GianniP

QUELLO CHE DICE GIANCARLO TULLIANI

In un articolo di oggi, sul Corriere della Sera (1), Fiorenza Sarzanini racconta in lungo e in largo come si è svolta la preparazione delle dichiarazioni di Fini. Riferisce quali avvocati erano presenti, parla degli interventi di Giancarlo ed Elisabetta Tulliani, e scrive come se, durante tutte quelle ore, fosse stata appollaiata sul lampadario.
Molti, nella nostra ingenuità di provinciali, ci chiediamo che cosa pensare. Da un lato è impossibile che ciò che avviene nel chiuso delle stanze più segrete, e nelle occasioni più importanti, sia poi riferito passo passo dai giornali; dall’altro simili resoconti sono pubblicati da quotidiani autorevoli come il Corriere e gli interessati non smentiscono: sicché queste cronache non sono né vere né false. Non sono vere perché inverosimili, non sono false perché non smentite. E allora articoli del genere sono utili solo per giocare.
Divertiamoci, dunque: e se ciò che dice Giancarlo Tulliani fosse vero, se cioè lui non fosse il proprietario dell’appartamento di Montecarlo?
La prima cosa da dire è che il giovane non può in nessun modo provare il proprio assunto. Posso dimostrare una cosa in positivo (questa cosa è mia) non in negativo (questa cosa non è mia); se proprio voglio provare questa seconda affermazione, posso solo dimostrare, in positivo, che appartiene ad un altro. Purtroppo, in questo caso, ciò che riguarda l’immobile sta scritto nei registri (segreti) di Santa Lucia e, accidenti! le autorità di quel Paese hanno dichiarato proprio il contrario: è Tulliani è il proprietario della Timara Ltd. Da quel lato non gli può venire un aiuto e dunque bene ha fatto Fini a non avallare le sue affermazioni. Avrebbe rischiato di dare del bugiardo al ministro di un altro Paese, rischiando per giunta di essere smentito documentalmente.
E se il giovane non è il proprietario, perché non ha parlato prima con i giornalisti, facendo conoscere tutta la sua verità? Se lui non ha osato farlo, perché mai vuole che si impegni per lui il Presidente della Camera?
Andando al sodo, perché mai Tulliani avrebbe fatto conseguire a una società off shore il vantaggio di comprare un appartamento ad un quinto del suo valore? Se l’affare non presentava lati oscuri, perché non ha comprato lui stesso? Per risiedere a Montecarlo da nullatenenti è infatti necessario depositare in banca una somma che corrisponde a quella con cui è stato pagato l’appartamento: dunque lui disponeva del denaro. Se l’affare era d’oro, e pulito, perché non ha comprato lui stesso? Tutti l’avremmo fatto.
Se invece – su sua iniziativa – l’appartamento è stato svenduto, i casi sono due: o Giancarlo ha voluto favorire, a spese di An, una società off shore, e questo costituisce truffa. Oppure sapeva che si trattava di un ottimo affare, ma sporco, e in questo caso ha comprato lui stesso, via società off shore. E questo costituisce truffa.
La riunione di famiglia e le stesse dichiarazioni pubbliche di Fini  glissano sul punto centrale del problema: la congruità del prezzo di vendita. Se esso non è congruo, e se An è stata truffata, che il beneficiario si chiami Tulliani o Printemps Ltd o Pinco Pallino non cambia nulla. I giornali si entusiasmano all’idea di poter scrivere che “Fini ha quasi regalato un appartamento non suo al quasi cognato”, ma la cosa non è importante. Per i magistrati è acqua fresca. Se il prezzo è congruo, non c’è stato nessun reato. Se il prezzo è ridicolo, si ha una truffa. Stop. E rimane solo da sapere chi l’ha coscientemente commessa.
Ecco perché il povero senatore Francesco Pontone ha perduto il sonno. Perché il magistrato potrebbe chiedergli: “Ma lei non sapeva di star svendendo un bene del partito? Le bastava l’ordine di Fini per partecipare alla truffa?” E le stesse domande il giudice – a meno che non voglia graziare tutti per motivi politici – potrebbe porre agli altri dirigenti che hanno approvato la vendita e infine, ma solo infine, a Tulliani. Ognuno di loro potrà sempre dire “Mi hanno detto che il prezzo era giusto”, ma inciamperà nell’ovvia obiezione: “E lei avrebbe venduto quell’immobile a quel prezzo, senza fare la minima indagine di mercato, se fosse stato suo?”
Gianfranco Fini non si deve dimettere se l’appartamento è del cognato: si deve dimettere se l’appartamento vale – come minimo – il doppio del prezzo al quale è stato venduto.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
26 settembre 2010
(1)http://www.corriere.it/politica/10_settembre_26/devi-dire-che-il-proprietario-non-sono-io-ma-il-leader-frena-il-cognato-mancano-le-carte-sarzanini_7d9dd4f0-c93d-11df-9f01-00144f02aabe.shtml

QUELLO CHE DICE GIANCARLO TULLIANIultima modifica: 2010-09-26T13:40:00+02:00da
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