insistette, durante i lavori della Costituente, perché nella legge fondamentale fosse inserito il dovere di indicare, per ogni proposta di spesa, il modo di farvi fronte (art.81). Naturalmente senza concludere nulla, come si è visto nei successivi settantatré anni. Ora, in occasione della pandemia, avendo qualche sventato affermato che in una simile occasione non si può badare a spese, siamo addirittura arrivati all’“euforia da deficit” (copyright di Carlo Cottarelli).
Il riferimento alla pandemia, come scusante, è meno valido di quel che non si creda. Se, per cercare di guarire dal cancro, devo spendere tanto da vendere la mia casa, potrò farlo, e magari dovrò farlo, se la casa è mia. Ma il mio cancro non mi autorizza, se non ho una casa da vendere, a divenire un ladro, un ricattatore o un assassino. E infatti la maggior parte dei malati di cancro non per questo si mette a delinquere. Dunque spendere sì, ma l’assoluto minimo, senza lasciarsi andare alla totale spensieratezza che ci ha già fatto spendere centoquaranta miliardi o giù di lì, soltanto in sussidi. E infatti non abbiamo programmato nulla per i mesi futuri, con un’ebbrezza spendereccia da marinai ubriachi. L’articolo di Cassese che trovate in calce è al riguardo prezioso.
L’Italia è un Paese irrazionale. Con la pandemia ha creduto di avere ricevuto l’autorizzazione a spendere il denaro che non ha, un po’ come uno scemo che si mettesse a rubare perché gli hanno detto che è stato abolito il reato di furto. Dimenticando che non è stata però abolita la fucilata del derubato, che potrebbe farlo secco. Ciò che deve frenare il prodigo non è la mancanza di un’autorizzazione a spendere, ma le conseguenze delle spese nel proprio futuro, sia che provi a rimborsare i debiti, sia che non ci provi neppure.
La pandemia non equivale all’accollo di un terzo. Non basta distinguere i “debiti fatti per follia”, da quelli “fatti per necessità”, perché sempre debito sono. E non basta battezzarli diversamente.
Gli assatanati del debito, oltre alla pandemia, hanno comunque avuto un’altra fortuna. Alcuni economisti, per giustificare anche “scientificamente” la tendenza a spendere come se il giorno del giudizio non dovesse arrivare mai, hanno creato la Modern Money Theory, MMT. Questi studiosi tentano la quadratura del cerchio affermando che si può spendere indefinitamente senza aver prima guadagnato, e senza potere rimborsare il debito. I privati cittadini questo non possono farlo, ma gli Stati sì, sostengono.
Ho provato a capire questa tesi e non ce l’ho fatta. È troppo tecnica per i miei livelli di conoscenza. Ma se coloro che l’hanno formulata sono dei competenti, è anche vero che moltissimi economisti, ai massimi livelli, altrettanto competenti se non più, la considerano falsa e farlocca. La cosa non mi meraviglia. In materia di macroeconomia gli economisti dissentono da sempre. Diversamente il marxismo economico non sarebbe nato. Dunque prescindo dalle technicalities ed esamino la MMT dall’esterno. Partendo nientemeno da Kant.
Le verità si distinguono in “a priori” (non “appriori”, è latino) e “a posteriori” (non apposteriori). A priori sono quelle che sono verità anche prescindendo dall’esperienza, se diamo un certo significato alle parole. Per esempio, un triangolo non può avere quattro lati. Se gliene aggiungiamo uno non sarà un triangolo con quattro lati ma un quadrangolo. Viceversa le affermazioni a posteriori possono essere vere o false. Io posso avere uno zio che si chiama Filippo, e posso anche non averlo, senza che nessuna delle due affermazioni sia assurda. Il triangolo con quattro lati è un assurdo, mentre né l’esistenza né l’inesistenza di mio zio sono un assurdo.
Il debito, per definizione, è “il dovuto”. Se mi regalano diecimila euro, non ho nessun obbligo nei confronti del donatore, se non quello della gratitudine. Se invece mi prestano diecimila euro, prima o poi quel denaro glielo devo ridare. Dunque un trasferimento di denaro che non si deve restituire può benissimo aversi, ma si chiama regalo, non debito. Il debito, per definizione, va restituito.
