GianniP

UNA SOLA DOMANDA A FINI: A’ VENDRE?

Il punto giuridico centrale della vicenda della casa di Montecarlo è il vero prezzo al quale è stata venduta. Questo è ciò che chiede la rogatoria della Procura della Repubblica e questo è il punto su cui bisogna ragionare, lasciando da parte i problemi secondari.
Quella casa, ci fa notare Gianfranco Fini, era un bene privato posseduto da un privato. Giustissimo. Infatti, se fosse appartenuta a lui o a Giancarlo Tulliani, avrebbero potuto farne ciò che volevano. Anche regalarla. Invece apparteneva ad una società e gli amministratori sono tenuti alla diligenza del bonus pater familias. Se violano questo dovere, anche in buona fede, possono essere chiamati a risponderne in sede civile.
Ma le cose vanno peggio – e si passa al diritto penale – nel caso si agisca in malafede: se si vende apparentemente a 300.000 € e in realtà, per dire, a un milione e mezzo, intascando la differenza, oppure se si svende ad un amico per favorirlo, si tratta di truffa. La legge non distingue i due casi: commette il reato chi “procura a sé o ad altri un ingiusto profitto” (art.640). Inoltre, fatta salva la diversa legislazione monegasca o francese, non si vede come si possa evitare il reato di evasione fiscale, riguardo all’eventuale maggiore somma.
È dunque inutile che Fini sottolinei puntigliosamente la natura privata del bene: non è che rubare allo Stato sia brutto e rubare ad un partito politico sia commendevole.
Ma è possibile che Tulliani, Pontone e gli altri reputassero in buona fede che l’appartamento non valeva più di 300.000 €? Non sembra.
Fini afferma (punto 3) che An non ha ricevuto proposte di acquisto. In questo è smentito fra gli altri dal senatore Antonino Caruso, allora di An, il quale afferma di avere ricevuto al momento dell’eredità, per tramite del notaio Aureglia (lo stesso che poi redigerà l’atto di vendita nel 2008), un’offerta di acquisto per un milione di euro. Un’offerta che An rifiutò ma che sarebbe comunque potuta servire come valutazione dell’appartamento.
In realtà non c’è bisogno di nessuna testimonianza. Tutti questi discorsi sono superati dall’evidenza della vita quotidiana. Chi vuole vendere una casa non aspetta l’iniziativa di un Tulliani, si rivolge ad un’agenzia immobiliare o, quanto meno, mette un cartello: “À vendre”.
Quel pezzo di cartone con su scritto “Si vende” può fare miracoli e non costa nemmeno caro. Come mai nessuno, né Fini, né Tulliani né nessun altro sono ricorsi a questo straordinario, furbissimo espediente? Il cartello si può comprare nella più scalcinata delle cartolerie.
Fini invece parla della proposta di Tulliani come se l’appartamento fosse stato alla periferia di Ceccano, facesse veramente schifo e lui avesse cercato inutilmente di venderlo da dieci anni. “Finalmente all’orizzonte c’è un compratore, non ci lasciamo sfuggire l’occasione, con 300.000 € ci ricopre d’oro!” Bisogna proprio essere d’una ingenuità addirittura infantile, in materia di immobili, per credere a tutto questo.
Qualcuno, per dimostrare la buona fede di Fini, ha sostenuto che la valutazione iniziale dell’appartamento (450.000.000 di lire, 232.000 €) fu per così dire indiscutibile in quanto effettuata da un’autorità ufficiale: un notaio. Chi ha scritto questo probabilmente ignorava che in Francia – cosa strabiliante per noi italiani – questi professionisti agiscono da agenzie immobiliari. Se uno vuole vendere o comprare una casa, soprattutto nei piccoli centri, si rivolge a loro. In Italia una cosa del genere è impensabile ma ogni Paese ha le sue abitudini. Dunque il notaio non ha certificato nulla con la sua autorità di funzionario dello Stato. Del resto Fini non ha affatto sostenuto niente del genere. Infatti ha scritto, al punto uno, “La stima fu fatta dalla società che amministra il condominio”. E naturalmente la valutazione di una società che amministra un condominio non è certo vangelo.
Un articolo del Corriere della Sera (1) spiega in lungo e in largo che il Senatore Pontone aveva tutti i possibili poteri, per amministrare il patrimonio di An. Dunque teoricamente Gianfranco Fini, scaricandosi di ogni responsabilità, avrebbe potuto scrivere di non avere saputo assolutamente niente dell’alienazione. Invece ha scritto: “autorizzai il Sen. Pontone alla vendita come accaduto altre volte in casi analoghi”.  Sembra un’ammissione leale e coraggiosa ma dal momento che quella breve dichiarazione è stata redatta e firmata in collaborazione con l’avv. Giulia Bongiorno, essa significa soltanto che Fini si è reso conto di non poter negare la circostanza. O perché il sen.Pontone, interrogato dai giudici, direbbe tutta la verità, o perché ci sono troppi testimoni. Fini ha soltanto avuto l’intelligenza di non negare l’innegabile.
Se la sua difesa non va oltre quello che abbiamo visto, la situazione è disperata.
An non ha fatto nulla per vendere un appartamento al prezzo di mercato. Poi l’ha ceduto ad un acquirente misterioso, una delle famigerate e stramaledette società off-shore, e infine esso è finito nella disponibilità del “quasi cognato”. Già se Fini avesse venduto la casa al Tulliani per un milione di euro si sarebbero formulati dei sospetti: perché un milione e non un milione e mezzo? Ma qui si è andati oltre: l’appartamento è stato svenduto in modo che alla fine potesse abitarci Giancarlo. Gli otto punti non chiariscono assolutamente niente, al riguardo.
Insomma a Fini basta porre una sola domanda: “Perché non ha messo il cartello À vendre?”
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
10 agosto 2010
(1)http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=TB2JW

UNA SOLA DOMANDA A FINI: A’ VENDRE?ultima modifica: 2010-08-10T15:11:59+02:00da
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