GianniP

IL CASUS BELLI

Un casus belli è un fatto che giustifica l’inizio di una guerra. Al riguardo abbiamo un caso di scuola, cioè un esempio che illustra perfettamente la teoria. Alla frontiera fra le due Coree, la Corea del Nord ha installato tali e tanti pezzi d’artiglieria, da essere impossibile neutralizzarli tutti nel caso cominciassero a sparare su Seul – megalopoli di una ventina di milioni di abitanti – facendo un numero incalcolabile di morti. Si può infatti concepire una superiorità aerea che assicuri l’abbattimento dell’aeroplano che tentasse d’andare a sganciare una bomba atomica su quella capitale e si può concepire un sistema antimissile che distrugga l’ordigno in volo, ma non si può concepire di far tacere tutte insieme centinaia di bocche di cannone. Questa è la ragione per la quale gli Stati Uniti di Trump, pur minacciando fuoco e fiamme, non attaccheranno mai la Corea del Nord. Almeno finché essa si limiterà alle vanterie e alle minacce.
La situazione è immodificabile. L’artiglieria lì è e lì rimarrà. Ciò che indurrebbe Washington a distruggere interamente la Corea del Nord sarebbe soltanto una minaccia seria, imminente e credibile agli Stati Uniti. In questo caso essi darebbero ascolto soltanto ai loro interessi, senza tener conto dei costi per i terzi. Quando si tratta di sopravvivenza, l’unico limite è l’impossibilità fisica non le remore morali.
Questa introduzione pone la domanda: perché la Corea del Sud ha permesso l’installazione di quell’artiglieria, a cosi poca distanza dalla propria capitale? La risposta è: per vigliaccheria. Nel momento in cui la Corea del Nord schierava tanti cannoni da potere ricattare la Corea del Sud, che cosa avrebbe dovuto fare Seul? Avrebbe dovuto avvertire: “O tenete i vostri cannoni tanto lontani da non minacciare Seul, o sarà la guerra. E quei cannoni verremo a distruggerli prima che voi possiate usarli”.
Qualcuno, leggendo queste parole, si allarmerà. Si può dare inizio ad una guerra a freddo, così? Soprattutto mentre l’altro Stato sta facendo qualcosa sul proprio territorio? La risposta è: non si può. Si deve. Bisogna muovere guerra in ogni momento in cui, aspettando, ci si potrebbe trovare a combatterla in condizioni peggiori di quelle attuali. Il casus belli, quando è serio, non offre alternativa.
Se oggi Kim Jong-un ordinasse a quei cannoni di sparare, rischierebbe la distruzione totale della Corea del Nord, con la morte (per ipotesi) di qualche milione di nordcoreani. Ma – vogliamo essere ottimisti – nel frattempo l’artiglieria nordcoreana ucciderebbe duecentomila abitanti di Seul. Ebbene, in democrazia la “soddisfazione” di uccidere dieci nordcoreani per ogni sudcoreano non è abbastanza per accettare lo scambio. Ciò che si desidera è che non muoiano i nostri concittadini. Se il dittatore vuole provocare la morte dei suoi connazionali (Stalin e Mao erano specialisti, in questo) sono affari suoi e del suo popolo. Il terzo deve essere disposto a combattere quando si profila la minaccia, non quando essa è divenuta imparabile. Perché aspettare le perdite, invece di combattere quando ancora si può vincere?
Se oggi il problema è insolubile è perché non lo si è risolto in tempo, proteggendo la Corea del Sud quando ancora era possibile, o invadendo il Paese vicino quando ancora non possedeva l’arma atomica. La vigliaccheria, prima della guerra può anche essere pagata con la schiavitù o la morte. Indimenticabili e profetiche le parole di Churchill, dopo Monaco: “You were given a choice between war and dishonour. You chose dishonour. Now you’ll have war”. Vi è stata data la scelta tra la guerra e il disonore e avete scelto il disonore. Ora avrete la guerra.
Ovviamente la situazione deve essere molto seria. Anni fa l’Unione Sovietica cercò di far passare per casus belli il progetto reaganiano delle Guerre Stellari, cioè di un sistema antimissile che avrebbe protetto gli Stati Uniti da qualunque attacco sovietico, facendo un ragionamento umanamente (non giuridicamente) comprensibile: “Se noi non possiamo difenderci come voi, chi vi impedirà di attaccarci?” Ma l’Unione Sovietica aveva torto. Quello era soltanto un sistema di difesa. Dunque era come se i ladri avessero denunciato un cittadino per avere installato un antifurto. E infatti i russi lasciarono perdere.
Altro caso, attuale questo. L’Iran minaccia di totale distruzione Israele e a questo scopo finanzia ed arma gli Hezbollah. Gerusalemme reagisce colpendo i rifornimenti iraniani in viaggio sul suolo siriano e – recentemente – distruggendo le installazioni che avrebbero dovuto produrre missili ben più pericolosi per Israele di quelli attualmente in possesso dei terroristi. E tuttavia nessuno – neppure Damasco – ha protestato per queste azioni. Semplicemente perché, dal momento che Gerusalemme agisce in condizioni di legittima difesa, tutti sanno che potrebbero condannarla cento volte, non per questo si comporterebbe diversamente. E se un giorno l’Iran minaccerà Israele con la bomba atomica, si può star certi che Israele risponderà con analoga minaccia, facendo notare che, in caso di aggressione, ucciderà una quantità di iraniani corrispondente a tre o quattro volte l’intera popolazione di Israele. E gli israeliani non scherzano. Non tutti i Paesi sono dementi come la Corea del Sud o gli Stati Uniti di Jimmy Carter e Barack Obama.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
24 aprile 2018

IL CASUS BELLIultima modifica: 2018-04-24T10:44:17+02:00da
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