Naturalmente è anche vero, come sostiene la MMT, che nessuno può costringere uno Stato a pagare. Ma, se questa è una verità, non è tutta la verità. E comunque la teoria è entrata in contraddizione con sé stessa. Se lo Stato contava di restituire quel debito, e non l’ha fatto, ciò non trova giustificazione nella MMT: infatti il debito, per definizione, va restituito. Se invece la restituzione non era nelle sue intenzioni, non si tratta di un debito ma di qualche altra cosa, riguardo alla quale la teoria del MMT (che riguarda i debiti) non dimostra nulla. Rimane soltanto da capire che cos’è questa “altra cosa”.
Se uno Stato stampa puramente e semplicemente molta più cartamoneta di quella necessaria alla vita normale della nazione, si ha inflazione. E il riferimento alla cartamoneta è necessario, in quanto in regime di circolazione aurea (gold standard) l’inflazione è impossibile. La quantità dell’oro è un limite invalicabile mentre, essendo la cartamoneta carta, lo Stato può stamparne quanta ne vuole. Ma ciò facendo, come potere d’acquisto, la moneta fittizia varrà sempre meno. Se lo Stato stampa il doppio di fintemonete, ciò che prima costava duecento fintemonete costerà quattrocento fintemonete. E questa inflazione, mentre premia i primi prenditori delle nuove fintemonete (perché possono spenderle mentre ancora i prezzi non sono aumentati) danneggia i creditori e i percettori di redditi fissi, che si ritroveranno in possesso di fintemonete con un minore potere d’acquisto. L’inflazione non è indolore, soprattutto per i soggetti economicamente più deboli.
E qui ci avviciniamo alla MMT. Lo Stato può realizzare l’inflazione in due modi. Il primo – l’abbiamo appena visto – è la stampa di nuove fintemonete. Il secondo è il caso dello Stato che offre dei titoli (pezzi di carta) ai risparmiatori, agli investitori, o alle stesse banche, promettendo la restituzione di quel denaro, con l’intenzione di non farlo mai, e così potendo spendere a volontà. Sembra l’uovo di Colombo ma, se cadono a terra, le uova si rompono.
Il sistema si regge finché i risparmiatori, gli investitori e le banche si fidano dello Stato e comprano i suoi titoli. Ed anche se è vero che lo Stato può imporre questo acquisto alle banche nazionali e perfino ai privati, non può imporlo agli investitori esteri. Con conseguenze catastrofiche. Inoltre non si può imporre la propria moneta nei mercati internazionali, e se i venditori non si fidano delle fintemonete di uno Stato, chiederanno il pagamento in monete forti. Oppure oro, un metallo incapace di imbrogliare il prossimo. Se poi lo Stato non emetterà nuovi titoli (perché nessuno li compra) e non rimborserà quelli in scadenza, l’insolvenza si chiamerà default, cioè fallimento.
Ora ammettiamo che un’economia operi in vaso chiuso e, per far piacere alla MMT, ammettiamo che uno Stato venda i suoi titoli esclusivamente ai propri cittadini, cui può imporre qualunque cosa. Più o meno come avviene in Giappone. In questo caso è vero che il default è escluso, potendosi stampare cartamoneta all’infinito, ma non è esclusa l’inflazione. Infatti, se c’è una crisi di fiducia, non soltanto i risparmiatori non compreranno i nuovi titoli, ma correranno a convertire i loro titoli scaduti o a scadere in denaro sonante e beni, a costo di svenderli, realizzando il paradigma della legge di Gresham. Cioè, anche in vaso chiuso, lo Stato non potrà evitare l’inflazione. Il risultato sarà fatalmente che aumenterà in modo esponenziale il circolante. Se si emette troppa moneta (anche l’emissione di titoli per effettuare delle spese è stampa di moneta) l’inflazione si potrà ritardare, non eliminare. Essa sarà iscritta nel Dna del Paese come la morte in tutti gli esseri umani.
La verità è che contrarre debiti, chiunque lo faccia, è la premessa di inevitabili guai. Lo Stato può non pagare i suoi debiti, ma non può evitare l’inflazione o il fallimento. Niente di raccomandabile.
Nemo dat quod non habet, nessuno può dare quello che non ha. La teoria del MMT somiglia a uno di quei giochi intellettuali che sembrano brillanti ma incantano soltanto i gonzi, come la catena di S.Antonio. La vittima ci sarà comunque.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com

