UNA CRISI GLOBALE

Qualche tempo fa ho letto un libro straordinariamente noioso che trattava della storia degli imperatori romani(1). Naturalmente, per parlare di tutti loro, spesso ad ognuno era dedicata una pagina o due. Il risultato è stato comunque deprimente. Il grande Impero Romano – uno dei fenomeni più importanti per la storia dell’umanità – era ridotto a una lotta di bande rivali. Fra alleanze, tradimenti, congiure, assassinii, in un turbinio in cui si scendeva ogni giorno un gradino di più, nella scala della decadenza. Fino all’inevitabile conclusione.
Con la prospettiva storica, quel periodo è visto con gli occhi di chi, nel percorso di un solo libro, passa da Cesare Augusto a Romolo Augustolo. Ma per chi ha vissuto allora i regolamentari settant’anni (quando andava bene) quel tempo sarà sembrato interminabile. Lo spettatore pensieroso avrà esitato fra un ottimismo ingiustificato (“L’Impero non crollerà mai”) e un pessimismo disperato (“Speriamo che crolli tutto al più presto, peggio di così non potrebbe andare”).
Ma il tempo aveva un suo ritmo che superava largamente l’arco di una vita umana. L’Impero era così grande, così vecchio, così stimato, che non poteva finire di botto. La tassonomia animale insegna che più una bestia è grossa, e più a lungo vive. E così chi è nato, poniamo, nel 350 d.C., ed è vissuto fino agli inizi del quinto secolo, non soltanto non ha potuto sapere se e quando l’Impero sarebbe finito, né che cosa l’avrebbe seguito.
Scrivo queste cose perché, contemplando il presente, ho la stessa sensazione e lo stesso rimpianto. Sono immerso fino al collo nel mio tempo, e non trovo il libro in cui leggere il seguito.
L’episodio saliente di chi ha la mia età è la Seconda Guerra Mondiale. Questo scontro tremendo ha rappresentato per l’intera umanità una lezione ineludibile: non soltanto abbiamo imparato che la guerra è da evitare ad ogni costo, ma soprattutto che non c’è neanche uno scopo per cui combattere. Non c’è niente da cambiare, niente da conquistare, niente di meglio che “coltivare il nostro giardino”, come avrebbe detto Voltaire.
Così sono diventati dogmi giustamente intoccabili la democrazia, l’economia di mercato, le libertà civili e, in una parola, il nostro modello di vita. Abbiamo cambiato l’aspetto e le prestazioni dei telefoni, delle lampadine e delle automobili, ma la società non è minimamente cambiata nel suo fondo. Fukuyama ha parlato di “fine della storia” perché era morto il comunismo, ma forse il comunismo è soltanto sopravvissuto a sé stesso, dopo la Seconda Guerra Mondiale. I sovietici – come poi si è visto – non anelavano che a smettere anche loro di essere comunisti e a partecipare alla vita europea.
Noi non abbiamo avuto soltanto settantacinque anni di pace, noi abbiamo avuto una stasi nello sviluppo storico. Non abbiamo più inventato niente dal punto di vista religioso, sociale, politico ed economico. Abbiamo soltanto amministrato l’esistente, sperando che durasse. Mentre divenivamo sempre più scettici, in tutte le direzioni.
Il Cristianesimo, qualcosa in cui praticamente nessuno crede più, è divenuto una patina superficiale sulla società. La politica è sommersa da un più o meno taciuto disprezzo. L’economia, morto il marxismo, non ha avuto alternativa. La stessa venerazione per Keynes, pur non smentita in teoria, è stata troppo spesso smentita dalla realtà. Insomma, tutti i capisaldi di una società immobile e inamovibile hanno cominciato a mostrare i loro limiti. E tutti sono stati sempre più scontenti del loro modello di società. Le colonne portanti non sono, come i monumenti romani, di marmo, ma di legno. Senza dire che, se anche fossero di marmo, non basterebbero ad assicurare vita eterna a un modello perento.
Poi è arrivato il momento in cui una Terra opulenta come non era mai stata ha ciò malgrado cominciato a spendere più di quanto incassava, indebitandosi fino al collo. E questo dai Paesi più ricchi e sviluppati, come l Giappone e gli Stati Uniti, fino alle piccole satrapie dell’Africa Nera. Ovviamente, non potendosi indebitare con Marte o Saturno, la Terra si è indebitata con sé stessa, ma non per questo il regolamento di conti, quando ci sarà, sarà meno doloroso. Sia per i debitori, sia per i creditori.
E che modello di società avremo, allora, dal punto di vista economico? Tanta gente è scontenta della democrazia, ma qualcuno riesce ad immaginare qualcosa di meglio? E nel dubbio, saremo abbastanza saggi da tenerci il meno peggio che c’è?
Tutti interrogativi di cui non avrò la risposta. Ma chi oggi ha vent’anni un giorno farebbe bene a ricordarsi che qualcuno, fra coloro che sono nati prima, ha intravisto le nubi che sul momento gli stanno rovesciando addosso il fortunale.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
26 febbraio 2021
(1) “Gli Imperatori Romani”, di Michael Grant, Il Giornale, Biblioteca Storica, 2005 Newton Compton. 436 pagine.

UNA CRISI GLOBALEultima modifica: 2021-03-01T09:58:23+01:00da gianni.pardo
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