GianniP

LA TRANQUILLA REALTA’ PALESTINESE

Non appena Trump ha firmato il provvedimento con cui portava l’ambasciata americana a Gerusalemme, provvedimento che avevano implicitamente promesso Clinton, Bush e Obama nel momento stesso in cui riconoscevano pubblicamente e solennemente che Gerusalemme è la capitale di Israele, i commentatori di tutto il mondo, i governi occidentali e perfino il Papa si sono riempiti la bocca di una virtuosa preoccupazione. Molti hanno anzi affettato un melodrammatico terrore dinanzi ai massacri che si profilavano. Massacri che sarebbero stati materialmente perpetrati dai palestinesi, e altrove nel mondo dai terroristi, ma la cui colpa sarebbe comunque stata di Trump e ovviamente di Israele.
Il giorno previsto per l’inizio della tragedia era ovviamente venerdì otto dicembre, sia perché giorno di preghiera (per gli islamici) sia perché giorno festivo. In realtà, non è successo niente di speciale e non è morto nemmeno un israeliano. Ci sono state alcune manifestazioni di piazza, ma niente di comparabile con ciò che abbiamo visto in Europa, e altrove nel mondo, in occasione delle manifestazioni contro i vari G6, G7, G8. Ci sono stati centinaia di intossicati dai gas lacrimogeni e, dicono, quattro morti. Dal piccolo territorio di Gaza sono partiti tre razzi contro Israele, di cui due non sono nemmeno riusciti a superare la frontiera, ma la cosa ha comunque comportato l’intervento dell’aviazione israeliana la quale, dopo l’operazione Piombo Fuso (che fu piuttosto convincente), non vuol fare dimenticare che a quello sport, largamente praticato in passato, gli abitanti di Gaza è meglio che rinuncino. E forse in questa occasione c’è stato un morto.
A conti fatti, è successo poco o niente. Come scrive Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera(1), “le proteste restano tutto sommato contenute. Nulla a che vedere con quelle che esplosero come un fiume in piena all’inizio della prima intifada delle pietre”. Quella di oggi è “Una situazione molto diversa dalla «seconda intifada» dell’autunno Duemila, degenerata rapidamente negli attentati suicidi e le bombe nei caffè e sugli autobus”.
Tutto ciò viene a confermare quanto era evidente perfino a chi si limita a leggere qualche giornale. Infatti, a proposito dei timori di attentati terroristici, giorno sei dicembre scrivevo: “nel caso di due nazioni che sono da sempre sull’orlo della guerra, il rischio non esiste. Da che cosa si sono astenuti i palestinesi, che ora invece potrebbero fare contro Israele? Essi sono stati i maestri del terrorismo internazionale e se recentemente non ne sono più stati i protagonisti è perché Israele è divenuto a sua volta il maestro delle misure antiterrorismo. I palestinesi sono già a fondo corsa e non possono minacciare nulla di nuovo. Trump può spostare tutte le capitali che vuole”. Ora i fatti vengono a darmi ragione, e non ho motivo di vantarmene. Non più di quello di avere gli occhi della mente (almeno quelli) ancora in grado di funzionare.
Salvo imprevisti, le manifestazioni proseguiranno ancora per qualche giorno, fino a spegnersi senza conseguenze, e tutto ciò fa pensare all’eterna rincorsa della spada e dello scudo. Dopo che gli arabi furono sconfitti sul campo di battaglia, sentendosi militarmente meno forti, pensarono di usare l’arma dei deboli: l’attacco a tradimento contro degli innocenti disarmati. Cominciarono così i sequestri degli aeroplani, il massacro degli atleti israeliani a Monaco di Baviera, gli attentati con le bombe nei locali affollati di Israele e perfino l’uccisione deliberata di bambini (otto, a Kyriat Shmonà, nel 1974). Il terrorismo sembrava un’arma imparabile, soprattutto dopo l’attentato alle Torri Gemelle, e invece per prima Israele progettò gli scudi più efficaci. Ci furono ancora sequestri d’aeroplani, ma mai su El Al, la compagnia aerea israeliana e ci furono attentati, ma sempre meno, soprattutto dal momento in cui Israele costruì una recinzione per sigillare il proprio territorio. Gli attacchi divennero quelli individuali, imprevedibili, realizzato con un coltello o lanciando un’automobile sui passanti, ma si conclusero sempre con poche vittime, spesso soltanto con qualche ferito, e praticamente sempre con la morte dell’attentatore. Il baccano sui giornali – cioè lo scopo delle azioni – è divenuto insignificante e oggi i palestinesi non sanno più che cosa inventare.
Nei Paesi che si rassegnano a serie misure di sicurezza, in questo momento sta vincendo lo scudo. E infatti Cremonesi scrive che nelle interviste da lui effettuate in loco si percepisce una sorta di rassegnazione: “Nel dicembre 1987 eravamo speranzosi in un mutamento radicale e veloce. Pensavamo che la nascita di un nostro Stato indipendente fosse imminente”, oggi non si vede nessuno sbocco. Insomma, dopo avere perso tutte le guerre guerreggiate (inclusa la sconfitta dello Stato Islamico) i fanatici musulmani hanno perso anche la guerra del terrorismo. Ci potranno ancora essere attentati, ma il loro momento d’oro è certamente finito. E si è tornati all’eterna regola per la quale le guerre non si vincono con i crimini, ma sul campo di battaglia.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

dicembre 2017
(1) Lorenzo Cremonesi, “I giorni della frustrazione”, Corriere della Sera, 9 dicembre 2017

LA TRANQUILLA REALTA’ PALESTINESEultima modifica: 2017-12-10T07:43:19+01:00da
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