In Italia esiste una “euforia” da deficit (copyright Carlo Cottarelli, su “Repubblica” del 24 dicembre) e Sabino Cassese (sul “Corriere” del 29 dicembre) conferma il fenomeno parlando del bilancio di previsione dello Stato italiano per il 2021. L’articolo è imperdibile.
Il bilancio di previsione dello Stato italiano per il 2021, che il Senato è stato chiamato a ratificare in quattro giorni, è la sagra del corporativismo. 450 pagine (senza contare le tabelle), 20 articoli, il primo suddiviso in 1.150 commi, è solo formalmente un provvedimento unitario. Vi dominano il settorialismo e la non-pianificazione. L’Ufficio parlamentare di bilancio l’ha definito un coacervo di misure senza un disegno, un collage di interventi pubblici di favore. È il frutto di «euforia da deficit» (Carlo Cottarelli, Repubblica, 24 dicembre): infatti, per 24,6 miliardi è finanziato in deficit.

Inoltre porta il disavanzo complessivo al 10,8 per cento e il debito al 158 per cento del Prodotto interno lordo. Questo repertorio indigesto di norme definisce la complessa nozione di «ristorante italiano», nonché il difficile concetto di «preparazione alimentare», e istituisce la «Conferenza nazionale – Stati generali della ristorazione italiana nel mondo», spingendosi a regolare e finanziare cori, bande e musica jazz, corsi di «formazione turistica esperienziale», recupero della fauna selvatica, veicoli di interesse storico e collezionistico, bonus idrico, l’ottavo centenario della prima rappresentazione del presepe, il voucher per occhiali da vista, fino al «piano nazionale demenze». Persino il ministro dell’economia e delle finanze ha riconosciuto che si tratta di spese «troppo settoriali e specifiche» (voleva forse dire inutili e avrebbe dovuto dire illegittime, perché inserite nella legge di bilancio). Gli autori non hanno, evidentemente, avuto paura del ridicolo. Ma c’è di molto peggio, come la moltiplicazione di uffici dirigenziali, l’assunzione di nuovo personale nei ministeri e di idonei non vincitori di concorsi e di lavoratori «socialmente utili», purché abbiano superato la sola scuola dell’obbligo (provvedimenti accolti con entusiasmo dal M5S, che poi lamenta l a scarsa qualità della pubblica amministrazione), decine di elargizioni e mance, la istituzione di molti fondi e la previsione di finanziamenti fino al 2036, così parcellizzando il bilancio e irrigidendolo. Questo fritto misto è poi scritto in modo difficilmente comprensibile: ad esempio, sono numerosi i periodi che contengono sei o più rinvii ad altre leggi. Chi l’ha redatto, forse per evitare di doversi vergognare, si è nascosto dietro i peggiori arzigogoli normativi. Come si è potuto arrivare a tanto? Il governo è partito, in ritardo di un mese, con una proposta zeppa di mance (229 articoli). Le opposizioni hanno proposto 250 emendamenti. La Ragioneria, con 34 pagine di rilievi, ne ha bocciati 80. Ma la legge di bilancio è passata tra gli scogli di un rimpasto e quelli di una crisi (il M5S non ha votato il rinnovo del contratto di programma sulla Tav, passato con il voto dell’opposizione). Secondo una consuetudine, vi erano «risorse assegnate alla gestione parlamentare» (Luigi Marattin, presidente della Commissione finanze della Camera dei deputati, Il Foglio, 16 dicembre), quelle usate dai governi per tacitare le voci più critiche delle opposizioni. Da 800 milioni, queste sono lievitate a 4,6 miliardi, con cui il governo ha comprato la benevola neutralità dei parlamentari (anche) di opposizione. Il relatore di maggioranza ha parlato