IL PRESENTE A FISARMONICA

Nessuno è immortale. Si può morire da giovani, si può morire da vecchi, ma nessuno sfugge alla morte. Queste parole, che sembrano il colmo dell’ovvietà, nella natura sono un’eccezione. Soltanto l’uomo sa di dover morire. Tutti gli altri esseri, anche ad assistere alla morte di un congenere, non ne deducono che toccherà anche a loro. Sicché l’uomo è l’unico che sa di essere mortale.
Con questa coscienza non è detto che facciamo un affare. Infatti la mancata nozione del nostro comune e infame destino rende gli animali spensierati e, per così dire, immortali. Del resto, neanche noi esseri umani abbiamo una uguale consapevolezza della nostra condizione. I giovani, per esempio, ne hanno sentito parlare, ma credono che la cosa riguardi gli altri. Sia insomma tanto lontana dal loro presente che non valga la pena di occuparsene. Morire è compito dei vecchi. Per questo si sentono immortali, non temono i pericoli, ed hanno perfino tendenza a non chiedersi in che modo si procureranno da vivere a quarant’anni. La teoria è che bisogna lavorare, per vivere, ma in realtà essi vivono senza lavorare, essendo alloggiati, nutriti, e amati dai loro genitori.
La percezione del presente è una variabile. Per il bambino è semplicemente puntuale; per l’adulto spazia sulle settimane e i mesi; per il pensatore infine si allarga ai secoli. Lo storico che vede una ragazza in minigonna pensa che nell’ ‘800 avrebbe destato scandalo, ma anche noi ci scandalizzeremmo se vedessimo gli atleti gareggiare nudi, cosa che i greci trovavano normalissima. Ed ecco che l’episodio minimo si allarga a dismisura nel tempo. Come potrebbe un simile uomo non pensare alla propria morte? Quand’anche essa fosse probabile venti o trent’anni dopo, che cos’è questo lasso di tempo, nella storia?
Ricordo un vecchio intercalare dei siciliani anziani. Ogni volta che so parlava di un progetto futuro, aggiungevano l’inevitabile “Se ci campiamo”. Ragazzo, trovavo la cosa insulsa, e invece era forse l’eco di una precarietà dell’esistenza, che allora era èiù evidente di oggi. Del resto mia madre, abbastanza in buona salute per andare in crociera da sola, ne tornò dentro una cassa. Risparmiandosi l’angoscia del vedersi morire.
Non ci si crederà, ma tutte queste funeree considerazioni nascono dalla volontà di “scrivere finalmente un articolo ottimistico”. Purtroppo il buon proposito si è subito scontrato con un’ovvietà: ottimista è chi non pensa al futuro. La cicala della favola sarebbe stata ottimista se, all’inizio dell’inverso, si fosse accorta di non avere messo da parte nessuna provvista?
In questo noi italiani siamo dei campioni. Mussolini entrò in guerra contro la Francia perché nelle due o tre settimane precedenti sembrava che la Francia avesse perso la guerra e con essa tutte le potenze che si opponevano a Hitler. E perché la Spagna, dopo aver subito il tragico salasso della Guerra Civile, evitò quello della Seconda Guerra Mondiale? Perché nessuno, nemmeno Hitler personalmente, riuscì a piegare la diffidenza di Franco nei confronti di una facile vittoria. Decisione per la quale il mondo occidentale, e ovviamente in primo luogo la stessa Spagna, dovrebbero eternamente dire grazie a Franco. Invece lo stramaledicono come dittatore. In realtà, la dittatura è un pessimo regime, ma non tutti i dittatori sono uguali.
Franco era presbite, Mussolini miope. E la sua miopia sembra un malanno nazionale, se consideriamo il presente. Le nubi si addensano sul nostro futuro e tutti credono di scansarle con un po’ d’ottimismo e un’alzata di spalle. Le ammonizioni dei vecchi non nascono dal piacere di avvelenare la vita dei giovani, quanto dalla disperazione di vederli avviare cantando verso il fronte.
Anche in questi giorni abbiamo un patente esempio di insufficiente percezione della realtà. Gli ebrei, dopo la Shoah, hanno imparato che il peggio non è impensabile, e men che meno impossibile. Per questo, pur di sopravvivere, impongono per due o tre anni a tutti, uomini e donne, il servizio militare. Un fischio e milioni di israeliani si trasformano da civili in guerrieri. È questa la ragione per la quale Israele è ancora lì. E non basta. Noi – oggi due gennaio 2021 – abbiamo vaccinato 45,000 italiani su sessanta milioni, gli israeliani un milione di connazionali su nove. Se le cose si mettessero male, sopravvivrebbero percentualmente più israeliani o più italiani?
Noi non abbiamo subito la Shoah, ma non abbiamo nemmeno avuto in dono il buonsenso. Continuiamo a credere che “tutto si aggiusterà”, “tutto andrà bene”, “una soluzione si troverà” , sia per la pandemia sia per la miseria economica.
L’Italia intera mi ricorda una barzelletta. Un napoletano era devoto di S.Gennaro e andava a pregarlo tutti i giorni. Gli faceva sempre presente quanto era povero, quanto aveva bisogno di denaro, quanto avesse bisogno di vincere alla lotteria. “San Genna’ – gli diceva – ne fanno ‘n sacche de lotterie. Cente, mille estrazioni, e ie nun vinche maie, maie, maie!” Finché un giorno San Gennario si stancò e gli rispose: “Ma tu, figlie mie, u bligliette, ogni tante, o potreste accatta’!”
Ecco: noi non compriamo neppure il biglietto.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
03/01/2021

IL PRESENTE A FISARMONICAultima modifica: 2021-01-03T12:10:01+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “IL PRESENTE A FISARMONICA

  1. Versione corretta dal mio amico Ciro, napoletajno, e malauguratamente finita nel cestino.
    :San gennà-n’ ce diceva-ne fanno nu sacc’ e lotterie, ciente,mille estrazioni, ed je nun vence maje,maje,maje!”.Finchè nu juorno San Gennaro se stancaje e rispunnette. Ma tu, figliu mie,nu biglietto, ogni tant’, o putisse accattà !”.

I commenti sono chiusi.