di «proficua triangolazione istituzionale tra maggioranza, opposizione e governo». Il leader della Lega ha esultato: «seppure all’opposizione, il centrodestra ha ottenuto misure per 10 miliardi» (Corriere della Sera, 22 dicembre). Così l’opposizione «non è stata pregiudizialmente contraria»: «ci siamo confrontati rispettandoci», ha detto in Parlamento un autorevole deputato di opposizione. Le proposte di quest’ultima, salvo gli interventi per lavoro autonomo, digitalizzazione, emergenze, sono state «frammentate in piccoli interventi di qualche milione di euro, per rinsaldare l’unico meccanismo di selezione che conti, un bacino elettorale (territoriale o settoriale) in grado di garantire la rielezione» (così il presidente della Commissione finanze della Camera, già citato). Insomma, la maggioranza, divisa al suo interno, ha superato il potere di interdizione delle opposizioni accattivandosele con la distribuzione di risorse destinate alle loro constituencies, ma a spese della collettività e di coloro che, in particolare, dovranno pagare domani, con le tasse, il peso del debito aggiuntivo. Ora, il dialogo governo-opposizioni è utile, anzi necessario, ma non se si svolge a danno del Paese, che ne paga il costo. Come ha dichiarato il vice ministro dell’economia Misiani, le risorse a disposizione delle opposizioni non erano mai tanto lievitate come quest’anno. Il bilancio 2021 accolla alle generazioni future un debito aggiuntivo, acceso per finanziare in larga misura spese correnti, senza lasciare, a loro beneficio, almeno una dotazione di beni in conto capitale (scuole, ospedali, verde attrezzato, linee ferroviarie, uffici pubblici meno decrepiti). Tutte queste elargizioni si aggiungono ai numerosi «Decreti ristori» e alle ulteriori spese del «Milleproroghe» e graveranno su anni dopo il 2022 (o il 2023), quando finirà la sospensione dei vincoli del patto di stabilità. Come si spiega questa apoteosi del corporativismo in salsa populista? La chiave l’ha fornita qualche anno fa il nostro maggior sociologo, Alessandro Pizzorno, riprendendo da Bagehot la metafora del teatro, sul cui palcoscenico si svolge la funzione gladiatoria dei partiti e prevale la politica simbolica, mentre dietro le quinte agiscono gli interessi concreti e isoggetti che ne sostengono le domande, brokers, lobbies e organizzazioni di categorie, in un circuito coperto, dominato dagli interessi a breve termine. Insomma, il contrario di un discorso politico aperto.
Sabino Cassese

EUFORIA DA DEFICITultima modifica: 2020-12-30T09:56:18+01:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “EUFORIA DA DEFICIT

  1. Perché il Corrierone è per definizione governativo (che conto presenterà Cairo a Conte?), perché il Prof. (?) Cassese vuole continuare a scriverci, e perché Salvini è brutto e cattivo, “a prescindere”. In fede, SE&O.

  2. Un cordiale saluto dall´Austria ad un goldbug che ha scritto un ottimo articolo. Mi chiedo quanti italiani conoscano il termine Fiat Money. Per capire il comportamento dell´opposizione si può studiarlo nella “Legge ferrea dell´oligarchia” di Robert Michels. Le conseguenze sono inevitabili, anche se nessuno possiede la sfera di cristallo per poter dire quando avveranno. A questo proposito consiglio la lettura di “The collapse of complex societies” di Joseph Tainter.

  3. Non sapevo di essere un goldbug. Comunque, sempre meglio essere un goldbug, che un falsario, come tutti i governi, dopo che si è abbandonato il gold standard.

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